10 FEBBRAIO – una giornata contro le tragedie causate dai nazionalismi, anche dal SĂĽdtirol – con Roland Lang

Foibe- Denkmal mit SHB- Bouket

Foibe- Gedenken 2019

Anche in SĂĽdtirol si sono svolti omaggi in occasione del ricordo delle vittime della tragedia avvenuta nel secondo dopoguerra nei territori istriano-dalmati. Tragedia che fu la conseguenza della contrapposizione dei nazionalismi italiano e slavo, in territori che avevano visto le popolazioni vivere in pace per secoli.

L’intervento di Roland Lang, Obmann del SĂĽdtiroler Heimatbund:

FOIBE DENKMAL IN BOZEN:
SĂśDTIROLER HEIMATBUND LEGT AM GEDENKTAG BLUMEN NIEDER

Am 10. Februar findet wie alljährlich das Gedenken an Tausende von Italienern statt, die für die Verbrechen der Faschisten, an den in den istrischen und dalmatinischen Küstengebieten lebenden Volksgruppen bezahlt haben. Erinnert sei auch an den sehr oft unfreundlichen Empfang der Flüchtlinge in Italien. Eine Delegation des SHB hat im Gedenken an alle Opfer heute um 7 Uhr am Denkmal für die Foibe-Opfer ein Blumengebinde niedergelegt.

Wie in Südtirol wurde über Jahrzehnte mit Gewalt und Unterdrückung versucht, den dortigen einheimischen Slowenen und Kroaten, besonders nach der Machtübernahme der Faschisten, ihre nationale Identität und Sprache zu rauben und sie zu Italiener zu machen. Mehr als 5000 Italiener, darunter viele Kinder und Frauen, wurden danach in diesem Gebiet Opfer feiger Rache, die hauptsächlich durch das faschistische Regime ausgelöst wurde.

Es ist ein schöner Akt, dass alljährlich dieser armen Menschen gedacht und ihnen in Bozen auf der Quireiner Promenade ein Gedenkstein gewidmet ist.

Dies besonders deshalb, weil sehr viele Flüchtlinge aus dem istrischen und dalmatinischen Gebiet in Südtirol eine neue Heimat gefunden haben und die meisten sich gut integriert haben. Dazu zählt auch, dass sie verstanden haben, dass auch Südtirol seine eigene Geschichte hat und vom Faschismus terrorisiert wurde wie damals die Kroaten und Slowenen.

Ein Makel in der italienischen Geschichte wird für immer auch der unmenschliche Empfang der Flüchtlinge aus den seit dem 10. Februar 1947 zu Tito- Jugoslawien gehörenden Gebieten sein. Hier genannt sei nur die Drohung der italienischen Eisenbahnarbeiter in Bologna, in einen Streik zu treten, sollte der Flüchtlingszug im Bahnhof stehenbleiben. Dann schmissen sie die Behälter mit Milch um, die für die Frauen und hungrigen Kinder im Flüchtlingszug vorbereitet waren.

In den Häfen von Bari und Venedig wurden die italienischen Flüchtlinge aus dem Balkan von vorwiegend linken Landsleuten mit Beleidigungen, Pfeifkonzerten und Spucke empfangen. Flüchteten diese armen Menschen ihrer Meinung nach doch vor dem kommunistischen Arbeiterparadies des Diktators Tito. Etwa 350.000 Italiener wurden in dieser Zeit aus ihrer Heimat vertrieben!

Es ist höchst verwerflich und politisch keinesfalls nachvollziehbar, wenn man in Rom italienischen Opfer gedenkt und im Gegenzug dazu die 30.000 von den Faschisten ermordeten Menschen ausklammert. Auch in dem in Blumau errichtete faschistische Konzentrationslager „Campo Isarco“ wurden viele Slowenen und Kroaten interniert.

Die mangelnde Solidarität mit den einfachen Flüchtlingen, deren einziges Vergehen zu ihrer Vertreibung oft nur die italienische Muttersprache war, wird von der offiziellen italienischen Geschichtsschreibung bis heute verschwiegen oder beschönigt.

Auch an die Tausenden von deutschen Soldaten, Volksdeutschen, Kroaten usw., die in die Karsthöhlen geworfen wurden, sollte zumindest in Bozen gerechterweise auch gedacht werden.

Denn um eine Wiederholung in der Geschichte zu vermeiden, muss man auch die eigene, wenngleich häufig auch leidvolle Historie anerkennen und nicht nur mit dem Zeigefinger auf andere zeigen. Erst wenn dies der Fall ist, kann man ein friedliches Miteinander aufbauen oder ein solches anpeilen.

