#VENETO – David Bowie, Tintoretto e Napoleone – di Ettore Beggiato

BOWIE TINTORETTO

E’ in corso al palazzo Ducale di Venezia la mostra “Da Tiziano a Rubens. Capolavori da Anversa ed altre collezioni fiamminghe” nella quale si possono ammirare capolavori di artisti come Tiziano, Rubens, van Dyck, Sweerts, Jordaens, de Vos e tanti altri.

Ma l’opera che mi ha impressionato di più, anche per la sua storia, è sicuramente “L’angelo annuncia il martirio a Santa Caterina di Alessandria” del grandissimo pittore veneziano Jacopo Tintoretto (1518-1594).

Il capolavoro del Tintoretto era stato pensato per la chiesa di San Geminiano in piazza San Marco, straordinaria opera di Jacopo Sansovino; il figlio di questi, Francesco, ne parla come di una chiesa che “anche se piccola, è forse la più ornata di tutte le altre della città”: in effetti, oltre a marmi bellissimi, c’erano opere del Veronese, dei  Vivarini, del Brusaferro, di Luigi del Friso, di Sebastiano Ricci e di tanti altri; il grande Jacopo Sansovino era così orgoglioso della sua opera che chiese di esservi sepolto.

Tale gioiello fu ammirato fino al 1807:  Napoleone decise  di raderlo al suolo per costruire quella che ancora oggi si chiama “ala napoleonica” … ma non finisce qui, poiché nel 2002, più o meno nelle stesso posto dove si trovava la Chiesa di San Geminiano, l’intellighenzia veneziana pensò bene di collocare nel Museo Correr un orrendo monumento al rapinatore francese… come mettere un monumento a Hitler nel Ghetto veneziano …

Il capolavoro del Tintoretto finì in un primo tempo all’Accademia e poi nel mercato artistico … nel 1983 venne acquistato da David Bowie e conobbe nuova notorietà proprio grazie all’icona del rock inglese: da qualche mese è ritornato nella sua città e per chi lo vuole ammirare c’è tempo fino a domenica primo marzo.

Ettore Beggiato

SALVINI, UN COMUNISTA PENTITO? – di Gianni Sartori

salvini com

Mi si conceda – fra tante tragedie, repressioni e ingiustizie – di raccontare un aneddoto banale, ma comunque – nel suo piccolo – forse degno di nota. Non era mia intenzione scriverne. Tuttavia alcune recenti affermazioni del Salvini mi hanno fatto cambiare idea. Il soggetto in questione recentemente, nel clima elettoralistico per la prossima scadenza in Emilia – Romagna, aveva affermato (vado a memoria): “Ho rispetto dei vecchi comunisti emiliani, ma ormai non esistono più”. In un’altra occasione avrebbe poi affermato che “oggi come oggi Peppone (il comunista inventato dal Giovannino Guareschi, antagonista di don Camillo nda) voterebbe per me”.

Assolutamente falsa a mio avviso la seconda affermazione. Credo che piuttosto di votare la Lega attuale il sindaco di Ponteratto (o se preferite di Brescello) si taglierebbe una mano.

Quanto alla prima, qualcuno ha commentato che presumibilmente Salvini i vecchi comunisti non li aveva mai incrociati, tantomeno conosciuti. Su questo invece avrei un’obiezione.  Potrebbe infatti averli frequentati, se pur brevemente e strumentalmente.

Un passo indietro. Alla fine degli anni novanta del secolo scorso mi ritrovai in quel di Mantova per assistere – nientemeno – che a una riunione  del neonato, effimero e velleitario Parlamento padano. Mi aveva invitato il dott. Renato Giaretta (in gioventĂą, anni settanta-ottanta, responsabile della sezione vicentina della FGCI, i giovani comunisti) rimasto poi fulminato per la Lega Nord sulla via di Damasco (pardon, di Pontida). E –  mi pare – per un breve periodo segretario o responsabile della sezione vicentina della medesima. Tra l’altro era amico personale della figlia di Paietta, giornalista del Manifesto che lo aveva intervistato in piĂą di un’occasione sulla questione “Padania” (tanto per dire che le cose sono – erano –  spesso piĂą complesse di quanto possa poi apparire con il senno di poi).

