#Kurdistan #Rifugiati – ALTRE FAMIGLIE LASCIANO IL CAMPO DI AL-HOL – di Gianni Sartori

Sono di origine siriana e irachena la maggior parte di coloro che hanno potuto lasciare l’inferno di al-Hol. Grazie all’AANES a cui non corrisponde un analogo impegno da parte della comunità internazionale

Nel bene e nel male il campo di Al-Hol continua a tener banco.

E’ di oggi la notizia che per l’8 maggio (stando alle dichiarazioni della direzione dell’accampamento) è stato organizzato il rimpatrio – ovviamente volontario – di un gran numero di famiglie (una settantina, oltre 254 persone) originarie della città siriana di Deir ez-Zor.

Sempre la direzione segnala che attualmente in quello che è considerato “uno dei luoghi più pericolosi del mondo” (sorge nei pressi di Hesekê, in Siria) vivono 18.530 rifugiati iracheni, 16.779 siriani, 6.461 stranieri (non meglio definiti) e una decina di persone non identificate.

Tra i precedenti più significativi (la notizia risaliva al 10 marzo 2024) quello di altre 622 persone (circa 160 famiglie, in questo caso irachene) che erano potute tornare alle loro case sotto la protezione speciale delle Forze di Sicurezza Interna. Un risultato ottenuto grazie alla cooperazione tra l’Amministrazione Autonoma Democratica del Nord e dell’Est della Siria (AANES), il Comitato per la Sicurezza e il Comitato della Migrazione e dei Migranti della Camera dei rappresentati irachena.

Come è noto la maggioranza delle persone presenti nel campo proviene dalla Siria e dall’Iraq. Altri dall’Europa, dal Caucaso, dal Nord Africa o dal Medio Oriente. Circa la metà sarebbe costituita da minorenni, bambini e ragazzi che rischiano di venir indottrinati dalle donne islamiste (si calcola siano alcune migliaia quelle rimaste ancora legate all’Isis).

Ugualmente alla fine del dicembre 2023 altre famiglie di origine irachena (per la precisione 173, circa 660 persone) avevano potuto lasciare il campo – ugualmente accompagnate dalle Forze di Sicurezza – per installarsi in un nuovo accampamento a Meda (nella provincia irachena di Mosul). Tra di loro molte donne e bambini. Va apprezzato lo sforzo dell’AANES per risolvere il problema, soprattutto pensando alla mancanza di collaborazione della comunità internazionale.

Gianni Sartori

#Veneto #Ambiente – NELL’ALTO VICENTINO GLI “ANNI DI PIOMBO” SEMBRANO NON DOVER FINIRE MAI… – di Gianni Sartori

Evidentemente la fine dell’impero romano non ha insegnato nulla.

Eppure è (quasi) universalmente noto come tra i molteplici fattori che ne determinarono la caduta non fosse del tutto secondaria l’inveterata abitudine di servirsi dell’acetato di piombo per “insaporire”, addolcire il vino. Soprattutto tra le classi “alte”. Oltre ai casi da manuale degli “imperatori folli” (se pur a diversa intensità e con benefico d’inventario: Caligola, Nerone, Commodo, Domiziano, Tiberio, Claudio…) pare che la pazzia indotta dal saturnismo (avvelenamento da piombo) avesse irreparabilmente colpito anche un buon numero di romani nobili e benestanti, la classe dirigente diciamo.

A cui andrebbe aggiunta l’aggravante dell’utilizzo del piombo per tubature, otri e pentole.

Tale avvelenamento assumendo caratteri di cronicità comportava – e comporta – anemia, stipsi, dolori addominali, meteorismo, ipertensione, problemi renali, problemi alla struttura ossea e – nei bambini – ritardo mentale.

Senza escludere il rischio di malattie neurovegetative e l’insorgere di tumori.

Ai nostri giorni le fonti di possibile inquinamento da piombo dell’organismo sarebbero soprattutto i cereali, le verdure, l’acqua del rubinetto. Per inciso, i più esposti al rischio potrebbero essere proprio i benemeriti vegetariani. Il cui contributo alla salute del pianeta è indiscutibile, ma che rischiano di assorbirne in maggior quantità dato che il piombo prevale nelle diete acide e in quelle a base prevalente di carboidrati e scarse di proteine. Quanto di dice che al mondo non c’è proprio giustizia!

Detto ciò, esistono numerose variabili, ovviamente. E le cose possono cambiare radicalmente da zona a zona. Per esempio in certe aree della pedemontana veneta in generale e di quella vicentina in particolare (zone di passo migratorio, valichi) la situazione appare piuttosto allarmante. A causa del piombo qui sparso nella cosiddetta “attività venatoria” volgarmente conosciuta come caccia.