Als kleinen Beitrag zur Aufarbeitung hat eine Delegation des SHB heute früh ein Blumengebinde mit den Schleifen „Im Gedenken aller Opfer“/ „Der Südtiroler Heimatbund“, am Denkmal für diese unglückselige Zeit niedergelegt.

Roland Lang
Obmann des SĂĽdtiroler Heimatbundes

 

Istria, Fiume e Dalmazia. 10 febbraio 1947 – di Alfredo Gatta

foiba

Se i confini tra Stati, intesi come entità politiche e giuridiche, devono essere per definizione ed accordo reciproco definiti, al contrario quelli tra Nazioni, intese come entità culturali, storiche e linguistiche, non potranno mai essere netti bensì sfumati, discontinui e frastagliati.

Questa definizione di confini nazionali ha portato come conseguenza l’Istria, Fiume e la Dalmazia a divenire nel tempo delle terre in cui si sono sovrapposte popolazioni di diverse radici (dagli Illiri agli Austriaci, dagli Slavi ai Veneti) che hanno saputo nei secoli convivere serenamente.

Le contrapposizioni etniche sono esplose in tutta la loro drammaticitĂ  nel momento in cui gli irredentismi di matrice tardo ottocentesca hanno iniziato a muovere pretese su quei territori, mi riferisco ai nazionalismi come quello italiano e jugoslavo concettualmente inventati ed artificiali e tra l’altro giĂ  condannati come fallimentari dalla Storia visto che lo Stato jugoslavo giĂ  è collassato nei primi anni 90 del secolo scorso, destino che, presto o tardi, capiterĂ  anche allo Stato italiano.
Nonostante quello che potessero dire Italiani e Jugoslavi, l’Istria era Istria ed apparteneva agli Istriani, Fiume era Fiume e apparteneva ai Fiumani, la Dalmazia era Dalmazia ed apparteneva ai Dalmati.

Oggi il rimbalzo ideologico di responsabilitĂ  tra fascisti e comunisti giĂ  insito nel dibattito che portò all’istituzione nel 2004 di questo “Giorno del Ricordo”, mi interessa ben poco, la tragedia tra l’altro non ci toccò direttamente come Lombardi, anche se è giusto ricordare che le nostre cittĂ  dovettero far fronte all’esodo istro-veneto ospitando migliaia di profughi (circa diecimila nel solo Bresciano).

Oggi, oltre alla doverosa commemorazione nei confronti di migliaia di persone trucidate ed esiliate, mi interessa “ricordare” come il tentativo d’imposizione di una falsa identitĂ  come quella italiana che soprattutto non tiene conto di quelle vere preesistenti (questo sì che ci tocca direttamente come Lombardi) possa solamente portare nella migliore delle ipotesi al disordine sociale, nella peggiore delle ipotesi a sciagure di entitĂ  difficilmente controllabili.

Alfredo Gatta

 

JEAN ZIEGLER, L’INOSSIDABILE: DA CHE GUEVARA A LUMUMBA, DA MANDELA A OCALAN… CON GLI OPPRESSI CONTRO GLI OPPRESSORI, SEMPRE! – di Gianni Sartori

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Nella vita di ognuno ci sono libri come pietre miliari.

Per quanto mi riguarda, citando a casaccio:

“Lettera a una professoressa” dei ragazzi di Barbiana (letto all’inizio del 1968 – in epoca non sospetta – ben prima della beatificazione postuma di don Milani);

“La breve estate dell’anarchia – Vita e morte di Buenaventura Durruti” di Hans Magnus Enzensberger; “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell (anche questo in epoca non sospetta – 1969-70 – molto prima della tardiva riabilitazione di POUM e FAI-CNT con il film “Terra e Libertà”); “Un’eterna Treblinka” di Charles Patterson; “Euskadi guduan” di Davant, Apalategui, Cereceda, Castells e del MVLN; “Come mantenersi sani in un mondo inquinato” (detto per inciso: una pia illusione) di Harald Taub; “Oltre lo stato, il potere e la violenza” di Abdullah Ocalan…

Potrei continuare naturalmente, a lungo…

Fondamentale, nella seconda metĂ  degli anni settanta, la lettura di “Le mani sull’Africa” di Jean Ziegler. Un libro che l’autore dedicava – non certo a caso – a Lelio Basso, Mehedi Ben Barka, Carlos Lamarca, Henri Curiel.

Fondamentale – dicevo – in quanto da quel testo ero partito – qualche tempo dopo – per le prime iniziative anti-apartheid  come la protesta per i tre impiccati di Moroka (giugno 1983).

