DIFESA DELLA TERRA E AUTODETERMINAZIONE IN KURDISTAN – di Gianni Sartori

929758-kurds-1438318686-105-640x480

 

Kurdistan – Turchia: quello che aveva tutti i requisiti per tradursi in un autentico “processo di pace”, analogo a quanto avvenuto in Sudafrica e in Irlanda (per quanto – con il senno di poi – con risultati in parte deludenti), è da considerarsi praticamente fallito.

La colpa? Principalmente dello Stato (quello turco ovviamente, per ora il Kurdistan è e rimane “nazione senza Stato”) che ha sostanzialmente mancato in tutte le sue promesse.

Questa – sembrerebbe di capire al di lĂ  di ogni eufemismo – è anche l’opinione del presidente dell’Associazione turca dei diritti dell’uomo (IHD), Ozturk Turkdogan (vedi una recente intervista su Le Corrier).

Invece di raccogliere il ramoscello d’ulivo offerto da Ocalan e dal movimento di liberazione curdo, il governo di Ankara ha ripreso, brutalmente, le operazioni militari contro la popolazione curda. Stando ai dati forniti da IHD sarebbero 353 i civili (quelli finora accertati, beninteso) morti ammazzati nei soli primi tre mesi del 2018 (e 246 i feriti). Il numero dei desplazados (profughi interni) si aggira sul mezzo milione. Come se non bastasse, migliaia di ettari di foresta vengono dati alle fiamme e così molte zone agricole. Interi quartieri – talvolta intere cittĂ  – sono stati bombardati, al punto da demolirli quasi completamente. Con particolare ostinazione contro il centro storico di Diyarbakir. In tale caso appare evidente quale fosse il valore simbolico dell’opera di distruzione (un po’ come la distruzione di Gernika da parte dei franchisti – con aerei italiani e tedeschi – nell’aprile 1937). La pratica – giĂ  di per sĂ© ignobile – di incendiare le foreste curde (vuoi come contro-insurrezione, vuoi “semplicemente” per allontanare la popolazione autoctona) non è certo una novitĂ  per lo stato turco. E’ operativa almeno dal 1925, in coincidenza con la ribellione di Sheik Said. Proseguita durante il periodo passato alla Storia come il “genocidio di di Dersim” e il “piano di riforma orientale”.

Dagli anni novanta a oggi tale sistematico ecocidio è andato ulteriormente amplificandosi, diventando una pratica che non appare esagerato definire pressochĂ© quotidiana. In particolare nel periodo estivo, quando gli incendi risultano piĂą devastanti per ovvie ragioni climatiche. Recentemente da Lice a Genc, da Amed a Bingol per proseguire in Cudi, Gabar, Herekol, Besta e Sirnak. I soldati turchi appiccano intenzionalmente, deliberatamente e – ca va sans dire – impunemente il fuoco (anche per creare il vuoto – per maggior sicurezza, la loro ovviamente – attorno alle basi militari). E se l’habitat va letteralmente in fumo, pazienza!

fires-in-the-jungles-of-eastern-Kurdistan

Un esponente della Piattaforma per la difesa dell’ambiente di Hewsel ha spiegato che “come ogni estate le foreste bruciano, sia in Turchia che in Kurdistan”. Ma in Kurdistan agirebbe anche un altro motivo “l’apertura di zone estrattive a vantaggio dell’Ovest”. O anche “la realizzazione di futuri centri turistici (quando il fumo si sarĂ  completamente diradato, si presume nda) per realizzare ulteriori profitti”.

Proprio come i baschi all’epoca della Guerra civile spagnola, i curdi non sono rimasti a guardare. La Resistenza in Bakur si è concretizzata – a partire dall’estate 2015 – dichiarando e mettendo in pratica (per quanto umanamente possibile in tale contesto) l’autonomia amministrativa di cittĂ  e villaggi.

In pratica: il Confederalismo democratico, l’aspirazione profonda – e strategica – di gran parte del popolo curdo. Ovviamente non stavano improvvisando. Risale al 2007 la costituzione di una prima struttura politica (denominata DTK , ossia Congresso per una societĂ  democratica) formata da movimenti sociali, comitati, amministrazioni comunali, sindacati, associazioni…

Nei comuni dove era stata avviata tale pratica di democrazia diretta (inevitabili i confronti con le collettivizzazioni in Aragona e Paisos Catalans nel 1936-1937 e il riferimento al municipalismo libertario) ai cittadini era affidata direttamente la gestione della cosa pubblica, nella prospettiva della costruzione di una societĂ  affrancata dal sistema patriarcale, praticando un’economia di solidarietĂ  e rispettosa dell’ambiente naturale.

In quanto, come sostiene l’associazione MEH (Movimento ecologista di Mesopotamia) “la lotta per la salvaguardia della natura è parte integrante della lotta per una societĂ  democratica, liberata e di emancipazione”.

Ma – tornando alle operazioni militari intraprese dallo stato turco – quale potrebbe essere il progetto finale di questa vera e propria tattica militare applicata da Ankara? Forse – azzardo – spopolare, svuotare totalmente questi territori della popolazione indigena (curda) e – dopo le macerie, il sangue e le rovine – procedere alla ricostruzione per rivendere le aree curde a ricchi investitori. Previo allontanamento della popolazione, talvolta impossibilitata – letteralmente – anche a respirare per il fumo degli incendi.

E se questa non è “pulizia etnica” – anche attraverso la desertificazione dei territori – ditemi voi cos’altro sarebbe…

Gianni Sartori

STORIA – SEGNALAZIONI EDITORIALI – “Il caso Berneri” – di Saverio Werther Pechar

Book berneri

IL CASO BERNERI – Antifascisti italiani nella Spagna rivoluzionaria (1936-1937),  scritto da Saverio Werther Pechar  – editore ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti).

 

Tra il 1936 e il 1937, la fase iniziale della Guerra Civile Spagnola fa da sfondo ad una serie di avvenimenti che vedono coinvolti alcuni tra i piĂą autorevoli esponenti dell’antifascismo italiano in esilio.

Mentre a Barcelona Camillo Berneri e Carlo Rosselli istituiscono la sezione italiana della colonna anarcosindacalista “Ascaso” e partono volontari per il fronte dell’Aragona, si verifica una sparizione di un ingente carico di lingotti e di gioielli, destinati dal Governo Repubblicano ad essere trasportati al di lĂ  della frontiera verso la Francia.

I sospetti cadono sull’entourage del libertario lombardo e si accende quindi nei suoi confronti una lotta senza esclusione di colpi, ispirata del ministro socialista Angel Galarza e culminata con i “fatti di maggio”,  al termine dei quali i corpi di Berneri e del suo amico Francesco Barbieri vengo ritrovati senza vita nelle strade di Barcelona.

L’autore tenta di dare una risposta a tutti gli interrogativi che nascono dal caso, analizzando con senso critico ed imparzialitĂ  fatti e documenti, focalizzando la sua attenzione anche sugli ambienti del nazionalismo catalano e dello spionaggio fascista.