Analogamente (fatte le debite proporzioni) al caso dell’uranio impoverito, possiamo dire che “le armi uccidono anche quando hanno smesso di sparare”.

Come è stato ampiamente dimostrato e denunciato nellamostra del febbraio 2024 realizzata dal Comune di Brescia: “IL VELENO DOPO LO SPARO – L’avvelenamento da piombo negli uccelli selvatici”.

Ulteriori conferme dall’omonimo seminario “Il veleno dopo lo sparo” che si è tenuto sempre a Brescia presso il Comando della Polizia Provinciale il giorno 27 aprile 2024 *. Dove, tra le tante cose, veniva denunciato che il 60 per cento di tutti i Rapaci italiani sono intossicati da piombo in modo più o meno grave.

In tale ambito risulta purtroppo ancora tragicamente attuale un documento (presentato anche a Brescia) risalente ormai a quasi dieci anni fa e prodotto dal Coordinamento Protezionista del Veneto.

Il Cpv, costituito da una dozzina di associazioni ambientaliste e animaliste (LAV, ENPA, LAC, UNA, WWF, OIPA, LIPU…) era nato fondamentalmente per “fronteggiare la politica di liberalizzazione dell’attività venatoria (vedi cacce in deroga, cacce da capanno, da altane…nda) portata avanti dalla Regione Veneto”. Tra l’altro recentemente riesumata con la proposta di poter sparare anche a peppole, fringuelli, storni…

Dalla lettura dei calcoli riportati in “CONSIDERAZIONI SULL’INQUINAMENTO DA PIOMBO NELLA FASCIA PEDEMONTANA VICENTINA” del gennaio 2015, si apprende con approssimazione molto verosimile “quanto piombo è stato sparso attraverso l’attività venatoria sulle colline e nelle valli della pedemontana vicentina”.

Località che essendo “situate sulle rotte di migrazione dell’avifauna, da sempre sono meta di un grandissimo numero di cacciatori”.

Le quantità considerate nel documento si riferivano soltanto al periodo dopo il 1960, quando la caccia era diventata un fenomeno di massa.

Ossia era stato considerato “un periodo di 54 anni (e dopo altri nove, 63 in totale, la situazione può essere soltanto peggiorata nda) ed un numero di cacciatori medio di 20.000 all’anno, anche se negli anni ’70 ed ’80 questo numero era molto superiore”.

Stimando (per difetto) che ogni cacciatore avesse sparato 400 cartucce, ognuna contenente 33 grammi di piombo. Fermo restando che ancora nel 1968 l’Associazione “Libera caccia” aveva effettuato un sondaggio su 176.890 cacciatori, (pari all’11,8% del totale di quell’anno) e la media aveva sparato 830 cartucce.

Ossia più del doppio delle 400 prese in considerazione nei calcoli del documento.

Quindi risultava che: “20.000 cacciatori x 54 anni x 400 cartucce x 33 grammi/cartuccia = 14.256.000.000 grammi, pari a 14.256 tonnellate, corrispondenti al contenuto di 4 treni merci completi, 810 autobetoniere a 4 assi, circa 18.000 automobili utilitarie”.

Il Territorio sul quale è possibile esercitare la caccia a Vicenza è di circa 250.000 ettari. All’epoca (come riporta il documento del 2015, ma nel frattempo non è cambiato molto sostanzialmente) solamente in tale provincia veneta non veniva rispettata la Legge 157 del 1992 che imporrebbe di destinare a Parco (o comunque sottrarre alla caccia) almeno il 20 per cento del territorio. Si poteva quindi agevolmente calcolare che questa attività venisse praticata su circa 225.000 ettari.

Alcune zone però non risultano abbastanza “interessanti” dal punto di vista del cacciatore. Mentre altre, troppo vicine alle case o alle strade, sarebbero interdette. Almeno in teoria: abbiamo tutti fatto esperienza dei pallini che piovono in giardino o sul pergolo (o – peggio ancora direttamente sul pargolo).

Gran parte di tale attività si mantiene tuttora sulle colline della fascia pedemontana, specialmente durante le migrazioni. Per cui si poteva legittimamente stimare che “circa il 65 per cento dei cacciatori vicentini abbiano cacciato nella fascia pedemontana, che rappresenta circa il 30% dell’area provinciale”.

Si ha quindi che “14.256 tonnellate x 65 % = 9.266,4 tonnellate pari a 9.266.400 kg di piombo sono stati sparsi sul 30 % di 225.000 ettari, cioè su 67.500 ettari”.

