#Asia #Pakistan #Opinioni – IL PAKISTAN BRUCIA, MA NON PER QUESTO SI DEVE RINUNCIARE ALLE SETTIMANE BIANCHE…CI MANCHEREBBE – di Gianni Sartori

fonte immagine @ Akhtar Soomro/REUTERS

Il Pakistan, già in sofferenza per gli attacchi dell’estremismo islamico e per i disastri ambientali, rischia forse di precipitare nella guerra civile. Niente di nuovo naturalmente. Almeno per le minoranze etniche e religiose e – soprattutto – per le donne, i bambini, i diseredati.

 Vittime designate di una costante “guerra a bassa intensità”.

 Ma l’importante e continuare a sciare sulle “cime inviolate” del terzo Polo. Come non mancano di segnalarci amabilmente su Instagram (mi dicono) i vacanzieri d’alta quota nostrani.

Ma cosa sta succedendo in Pakistan? Davvero siamo alle soglie di una guerra civile? O stiamo assistendo al preludio (“con altri mezzi”) della campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre (salvo modifiche, rinvii)?

In realtà per alcune minoranze etniche o religiose: hazara (https://centrostudidialogo.com/2021/01/26/asia-popolioppressi-pakistan-il-dramma-dimenticato-degli-hazara-di-gianni-sartori/ ), beluci (https://www.rivistaetnie.com/pakistan-spariscono-minoranze-etniche-132877/ ), (https://www.rivistaetnie.com/pakistan-eliminazione-fisica-dei-beluci-127008/ ) cristiani (https://www.rivistaetnie.com/zafar-bhatti-condannato-a-morte-133615/ ), sciiti…così come per le donne, i bambini e un gran numero di diseredati, la situazione era già difficile. Tra attentati, aggressioni, (guerra a bassa intensità?), discriminazioni…che si vengono a sovrapporre (con effetti sinergici) alla grave crisi economica e alla disastrosa situazione sanitaria (https://bresciaanticapitalista.com/2022/10/11/mentre-le-popolazioni-e-i-territori-pakistani-se-la-passano-sempre-peggio-gli-scanzonati-turisti-dalta-quota-insistono-nella-conquista-delle-vette/ ). Per non parlare di alluvioni e altre emergenze ambientali (https://centrostudidialogo.com/2023/03/19/asia-sindh-a-sei-mesi-dallalluvione-nelle-zone-devastate-la-popolazione-resta-in-attesa-di-gianni-sartori/ ). Ma questo non sembra turbare più di tanto i vacanzieri  (https://centrostudidialogo.com/2020/02/17/pakistan-ma-sono-moralmente-accettabili-le-settimane-bianche-in-paesi-sottoposti-a-regimi-militaristi-e-repressivi-di-gianni-sartori/ ). Sempre intenti a individuare qualche residua “cima inviolata” (lapsus rivelatore?) da cui scendere con gli sci (anche qualche giorno fa nella regione del Gilgit-Baltistan).

Mentre – che so – negli anni ottanta del secolo scorso era quasi normale (almeno per persone con un minimo di coscienza sociale, politica…) boicottare almeno turisticamente un paese come il Sudafrica dell’apartheid e in epoca più recente la Turchia che reprime il popolo curdo, oggi come oggi andare a trascorrere le “settimane bianche” in Pakistan per alpinisti, escursionisti e sciatori nostrani non sembra assolutamente fuori luogo. Anche a persone che magari poi se la tirano con le questioni umanitarie e ambientali.

Ultimamente uno dei personaggi più in vista, noto per le sue superspedizioni sponsorizzate (neocolonialismo?) è andato in televisione a denunciare il riscaldamento globale consigliando ai comuni mortali di “farsi meno docce”!

Cominciasse lui a rinunciare a elicotteri e altro, magari si potrebbe anche riparlarne.

O quelli che mentre denunciano lo scioglimento dei ghiacciai del “Terzo Polo” vi contribuiscono con i loro mezzi (nel senso di veicoli).

Detto questo, segnalo un recente avvenimento, sintomo emblematico di una situazione in via di ulteriore degrado (e qui non mi riferisco a quello ambientale).

Qualche giorno fa Muhammad Alam Khan, un poliziotto assegnato alla protezione della Catholic Public High School (una scuola cattolica femminile) nel nord-ovest del Pakistan (a Sangota, nella valle dello Swat, provincia del Khyber Pakhtunkhwa), ha aperto il fuoco contro il pulmino che trasportava le allieve uccidendone una di 8 anni e ferendone altre sei e un’insegnante.