“Ti assicuro – mi disse – qui c’è anche gente di sinistra, compagni…”. Ero a conoscenza del fatto che almeno nel vicentino ( a Valdagno e Recoaro in particolare) tra i primi aderenti alla Liga (quella Veneta) c’erano stati addirittura dei vecchi partigiani. Inoltre, frequentando da tempo la realtĂ  di Irlanda, Paesi Baschi, Paisos Catalans, Corsica etc… sapevo – o almeno credevo di sapere – che una parte dei movimenti autonomisti, federalisti, indipendentisti poteva nascere spuria. Per poi definirsi e caratterizzarsi anche a sinistra (vedi Herri batasuna, vedi ERC, vedi Sinn fein…). Personalmente non avevo mai escluso – e qui mi allargavo troppo, lo riconosco – la prospettiva di una Repubblica Veneta sovietica (nel senso letterale di consiliare).

Avrò modo in seguito di comprendere – e ampiamente – che in realtĂ  stavo prendendo una cantonata “grande fa na casa”. Lo ammetto.

Comunque, aggirandomi tra i presenti quel giorno a Mantova incrociai – su precisa indicazione del buon Renato – un gruppetto di “comunisti padani”. Erano in tre, se ben ricordo. Un giovanissimo (con l’orecchino) e due emiliani. Entrambi militanti per anni – fin dalla prima gioventĂą – del vecchio, talvolta eroico PCI. Cresciuti tra Feste dell’UnitĂ  e la distribuzione casa per casa della stessa, come si usava dalle loro parti. Per farla breve, li intervistai. A parlare, esporre era soprattutto uno dei due “vecchi”. Non potei fare a meno di notare che continuamente volgeva lo sguardo verso il giovane (quello che ritengo – al 90% –  fosse proprio il Matteo Salvini e che intervenne, brevemente, solo un paio di volte) quasi per assicurarsi che avesse ben capito. Magari non è uno dei piĂą furbi, pensai. O forse – ma mi venne in mente dopo – per averne l’approvazione? Del resto questa era gente abituata a render conto se non proprio al commissario politico, perlomeno all’intellettuale organico. Uno dei limiti storici dei grandi partiti di massa della sinistra italiana. Tanto è vero che poi, quando i capi decisero di smantellare la “ditta”, le masse li seguirono ciecamente o quasi.

Da qualche parte conservo ancora gli appunti di quella intervista-conversazione che poi decisi di non pubblicare . Non perchĂ© troppo “padanista” e tantomeno perchĂ© “comunista”, ma in quanto “stalinista”. Infatti ad un certo punto si parlò di indipendentismo basco e catalano. E qui, fatalmente, andai a rievocare le tragiche giornate di Barcellona del maggio 1937 (vedi la Telefonica) quando gli stalinisti del PSUC eliminarono sbrigativamente decine, centinaia di militanti anarchici (FAI, CNT…) e poumisti. Come raccontò Orwell in”Omaggio alla Catalogna” (e anni dopo anche Ken Loach in “Terra e Libertà”). A questo punto la discussione si fece accesa, quasi uno scambio di insulti. Evidentemente, nonostante l’acrobatico cambio di casacca su alcune questioni i due emiliani rimanevano testardamente autoritari. Tutto qui. Non ricordo se anche il giovane – presunto – Salvini intervenne in proposito (direi di no, a memoria), ma comunque dissi loro che per quanto mi riguardava l’intervista finiva lì.

Quindi, tornando a quanto dicevo all’inizio, è possibile che Salvini i vecchi comunisti li abbia anche conosciuti, se pur non nel loro aspetto migliore. Ossia quello di compagni generosi, solidali, antifascisti…e spesso anche buoni amministratori, il che non guasta. Ma piuttosto nel loro “lato oscuro”, quello appunto piĂą autoritario.

Gianni Sartori