Qui l’autore di “Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto”, “La fame nel mondo spiegata  a mio figlio”,  “La privatizzazione del mondo”, “Dalla parte dei deboli”, “I signori del crimine”… spiegava le vicende di alcuni eroi delle lotte di liberazione (N’Krumah, Lumumba, Nasser…) da lui definiti “gli antenati dell’avvenire”.

Un intero capitolo poi lo dedicava alle dure battaglie dei popoli del Sudafrica. Sia detto per inciso. Dopo la relativa notorietĂ  dovuta ad alcuni massacri perpetrati dal regime razzista di Pretoria (Sharpeville nel 1960, Soweto nel 1976…), la causa dei Neri sudafricani era rimasta relativamente in secondo piano rispetto ad altre. Per esempio rispetto alla liberazione delle ex colonie portoghesi o a quella di palestinesi e baschi. Fu soltanto grazie al libro di Ziegler che potei scrivere i primi volantini e i primi manifesti murali (a mano!) quando mi resi conto che questa lotta – forse trascurata anche dalla compagneria di allora – andava fatta conoscere e sostenuta. Arrivarono poi i contatti con Benny Nato – e prima ancora, brevissimamente, con Sindelo – rappresentanti dell’ANC in Italia. La realizzazione, artigianale, di una mostra sui crimini dell’apartheid in Sudafrica e Namibia, i primi incontri-dibattiti. Fino alla campagna per i “Sei di Sharpeville”.

E sempre, al momento di stendere un volantino o scrivere un articolo, attingevo al prezioso “Le mani sull’Africa” come testo di riferimento.

Non mi sono stupito piĂą di tanto, quindi, scoprendo che l’ormai anziano sociologo – ma comunque inossidabile – ha voluto esprimere vicinanza ideale e solidarietĂ  al prigioniero politico curdo Ocalan. Coerentemente con la propria storia personale (lo scrittore tra l’altro fu l’autista di Guevara durante un viaggio del CHE in Europa) è intervenuto sulla campagna di sciopero della fame dei prigionieri e militanti curdi e per chiedere la liberazione di “Apo”. “Le Nazioni Unite  devono agire contro il fascismo turco” ha dichiarato in qualitĂ  di vice presidente del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e relatore speciale sul diritto all’alimentazione.

Parlando dello sciopero della fame in un’intervista con ANF ha definito “onorevole  la resistenza mostrata da Leyla Guven e dai suoi compagni – aggiungendo che le loro richieste – devono essere immediatamente soddisfatte. Non solamente l’isolamento dovrĂ  terminare, ma Ocalan dovrĂ  anche essere rimesso in libertà”.

Osservando come lo stato di salute di Leyla Guven abbia ormai superato la soglia critica, ha voluto precisare che “non è accettabile che l’Europa e l’Occidente restino in silenzio di fronte a quanto sta avvenendo. Occorre metter fine immediatamente al fascismo di Erdogan. L’Europa deve stare a fianco dei Curdi”

Secondo Ziegler, il modo in cui lo stato turco sta trattando i Curdi “costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità”. Un crimine su cui non è piĂą possibile restare in silenzio.

A suo avviso, il Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite dovrebbe tenere quanto prima una sessione urgente e straordinaria sulla Turchia: “In violazione del diritto internazionale, Erdogan commette tali crimini contro i Curdi, perseguita l’opposizione. E tuttavia le Nazioni unite rimangono in silenzio. Invece ci sono ragioni piĂą che sufficienti per una riunione urgente sulla Turchia”.

Quanto a Ocalan “io penso che deve essere liberato, in quanto leader di una delle più antiche civiltà del pianeta. I Curdi sono uno dei popoli più antichi della storia, ma i loro diritti e le loro libertà politiche e culturali vengono sistematicamente negati”.

Inoltre i Curdi dovrebbero avere “un loro Stato, un Kurdistan libero (…) e Afrin deve essere liberata e restituita al proprio popolo, ossia ai Curdi”.

Ricordando il ruolo fondamentale dei combattenti e delle combattenti curdi nella lotta contro l’Isis, l’anziano rivoluzionario si è speso perchĂ© al PKK venga restituita la sua immagine  piĂą autentica, quella di un “movimento di liberazione nazionale” in quanto “movimento legittimo che lotta per la libertĂ  di un popolo di antica civiltà”. Un movimento a cui la comunitĂ  internazionale dovrebbe garantire la possibilitĂ  di condurre trattative per una soluzione politica del conflitto con lo Stato turco.

Gianni Sartori