Il tragico episodio è avvenuto nella stessa regione da cui proviene Malala Yousafzai, l’attivista premio Nobel per la pace per aver condotto una campagna contro il divieto all’istruzione femminile imposto dal Tehreek-e Taliban Pakistan (TTP, i talebani pakistani). Nel 2012 anche lei era stata colpita alla testa da un proiettile sull’autobus per tornare a casa da scuola, mentre anni fa la Catholic Public High School aveva dovuto chiudere per le minacce e per gli attentati.

Nel 2022 in questa provincia si sono registrati almeno 225 attentati (“solo” 168 nel 2021). O almeno secondo le cifre ufficiali. Da parte loro i miliziani legati alTTP ne avevano rivendicato oltre 360. Senza dimenticare gli attacchi di un’altra organizzazione jihadista- terrorista operativa anche in Pakistan: lo Stato islamico che solo nel marzo 2022 aveva ucciso oltre 60 persone.

E anche il 2023 non sembra promettere bene. Solo nei primi quattro mesi sono già 180 quelli ufficiali.

Nel gennaio di quest’anno i talebani pakistani avevano rivendicato anche il sanguinoso attacco suicida (con oltre una trentina di morti e centinaia di feriti) ad una moschea di Peshawar, situata in un complesso dove si trova il quartiere generale della provincia del Khyber Pakhtunkhwa.

Per completezza va anche ricordato che gli attentati non sono monopolio esclusivo degli estremisti islamici. Un attacco suicida dell’agosto 2021 nella città di Gwadar (contro un veicolo cinese) era stato rivendicato dai separatisti beluci.

Una situazione drammatica, convulsa e foriera di ulteriori lutti.

Non per niente tra le questioni sollevate dall’attuale conflitto interno tra governo e opposizione (ma anche tra militari e una parte della società civile) appare rilevante l’accusa di ambiguità rivolta all’ex primo ministro Imran Khan. Per aver consentito, favorito il rientro in patria dei talebani pakistani purché garantissero di deporre le armi (cosa auspicabile ma difficile da realizzare). Come era prevedibile, nonostante le trattative per il loro reinserimento e per una “soluzione politica” del conflitto, dopo poco tempo gli attentati erano ripresi. Alimentando il sospetto che i colloqui, le trattative avessero in realtà consentito al Ttp di riorganizzarsi.

Quanto alle numerose azioni giudiziarie lanciate contro il leader del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) per corruzione e reati finanziari (e anche un probabile tentativo di eliminarlo fisicamente, stroncato dalla mobilitazione dei militanti del PTI), presumibilmente in parte strumentali, per ora sembrano aver portato più che altro all’incarcerazione di tanti suoi seguaci. Pare anche dietro sua indicazione: farsi arrestare per “saturare le carceri e screditare il governo” … (quanto meno un rischioso azzardo direi).

Tra le accuse principali, quella relativa all’Al-Qadir Trust, proprietà di Khan e della moglie, a cui l’impresa immobiliare Bahria Town avrebbe fornito un terreno del valore di 530 milioni di rupie (1,71 milioni di euro)

Ma forse Imran Khan sta anche pagando il prezzo di un suo avvicinamento alla Russia (malvisto dagli Usa, oltre che dall’India per ragioni inverse).

Questo potrebbe aver innescato la rottura con l’esercito e favorito la sua defenestrazione.

Come è noto l’ex primo ministro è stato arrestato (a quanto sembra da un gruppo paramilitare legato ai servizi segreti) mentre si trovava all’Alta corte di Islamabad per testimoniare in un processo.

Naturalmente non mancano (anche a sinistra, tra quella più “campista”) gli estimatori del regime pakistano.

Pensando di intravedervi una componente di possibili ”blocchi egemonici alternativi musulmani” per un mondo multipolare contro l’imperialismo statunitense. Blocchi di cui potrebbero far parte sia la Turchia che l’Iran e in buoni rapporti con Russia e Cina. Sarà, ma non mi convince. In realtà è più probabile che il Pakistan (come da tradizione) continuerà a giocare su due tavoli.Se con gli Stati Uniti prevale la collaborazione sul piano militare (e i finanziamenti), con la Cina va sviluppando l’aspetto commerciale (vedi la Via della Seta)..