La “densità” del piombo sparso sul suolo era quindi di “9.266.400 kg : 67.500 ettari, cioè 137,28 kg/ha, pari a 13,72 gr/mq.”.

Questo calcolo però – si precisava nel documento – ha un limite ben preciso: “questa è la densità media del piombo su tutta l’area considerata, mentre è evidente a tutti che i crinali, per una fascia di poche decine di metri di larghezza, sono interessati da una attività enormemente più intensa, rispetto ad esempio ai versanti collinari, od ancor più, al fondo delle valli”.

Da cui si deduce che molto probabilmente “nelle zone a più alta concentrazione di cacciatori i valori sopra enunciati debbano essere moltiplicati per decine o per centinaia di volte”.

Ricordo che i tecnici quando setacciano il terreno e prelevano i campioni da analizzare tolgono preventivamente i pallini per cui le concentrazioni si riferiscono solamente al piombo disciolto nel terreno, nell’humus acido.

Per il Decreto Legislativo N° 152 del 3 aprile 2006 (che considera le concentrazioni massime degli inquinanti nel terreno, misurato come sostanza secca, senza calcolare quindi il peso dell’umidità) le concentrazioni massime ammesse nei terreni (distinguendo i terreni agricoli, a verde pubblico e privato da quelli ad uso commerciale ed industriale) devono rientrare in limiti ben precisi.

Quello di 100 milligrammi per ogni chilogrammo per i terreni agricoli e dieci volte di più, cioè 1000 milligrammi, per chilogrammo per le aree commerciali ed industriali.

Oltre tali limiti il D.Lgs 152 impone la bonifica dell’area che viene considerata contaminata e quindi nociva per la salute.

Ovviamente la caccia può essere esercitata solamentenelle aree verdi ed agricole, dove il limite viene fissato in 100 milligrammi per ogni chilogrammo di terreno (secco).

Inoltre, sempre in “CONSIDERAZIONI SULL’INQUINAMENTO DA PIOMBO NELLA FASCIA PEDEMONTANA VICENTINA”, si sottolineava che “tra gli studiosi è opinione comune che i pallini si fermino nei primi uno o due centimetri di profondità del suolo, perché le radici e la densità stessa del terreno impediscono che si disperdano più in profondità. Si ritiene che i pallini non possano comunque mai scendere oltre i cinque centimetri. Qui il suolo è prevalentemente vegetale, e quindi acido, e questi acidi deboli riescono a disciogliere lentamente il piombo facendolo assorbire dalle radici delle piante, da dove entra nel ciclo dell’agricoltura, della zootecnia e della viticoltura. Una piccola frazione scende ad inquinare le falde acquifere. Se ipotizziamo che i pallini si fermino nel primo centimetro, calcolato che il terreno vegetale (secco) ha un peso di 1.450 kg al metro cubo, abbiamo che i 13,72 grammi di piombo al metro quadrato sono contenuti in una massa di 14,5 kg di terreno, quindi con una concentrazione di 946 mg/kg, cioè 9,46 volte di più del limite ammesso, mentre se ammettiamo che si disperdano nei primi due centimetri, abbiamo 473,10 mg/kg, cioè 4,73 volte di più dei limiti di legge”.

Facile conclusione: è alquanto probabile che molti dei terreni della fascia pedemontana vicentina siano da ritenere inquinati in modo gravissimo, tanto da dover “rendere necessaria, a termini di legge, la asportazione dello strato superficiale di quelli più avvelenati, e la bonifica dell’intera area pedemontana”.

Con una nota finale paradossale (per non dire allucinante).

Proprio alcuni di quei terreni risultano essere gli stessi dellaproduzionedi svariate “eccellenze” alimentari del Vicentino: vino, patate, latte e formaggi.

Nel documento si riportava il caso di una Latteria Sociale della Valle del Chiampo che produce un formaggio “a pasta morbida” alquanto rinomato. L’area del pascolo delle mucche si troverebbe sul crinale tra la Valle dell’Agno e quella del Chiampo. Storicamente impestato di roccoli, altane e capanni. Oltre che da cacciatori vaganti.

“Le nostre analisi sulla concentrazione del piombo – spiegano gli autori del documento – sono state effettuate su campioni prelevati in queste zone”.

Raccontando poi di aver saputo dai soci di tale latteria che “è capitato che il latte non cagliasse perché c’era così tanto piombo nel latte da impedire la proliferazione dei batteri necessari a far cagliare il latte”.

All’epoca quelle analisi erano state inviate all’Assessorato all’Ambientedella Provincia di Vicenza.

“Se le analisi trovassero conferma bisognerebbe provvedere”, fu la lapidaria risposta.

