ISTANBUL, 3 FEBBRAIO: I CURDI SCENDONO IN STRADA, SENZA PAURA DI NIENTE E DI NESSUNO – di Gianni Sartori

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Un piccolo ripasso storico. Nell’ormai lontano 2012 centinaia di prigionieri curdi in sciopero della fame da 68 giorni avevano accettato di sospendere la loro protesta soltanto dopo una precisa richiesta in tal senso di Ocalan.

Ora ci risiamo, pare.

Domenica 3 febbraio Istanbul è stata “invasa” da decine di migliaia di manifestanti – in maggioranza curdi – che hanno risposto entusiasticamente all’appello del Partito democratico dei popoli (HDP) a sostegno di militanti e prigionieri in sciopero della fame per protesta contro l’isolamento a cui viene sottoposto Abdullah Ocalan. 

Incamminatasi dall’obelisco di Incirli per radunarsi in una piazza di Bakirkoy (“Piazza della Libertà”, nella parte europea della cittĂ ) la moltitudine inalberava bandiere di HDP, immagini di Leyla Guven e degli altri prigionieri in sciopero della fame.

Tra gli slogan maggiormente scanditi “Biji Serok Apo” e “Biji berxwedana Leyla”.

Nel frattempo, ovviamente, venivano sottoposti a rigide misure di controllo  (accurate perquisizioni,  sequestro di simboli e materiale propagandistico di HDP…)  da parte della polizia.

Purtroppo non sono mancati gli arresti. Alla fine della manifestazione almeno sei persone sono state fermate dalla polizia: Emine Bozkurt, Omer Aslan, Ozkan Yigit, Idris Bozkurt, Helin e Kubra Altun.

Attualmente nelle carceri del Kurdistan e della Turchia sono almeno 250 i prigionieri politici curdi che hanno intrapreso un lungo sciopero della fame al seguito di Leyla Guven. Da ormai tre mesi, la deputata di HDP ha smesso di alimentarsi affinchĂ© il prigioniero Ocalan – sequestrato nel 1999 –  possa incontrare regolarmente i suoi avvocati e familiari. E intanto l’adesione allo sciopero si è estesa anche all’Europa (vedi a Strasburgo).

A loro, ai prigionieri in sciopero, si è rivolto Fahit Ulas, militante di HDP,  inviando un “saluto agli amici che ci onorano con la loro resistenza in carcere. Sappiano che non sono soli in questa lotta. Anche noi siamo disposti a sacrificarci per questa causa se sarà necessario. Non temiamo niente e nessuno”.

Gli ha fatto eco il deputato Garo Paylan auspicando che le autorità turche riconoscano la legittimità della rivendicazioni di Leyla Guven “prima che qualcuno perda la sua vita”.

Presenti all’importante raduno anche Sezai Temelli, co-presidente di HDP e i deputati Gulistan Kocyigit, Oya Ersoy, Zuleyha Gulum, Huda Kaya, Dasan Dirayet Tasdemir, Dilsat Canbaz Kaya, Garo paylan, Ahmet Sik. Oltre naturalmente a molti esponenti di organizzazioni della societĂ  civile.

Dopo il minuto di silenzio dedicato a quanti

hanno perso la vita per la libertĂ , Sezai Temelli ha ricordato che “la pace e la giustizia giungeranno con la fine dell’isolamento”.

Per poi aggiungere: “ Noi intendiamo intensificare ulteriormente la lotta per la democrazia e la pace. PerchĂ© abbiamo un desiderio, un’idea ed è ciò che ci tiene uniti. La nostra aspirazione è quella di una nazione democratica, della pace e della libertĂ  in una terra condivisa. E’ con questo pensiero che abbiamo creato HDP invitando tutti a partecipare a questa lotta. Il nome di ciò per cui combattiamo è democrazia radicale, pace.

Questo sarĂ  l’avvenire della Turchia. E io saluto la prima persona che ha elaborato questa idea. Saluto il signor Ocalan”.

