#Americhe #Attentati – BOLIVIA: MORALES NEL MIRINO, FORSE NON SOLO METAFORICAMENTE – di Gianni Sartori

L’ex presidente boliviano Evo Morales ha denunciato un tentativo di sequestro, forse di assassinio, nei suoi confronti avvenuto nella mattinata del 27 ottobre. Stando a quanto si legge in un comunicato, mentre percorreva in auto la strada da Villa Tunari verso Lauca Ñ (nella zona, dipartimento di Cochabamba, sorge una caserma militare) per partecipare al suo programma radiofonico a Radio Kawsachun Coca “due furgoni (almeno tre secondo una ricostruzione successiva tratta da un video nda) tentavano di fermarlo e gli occupanti sparavano numerosi colpi (complessivamente circa una ventina in due momenti successivi nda) contro il veicolo su cui viaggiava”. Tanto che l’autista è rimasto ferito al braccio e alla testa.

Sospettando che il probabile mandante dell’imboscata sia l’attuale presidente Luis Arce (“Lucho”), Morales ha diffuso un messaggio in X in cui sostiene che Arce sia letteralmente impazzito (“Lucho se volvió loco”).

Sul momento non si registravano condanne da parte del governo boliviano. Successivamente venivano date assicurazioni di una “inmediata y minuciosa investigación para esclarecer las circunstancias del presunto atentado”.

Mentre altre fonti governative avanzavano l’ipotesi di un “auto-attentato”, al leader del MAS giungevano calorose espressioni di solidarietà dai governi di Venezuela, Cuba, Honduras, Colombia…

In un messaggio del presidente colombiano Gustavo Petro si legge. “Tutta la mia solidarietà a Evo, il fascismo si espande in tutta l’America Latina. Ormai non si tratta più soltanto di eliminazione giuridica (un riferimento forse a quando venne incarcerato Lula e alle recenti denunce contro Morales nda), ma tornano ai metodi di sempre: l’eliminazione fisica”.

Aggiungendo che “la scelta delle destre di rompere il patto democratico mette in pericolo le decisioni del voto popolare. Il tempo che stiamo vivendo, con la policrisi mondiale (v. Edgar Morin nda) del capitalismo e dell’umanità, è un tempo in cui bisogna prendere posizione per giungere a una democrazia reale e globale”.

Così dal Venezuela: “Questo fatto ripugnante rappresenta un atto di violenza fascista che vorrebbe introdurre la violenza e l’odio politico nella società boliviana”.

Mentre Bruno Rodriguez, cancelliere cubano, ha definito l’attentato “un’aggressione codarda alla pace e alla stabilità”.

Solidarietà a Morales e condanna per l’inquietante episodio anche dall’ex presidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner e dal segretario generale dell’OEA (Organizacion de los Estados Americanos), Luis Almagro.

Non è da sottovalutare che il fatto sia avvenuto a due settimane dall’inizio dei blocchi stradali da parte dei sostenitori di Morales che chiedono una soluzione per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e la carenza di combustibile. Oltre a opporsi all’arresto di Morales richiesto dalla Fiscalía boliviana per il presunto “abuso de una menor cuando ejercía el poder”.

Accusa sempre respinta da Morales come “una mentira más” orchestrata dal governo.

Per la precisione, Morales è indagato per “tratta di esseri umani e violenza sessuale su minorenni” insieme ai genitori di una ragazza che l’avrebbero “donata all’ex capo dello stato in cambio di favori”. Ovviamente si tratterebbe di un fatto estremamente esecrabile, ma è perlomeno sospetto che la denuncia risalga al 26 settembre 2024, ossia ad appena tre giorni dalla conclusione di una protesta contro il presidente in carica Luis Arce – Da tempo in aperto contrasto con Morales per il controllo del MAS.

Per l’ex presidente si tratterebbe semplicemente dell’ennesimo atto di una “persecuzione politica orchestrata da mesi” per impedirgli di candidarsi alla presidenziali del 2025.

Poco prima del presunto attentato spiegava che “la strumentalizzazione della giustizia (lawfare, delegittimazione degli avversari politici con mezzi giuridici nda) è il nuovo Piano Condor: non si uccide più a colpi di pistola, ma si promuovono omicidi morali attraverso sentenze contro leader popolari. Hanno avviato contro di noi quattro processi giudiziari contemporaneamente per ottenere il nostro arresto”. Magari oggi sarebbe più drastico.

Tornando ai blocchi stradali tuttora in atto, stando ai dati forniti dall’Administradora Boliviana de Carreteras il 28 ottobre, sono almeno 22 e interessano le strade principali che uniscono Cochabamba con La Paz, Oruro e Santa Cruz. Con perdite calcolate in 1.200 milioni di dollari secondo il ministero di Desarrollo Productivo y Economía Plural.