Lasciando per ora da parte l’altro rischio, quello di un possibile conflitto nucleare con l’India. Magari a causa di un “malfunzionamento tecnico”, di un errore. Come quando nel marzo scorso l’India ha lanciato accidentalmente un missile supersonico in Pakistan. Caduto senza danni particolari nel Punjab (distretto di Khanewal).

Gianni Sartori

#Africa #Acqua – MMAMAHABANE (SUDAFRICA): LE PROTESTE PER I TAGLI AI RIFORNIMENTI DI ACQUA PROVOCANO ALMENO NOVE ARRESTI TRA I MANIFESTANTI – di Gianni Sartori

Fatte le debite proporzioni (e pur sapendo che il risultato è stato forse deludente rispetto alle aspettative di chi aveva tanto sofferto e lottato) con la fine del sistema segregazionista la situazione in Sudafrica è sicuramente migliorata. Se non altro per la possibilità di ulteriori passi avanti. Resta da capire perché tante promesse fatte a suo tempo dall’ANC (e che almeno per Mandela erano anche le sue speranze) non siano state poi mantenute. Per esempio: a quando l’auspicata riforma agraria?

Altre questioni rimaste in sospeso, quelle del rifornimento di acqua potabile e di energia elettrica.

Nel secolo scorso – mi raccontava la mai dimenticata Febe Cavazzutti, pastora valdese espulsa per il suo impegno a fianco dei Neri contro l’apartheid – per gli abitanti di alcune bidonville l’unico modo per procurarsi acqua pulita per lavarsi era utilizzare quella di qualche cimitero (dei bianchi) prelevandone abusivamente.

Un problema non certo definitivamente risolto anche ai nostri giorni.

Il 16 maggio gli abitanti di Mmamahabane (Ventersburg) avevano bloccato con barricate di pietre e pneumatici dati alle fiamme le due corsie della N1. Protestavano appunto per le continue sospensioni della fornitura di acqua. La polizia era intervenuta con forza rinfoltendo i propri ranghi anche con agenti provenienti da altre località.

Ai primi sei arresti di manifestanti, se ne sono presto aggiunti altri (tre donne) per “violenza pubblica” e per resistenza alla forze dell’ordine.

Due giorni dopo, il 18 maggio, oltre centocinquanta persone si sono radunate davanti al tribunale di Ventersburg in solidarietà con gli arrestati sottoposti a giudizio.

Già l’anno scorso, in settembre, analoghe proteste dei cittadini di Mmamahabane avevano portato ad altri arresti.

Ma non è solo il rifornimento idrico a venir regolarmente interrotto.

Proprio il 18 maggio l’Eskom (l’azienda elettrica statale, attualmente indebitata per quasi 25 miliardi di dollari) ha preannunciato un “inverno (quello australe beninteso nda) molto difficile” con un incremento consistente di riduzioni e sospensioni nelle forniture dell’elettricità (prodotta con centrali a carbone e una nucleare).

Già da oltre un anno si assisteva a regolari blackout programmati per almeno dieci ore giornaliere. Da giugno si prevede una interruzione di 16 ore sul ciclo di 32.

Il partito di opposizione Alleanza democratica si è scagliato contro l’Eskom accusandola sia di voler “mantenere a tutti i costi il monopolio” (per esempio ottenendo dal tribunale di Johannesburg l’imposizione di limiti alla produzione di energia da parte di alcune compagnie private), sia di insistere nel fossile senza cercare fonti alternative (solare, eolico…).

In “compenso” (si fa per dire) il governo starebbe per rilanciare il progetto per l’esplorazione di gas di scisto nella regione del Karoo. Bloccato dieci anni fa dalle proteste di ambientalisti e agricoltori.

Gianni Sartori

#Ireland #Belfast – IRLANDA DEL NORD: CONDANNATA UNA MILITANTE REPUBBLICANA – di Gianni Sartori

Tra questioni irrisolte e repressione del dissenso, come procede in Irlanda del Nord? In mancanza di chiarimenti da parte degli “addetti ai lavori”, cerchiamo di orientarci.

Per un certo numero di “addetti ai lavori” il dramma irlandese (soprattutto lo sciopero della fame del 1981) ha rappresentato se non proprio il fondamento di una carriera (libri, articoli, consulenze, partecipazione a convegni, dibattiti, trasmissioni radiofoniche…), perlomeno un buon trampolino di lancio. Giornalisti e scrittori soprattutto, ma anche operatori turistici “alternativi”, quelli che vi portano a vedere i murales.

