#CATALUNYA – “We’ll do it again” – un libro di Jordi Cuixart –

Jordi Cuixart, militante sociale e politico, presidente di Òmnium Cultural, si trova in carcere da tre anni per aver difeso le proprie idee e il proprio Popolo.

E’ ormai una frase storica quel suo “Ho tornarem a fer” (“Torneremo a farlo”) pronunciata nella sua ultima dichiarazione davanti al Tribunal Supremo che lo stava processando insieme agli altri esponenti della politica e della cultura catalana e che l’avrebbe condannato a 9 anni di detenzione.

Ed è anche il titolo di un libro che rappresenta il suo manifesto personale e politico.

Grazie a Òmnium Cultural, siamo in grado di offrirlo in download gratuito ai nostri lettori.

“Ho Tornarem a Fer”, Jordi….. e noi saremo sempre al tuo fianco.

 

#Armenia #Azerbaijan – MA QUANTO MI COSTI? MERCENARI A PREZZO MODICO NEL NAGORNO-KARABAKH – di Gianni Sartori

Nonostante le sfacciate smentite (provenienti da Ankara e Baku) sulla presenza di mercenari impiegati dall’esercito dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabkh, ora disponiamo di ulteriori conferme.

Alcune desunte dai necrologi dei caduti in combattimento, altre direttamente dalle testimonianze raccolte dagli inviati, in particolare da Le Monde.

Al momento è ancora impossibile calcolare con precisione quanti siano. Per qualche osservatore qualificato si tratterebbe di parecchie centinaia (e di qualche decina di caduti tra i loro ranghi). Combattenti generalmente esperti in quanto  affiliati e operativi con l’Esercito Libero Siriano (ormai ridotto al rango di milizia sul libro paga di Erdogan).

Stando alle dichiarazioni di un membro di Failak Al-Cham (gruppo ora integrato nell’Esercito Libero Siriano) da Iblid – dove anche per l’epidemia di corona-virus il lavoro scarseggia – sarebbero partiti in circa duecento. Con la promessa di una paga base tra i 1300 e i 1800 dollari.

Parafrasando un’antica pubblicità della Marina nostrana, si potrebbe dire “Arruolati con Erdogan, girerai il Mondo”. In molti casi si tratterebbe dei medesimi lanzichenecchi che dall’anno scorso spargono il terrore in Rojava e che più recentemente, quest’anno, hanno combattuto in Libia (contro le truppe di Haftar che assediavano Tripoli).

I necrologi dicevamo. Ai primi di ottobre era apparso sul sito siriano Jesr Press quello di Qassem Mustafa Al-Jazmur, membro deceduto di una milizia turcomanna, l’Aultam Murad. Anche tale banda aveva combattuto contro il regime siriano per passare poi – sotto le incongrue bandiere dell’Esercito Libero Siriano –  al servizio di Ankara direttamente contro i curdi del Rojava.*

Significativo che il caduto provenisse da Deir ez-Zor dove recentemente era scoppiata una rivolta – difficile stabilire quanto spontanea – contro l’Amministrazione autonoma curda accusata – a torto – di reprimere la popolazione in maggioranza araba.

E ancora: la morte in combattimento – stando a quanto ne riferiva la stampa siriana – di un altro combattente dell’Esercito Libero Siriano, Mohamed Shaalan di Aleppo.

Un’ulteriore testimonianza, questa raccolta dalla BBC, arrivava per posta elettronica da un generico“Abdallah”.

L’uomo spiegava candidamente di essere arrivato nel Nagorno-Karabakh almeno venti giorni prima dell’inizio dei combattimenti. Aggiungendo che lo stipendio promessogli era di circa 1700 euro mensili. Magari non tantissimi (un po’ meno che in altri contesti similari, mi risulta), ma pur sempre parecchi se rapportati alla disastrosa situazione in cui versa oggi gran parte della Siria. Rivestito con la divisa dell’esercito azero, il mercenario a basso costo era rimasto in attesa nei pressi della frontiera fino all’inizio dei combattimenti alla fine di settembre. In una successiva conversazione telefonica, sempre con la BBC, riferiva di almeno una decina di caduti tra i suoi commilitoni di origine siriana. Da notare che nel frattempo gli era stato restituito il cellulare sequestratogli all’arrivo (evidentemente per non lasciar trapelare in anticipo qualche notizia sui preparativi bellici di Baku). Parecchi di questi combattenti mercenari, si era detto, provengono da Iblid. E proprio da Iblid, curiosamente, è partita un’infuocata fatwa, emessa da uno sceicco di origine egiziana.

Per questo esponente della galassia islamista radicale (originariamente legato al gruppo Hayat Tahrir Al-Cham), lasciare la Siria – e la jihad – per partecipare alla guerra in Nagorno-Karabakh sarebbe un grave atto peccaminoso in quanto su quelle montagne si scontrerebbero “due eserciti laici” mentre la vita “è sacrificabile soltanto per Dio”.