Ma in seguito – ne dubitavate ? – la cosa sarebbe rimasta lì. E il piombo pure evidentemente.

Come direbbe qualcuno “ragionateci sopra”.

Gianni Sartori

*nota 1: Purtroppo (per inderogabili impegni) senza la presenza di Alessandro Andreotti, autore con Fabrizio Borghesi della pubblicazione dell’ISPRA del 2012 (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente) dal titolo: ” Il piombo nelle munizioni da caccia: problematiche e possibili soluzioni”. Per chi volesse saperne di più, 96 pagine illuminanti.

#Kurds #Repressione – ANKARA E TEHERAN: STESSO SBATTERE DI MANETTE PER I DISSIDENTI – di Gianni Sartori

Mentre in Turchia centinaia di persone venivano arrestate a seguito della giornata del Primo maggio, Teheran imprigionava una quindicina di militanti curdi

In questi giorni almeno quattordici (quelli accertati) militanti curdi sono stati arrestati dalle forze di sicurezza iraniane nella città di Oshnavieh (Azerbaijan occidentale) e in altri centri minori. Accusati di aver organizzato (o comunque di avervi partecipato) le iniziative del Newroz di quest’anno, venivano poi trasferiti in località sconosciute.

A operare gli arresti, i Servizi di intelligence del Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica.

Di alcuni arrestati si conosce l’identità: Yousef Haji Khosh, Rahim Rafati, Hesamoddin Mahmoudi, Fakhraddin Modarresi, Arman Ebrahimi, Ghafour Sheikh-Mohammadi, Omid Rashid-Pak, Salah Ghazi, Ako Ebrahimi, Mowloud Rousta, Hassan Rasouli, Jafar Rasouli, Mohammad Soltanpour e Hadi Lawa.

Quest’ultimo risulta essere un cantante che compone ed esegue canzoni in curdo.

Ghafour Sheikh-Mohammadi, Mohammad Soltanpour, Ako Ebrahimi e Jafar Rasouli sarebbero stati catturati il 30 aprile, mentre altri tre (Mowloud Rousta, Hesamoddin Mahmoudi e Hassan Rasouli) il Primo maggio.

Lo stesso giorno a Kona Ghala veniva perquisita l’abitazione di un esponente del Comitato esecutivo del Fronte unito curdo, Yousef Haji Khosh. L’uomo, prima dell’arresto, sarebbe stato picchiato duramente.

Salah Ghazi veniva arrestato il 2 maggio nel villaggio di Gundeh Vileh (nei pressi diOshnavieh). Nello stesso giorno finivano in manette Arman Ebrahimi, Rahim Rafati, Omid Rashid-Pak e Fakhraddin Modarresi.

Questo per l’Iran dove – ricordiamolo – le “forche della vergogna” rimangono in attività.

Del resto non è che in Turchia le cose procedano molto diversamente. E non solo per i curdi.

Almeno 65 persone (sempre e solo quelle accertate, ma la cifra risulta in difetto) sono state arrestate in Piazza Saraçhane (a Istanbul) nella Giornata dei Lavoratori. Con tempismo sospetto, soltanto dopo un paio di giorni (il 4 maggio), 52 degli arrestati venivano trascinati in tribunale e accusati di essersi “opposti alla Legge di Riunioni e Manifestazioni”, di “propaganda di organizzazione terroristica” e di “resistenza a pubblico ufficiale”. 

Una quarantina (38 per la precisione) finivano direttamente in carcere il giorno stesso mentre per altri 14 si applicava la libertà vigilata.

Sempre il Primo Maggio, in un’altra piazza (la famosa Piazza Taksim) venivano arrestate circa 200 persone.

Nei giorni successivi la repressione di Ankara si abbatteva ulteriormente sugli esponenti del Partito dell’uguaglianza dei popoli e della democrazia (DEM).

In una nota del 7 maggio, si parla di una quindicina di persone appena arrestate nella provincia curda di Urfa (Riha). In particolare nella città omonima e nei distretti di Hewag (Bozova), Hilvan (Curnê Reş) e Wêranşar (Viranşehir).

Tra di loro, il responsabile di distretto del Partito DEM e alcuni membri del consiglio della gioventù. Non si conosce, al momento, quali siano le imputazioni nei loro confronti. D’altro canto è ormai ordinaria amministrazione l’accusa (in genere del tutto infondata, strumentale) di “terrorismo”. Consentendo così l’immediata consegna ai carcerieri delle persone inquisite. Fermo restando che la repressione colpisce ormai sistematicamente non solo i dissidenti curdi, ma gran parte degli oppositori. Siano essi militanti di sinistra, giornalisti indipendenti, musicisti, avvocati…

Gianni Sartori