Sia di Destra (vedi i soi-disant “terceristi” nostrani) che di Sinistra (qui andiamo già meglio, in genere c’è stata buonafede, perlomeno inizialmente). Oltre a una vasta schiera di non classificabili (in genere provenienti da Destra, ma talvolta – saggiamente e proficuamente – approdati a generiche posizioni progressiste, magari impregnate di cattolicesimo che per l’Irlanda non guasta mai). Salvo poi commentare in maniera vergognosa (schizofrenica ?) altre lotte di liberazione (come tutte, quella irlandese compresa, non certo prive di ombre e contraddizioni). Vedi per es. le lodi sproporzionate a un’opera discutibile come “Patria” sulla questione basca.

Grazie anche al contributo di tali personaggi, a Bobby Sands e compagni era toccato in sorte (loro malgrado presumo, erano tutti giovani proletari, gente comune) il ruolo di icona (di “santino”).

Invece su coloro che, magari sbagliando, a Belfast e a Derry hanno creduto di dover procedere su quella stessa strada (per la riunificazione dell’Isola, per l’autodeterminazione e magari, se non è chiedere troppo, per il socialismo) anche dopo gli accordi del Venerdì Santo (firmati nel 1998 da Tony Blair e Bertie Ahern), è calato il velo impietoso dell’oblio (o peggio). Nella più benevola delle ipotesi, abbandonati al loro destino di sconfitti della (o dalla ?) Storia.

Riepiloghiamo. Recentemente (febbraio 2023) l’Unione europea e il governo di Londra avevano messo a punto un accordo sulle modalità di applicazione del protocollo per l’Irlanda del Nord (teoricamente in vigore dal 2020). Con la dichiarata intenzione di evitare che – dopo la Brexit – si ricostituisse una frontiera fisica per la libera circolazione delle merci in Irlanda.

Accordo poi approvato ufficialmente dagli Stati membri della Ue il 21 marzo 2023. E di questo ne siamo tutti contenti, ma forse qualche contenzioso è destinato a rimanere ancora aperto.

Come sembrerebbero indicare alcuni segnali, qualcuno di bassa intensità (ordinaria amministrazione). Come in questi giorni la rimozione forzata parte della polizia nordirlandese (la PSNI, erede della RUC) dei cartelli a sostegno dell’Ira (posti – si ritiene – da militanti di Saoradh) nelle aree repubblicane di Derry (in particolare a Creggan, il quartiere di Patsy e Peggy O’Hara). Mentre questo avveniva, gruppi di giovani esprimevano il loro dissenso lanciando pietre sui mezzi della PSNI. A cui viene anche rinfacciato di non aver agito con la stessa determinazione quando si trattava di rimuovere i simboli unionisti, compresi quelli inneggianti alle bande lealiste UVF e UFF.

Altro segnale (un messaggio agli “irriducibili”?) l’arresto avvenuto il 18 maggio di una militante repubblicana, la sessantacinquenne di West-Belfast (principale enclave del proletariato cattolico-repubblicano) Perry Fionnghuala Perry, conosciuta anche come Nuala.

Già condannata in giovanissima età per la sua militanza, ora Perry viene accusata di aver raccolto informazioni e di averle messe a disposizione dei dissidenti della Real IRA. Il processo, senza giuria, a suo carico si era svolto in marzo per concludersi con la condanna. Per l’accusa avrebbe ricopiato (fotocopiato?) alcuni documenti di un rapporto in merito al recupero di armi da fuoco da parte della polizia. Documenti rinvenuti nella sua abitazione nel febbraio di cinque anni fa durante una perquisizione.

Certo in fondo si tratta di piccole cose. Ben più rilevante (e a mio avviso preoccupante ) la recente dichiarazione del portavoce per gli affari esteri del Sinn Fein con cui si ribaltava una presa di posizione storica. Di fatto, la rinuncia (temporanea? Definitiva?) all’impegno (più volte ribadito in passato, anche come promessa elettorale) di ritirarsi dall’accordo di difesa comune dell’UE (Pesco) e dal progetto Partnership for Peace (PIP) della NATO.

Ancora un segno dei tempi?

Gianni Sartori