Gianni Sartori

* nota 1:  A metà settembre la Commissione internazionale indipendente delle Nazioni unite sulla Siria ha pubblicato un rapporto sul regime di terrore imposto dall’Esercito Libero Siriano nelle zone curde sotto il suo controllo. Un lunga lista di quotidiane violazioni dei diritti umani: saccheggi, omicidi, stupri, sequestri di persona, esecuzioni extragiudiziali e torture (sotto lo sguardo comprensivo e complice della Turchia).

#Armenia #Azerbaijan – A QUANTO PARE L’IRAN POTREBBE SCHIERARSI CON L’AZERBAIJAN INVECE CHE CON L’ARMENIA – di Gianni Sartori

Anche se raramente, nell’immenso groviglio globale che gli addetti ai lavori chiamano “geopolitica”, può capitare di avere qualche – presunto – riscontro oggettivo.
 
Almeno in apparenza, qualche tassello sembrerebbe (condizionale d’obbligo) andare a collocarsi al posto giusto. O meglio: dove ci si aspettava di trovarlo.
 
Appariva infatti assai incongrua l’ipotesi, da più parti formulata, di un deciso schierarsi con l’Armenia da parte dell’Iran nel conflitto con l’Azerbaijan.
 
Incongrua soprattutto pensando che in entrambi i Paesi, Iran e Azerbaijan, è prevalente la fede sciita.
 
Ora, stando almeno alle dichiarazioni di alcuni autorevoli esponenti politici iraniani “l’Iran non sceglie l’Armenia a sfavore dell’Azerbaijan”.
 
Lo sostiene il giornalista Raman Ghavami, aggiungendo come invece sia “probabile che dovremo assistere a una significativa collaborazione tra l’Iran, la Turchia, l’Azerbaijan (e presumibilmente anche la Russia a questo punto nda) sia sull’Armenia, sia su altre questioni che interessano la regione”.
 
Si andrebbe infatti configurando un nuovo livello di sostanziale collaborazione nelle relazioni tra Azerbaijan e Iran. AddiritturaTeheran avrebbe già richiesto all’Armenia di “restituire” (nientemeno ?!?) il Nagorno-Karabakh a Baku.
 
Per Raman Ghavami appare scontato che l’Iran “da sempre preferisce rapportarsi con gli azeri sciiti piuttosto che con gli Armeni”. Come avveniva già molto prima dell’insediarsi del regime degli ayatollah.
 
A tale riguardo riporta l’esempio della provincia dell’Azerbaijan occidentale (posta entro i confini iraniani) che in passato era abitata prevalentemente da curdi e armeni.
 
Ma tale demografia venne scientificamente modificata, nel corso del XX secolo, dai vari governi persiani che vi trasferirono popolazioni azere. Sia per allontanarvi i curdi, sia per arginare gli effetti collaterali del contenzioso turco-armeno entro i confini persiani.
 
Molti armeni e curdi vennero – di fatto – costretti a lasciare le loro case.
 
Inoltre, in tale maniera, si creava una artificiosa separazione tra le popolazioni curde di Irak, Turchia e Siria e quelle in Iran.
 
Cambiando anche la denominazione geografica. Da Aturpatakan a quella di Azerbaijan occidentale.
 
Altro elemento di tensione tra Erevan e Teheran – sempre secondo Raman Ghavami – deriverebbe dal ruolo della chiesa armena nell’incremento di conversioni al cristianesimo da parte di una fetta di popolazione iraniana.
 
 
Da sottolineare poi l’importanza vitale per un paese come l’Iran sottoposto a sanzioni (peraltro discutibili, direi ingiuste visto che le conseguenze negative ricadono sulla popolazione) dei legami finanziari con l’Azerbaijan. Ricordava sempre Raman Ghavami come, non a caso, la succursale della Melli Bank a Baku è seconda per dimensioni soltanto a quella della sede centrale di Teheran.
 
 
Secondo il giornalista, un altro elemento rivelatore è il modo in cui, rispettivamente, Baku ed Erevan hanno reagito alla cosiddetta “Campagna di massima pressione” sull’Iran in materia di sanzioni.
 
 Mentre gli scambi commerciali tra Armenia e Iran si riducevano del 30%, quelli con l’Azerbaijan si intensificavano.
 
Ad alimentare la tensione poi, il riconoscimento da parte dell’Armenia di Gerusalemme come capitale di Israele (a mio avviso non solamente “un evidente errore strategico”, ma una inutile ruffianata nei confronti degli USA che Erevan poteva evitare).
 
Una avventata presa di posizione di cui Erevan potrebbe in seguito essersi pentita. Vedi il successivo contenzioso (e ritiro dell’ambasciatore) a causa della vendita da parte di Israele di droni kamikaze IAI HAROP all’Azerbaijan.
 
Ulteriore complicazione (ma questa era forse prevedibile) la notizia che sarebbero già in atto scontri armati tra i mercenari di Ankara inviati in Azerbaijan (presumibilmente jihadisti, sicuramente sunniti) e gli azeri sciiti.
 
Insomma, al momento nulla va dato per scontato in tema di alleanze. Staremo a vedere.
 
 
 
 
Gianni Sartori