Durissimo nel criticare le politiche di Ankara, Temelli ha ribadito che “l’unica preoccupazione del governo è la guerra, loro si nutrono di sangue. Alimentano l’ostilitĂ , oppressione, la violenza.  Propagare violenza è il mezzo che hanno scelto per conservare il potere. Dobbiamo finirla con  questo stato di cose e per questo dobbiamo porre fine all’isolamento. Ora dobbiamo diventare la voce di Leyla Guven. Altrimenti il nostro paese subirĂ  ancor piĂą sofferenze e precipiterĂ  in una crisi immensa”. 

Quanto alle prossime elezioni – previste per il 31 marzo – il copresidente di HDP ha auspicato di poter “riprendersi le nostre municipalitĂ  usurpate dagli amministratori imposti dal governo (una sorta di podestĂ  di fascista memoria, a mio avviso nda) per ricostruire a livello locale la democrazia. Per sconfiggere in tutta la Turchia il blocco AKP-MHP e salvare il paese dal regime ”.

Naturalmente Erdogan non ha perso l’occasione per accusare HDP di essere, sostanzialmente “la medesima cosa del PKK”. Il ben noto ritornello con cui giustificare l’arbitraria  detenzione di molti deputati di HDP tra cui Selahattin Demirtas, recentemente proposto come candidato al Nobel per la Pace.

Va anche ricordato che la Turchia si è finora rifiutata di applicare quanto richiesto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ossia di liberare Demirtas.

Gianni Sartori

I FASCISTI SPAGNOLI (comunque mascherati o mimetizzati, magari da “socialisti”) NEGANO ANCHE LE CERIMONIE FUNEBRI. ALMENO PER I RIBELLI BASCHI – di Gianni Sartori

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Il 2 febbraio un tribunale di Vitoria-Gasteiz (Alava, Hego Euskal herria, Paese basco sotto occupazione spagnola) ha impedito, proibendola, una cerimonia in memoria del militante di ETA Oier Gomez, morto a 35 anni il 27 gennaio all’ospedale di Bayonne (Ipar Euskal herria, Paese basco sotto amministrazione francese).

Lo svolgimento della cerimonia era previsto per domenica 3 febbraio davanti al tribunale ausiliario di Gasteiz (Fronton Auzolana). Per denunciare questa ingiusta e arbitraria proibizione, familiari e amici del militante deceduto hanno immediatamente organizzato una conferenza stampa davanti al Comune, nella Plaza Nueva di Gasteiz.

Nativo di Gasteiz, Oler Gomez era stato arrestato in Francia nel 2011 dopo uno scontro a fuoco (senza vittime) con la polizia e condannato a 15 anni di reclusione.

GiĂ  nel 2012 si era ammalato di linfoma di Hodgkin e curato con chemioterapia. Non si può certo escludere che le cure, forse condotte in maniera sbrigativa, sommandosi alle dure condizioni carcerarie abbiano contribuito all’insorgere della ben piĂą grave malattia che gli venne diagnosticata nel 2017. Si trattava di un un cancro osseo vertebrale (sarcoma d’Ewing) con metastasi in stadio avanzato. GiĂ  allora i medici che lo avevano visitato definirono la sua situazione incompatibile con la detenzione. Grazie alla forte e generosa mobilitazione popolare, Oier aveva ottenuto una sospensione della pena per tentare almeno qualche cura – palliativa – a base di chemioterapia e radioterapia. Per la sua liberazione (così come per quella di altri 13 prigioniere e prigionieri baschi gravemente ammalati) era scesa in campo con particolare decisione Ipeh Antifaxista (movimento antifascista, di tendenza libertaria, in Ipar Euskal herria)che chiedeva anche la fine delle misure speciali a cui questi prigionieri e prigioniere vengono sottoposti.

In base ai dati forniti da Jaiki Hadi (l’associazione di sostegno sanitario ai detenuti), i prigionieri baschi ammalati gravemente sono almeno 21. Di questi, 15 sono giĂ  conosciuti dall’opinione pubblica mentre gli altri hanno scelto, per ora, l’anonimato.

Cos’altro dire? Forse che ormai nei “territori occupati” baschi anche ricordare i militanti morti sta diventando reato. Un bel “processo di pace”, davvero.

Gianni Sartori