Successivamente Morales, davanti alla Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) ha richiesto la destituzione di due ministri.

Precisando che “si Luis Arce no dio las órdenes de matarnos debe destituir y procesar de inmediato a sus ministros de Defensa y de Gobierno, Edmundo Novillo y Eduardo Del Castillo”.

Il 28 ottobre interveniva in conferenza stampa il ministro del Gobierno bolivianoEduardo del Castillo attaccando a sua volta Morales di far “teatro”. Confermando gli spari, ma sostenendo che l’ex presidente in realtà cercava di sfuggire a un “puesto de control en Chapare”. Contro cui avrebbe aperto il fuoco per primo invece di fermarsi all’ordine degli agenti. Accusandolo esplicitamente di “tentato omicidio contro un uomo in divisa”. Ovviamente il leader cocalero ha negato tale eventualità precisando che “ninguno de nosotros llevaba ningún tipo de armamento”. E aggiungendo che “ahora ya nadie duda de que el atentado fue perpetrado por un grupo de élite militar y policial”.

Per Gualberto Arispe, deputato del MAS potrebbe trattarsi di un tentato sequestro, forse per poi trasferirlo a Santa Cruz nell’ambito delle indagini a suo carico. Mascherandolo come un “ ataque de narcotraficantes o un ajuste de cuentas” (regolamento di conti) nel caso in cui l’ex presidente fosse rimasto ucciso. Aggiungendo comunque che le proteste aumenteranno e così il blocco della circolazione. Tanto che – a suo avviso – il governo di Luis Arce Catacora “tiene los días muy contados”.

Ancora più radicali le dichiarazioni di un dirigente campesino, Víctor Choque.

Confermando che – a seguito della ventilata possibilità di far intervenire l’esercito contro i blocchi stradali – le organizzazioni dei produttori di foglie di coca del Tropico di Cochabamba avrebbero già preso la decisione di “retirar a sus hijos del servicio militar de los puestos castrenses de la región”. In quanto “nuestros hijos no pueden mancharse matando a los movilizados”. Nella consapevolezza che l’attentato a Morales coincideva con le previste operazioni congiunte di esercito, polizia e paramilitari per eliminare i blocchi stradali. Operazioni rese possibili dai recenti cambiamenti avvenuti negli alti livelli dell’esercito e della polizia. Un piano ben congegnato.

Inevitabile, confrontando le rispettive biografie dei due antagonisti, coglierne l’oceanica distanza.

Juan Evo Morales Ayma, detto el Indio, è stato il primo presidente indigeno a guidare uno stato sudamericano dopo più di 500 anni dalla “scoperta” attribuita a Colombo. Già esponente sindacale dei cocaleros della Bolivia (confederazione di contadini, con una forte componente quechua e aymara) è stato il fondatore del MAS (Movimiento al Socialismo).

Era nato in una famiglia indigena aymara nella città mineraria di Orinoca (dipartimento di Oruro) negli altopiani. Da qui i suoi si trasferirono nei bassopiani dell’est (provincia di Chapare) dedicandosi all’agricoltura e alla coltivazione di coca.

Diventato elemento di spicco del movimento (molti erano ex minatori rimasti senza lavoro per le ristrutturazioni neoliberiste degli anni ottanta), Evo nel 1997 veniva eletto alla Camera dei deputati in rappresentanza delle province di Chapare e di Carrasco (Dipartimento di Cochabamba). Con la più alta percentuale di voti (70%).

Venne poi forzatamente espulso dal Congresso nazionale con accuse pretestuose di “terrorismo” (per le sue iniziative in difesa dei cocaleros), presumibilmente su richiesta di Washington. Rimozione che in seguito venne classificata come “incostituzionale”.

Come è noto divenne presidente della Bolivia con le elezioni (anticipate) del dicembre 2005.

Ma – per farla breve – se Morales si è guadagnato legittimamente un posto nella Storia (e in particolare in quella della Resistenza indigena) lo si deve allo storico (appunto) decreto del 2006. Nell’anno precedente, attraversato da ingenti proteste popolari, il Congresso boliviano aveva approvato una legge sull’energia che aggiungeva al canone già esistente del 18% una tassa sulla produzione del 32%. Tale provvedimento obbligava le imprese a rinegoziare i propri contratti con lo Stato.

Ma il 1º maggio 2006 (data scelta non a caso) Evo Morales, in quanto presidente e mantenendo così le promesse fatte in campagna elettorale, emanò un decreto di nazionalizzazione di tutte le riserve di gas naturali boliviane.

Per cui lo Stato riprendeva “la proprietà, il possesso e il totale e assoluto controllo degli idrocarburi”. Inviando l’esercito e i tecnici della compagnia di Stato (YPFB) a occupare gli impianti. Dando alle compagnie straniere sei mesi di tempo per rinegoziare i contratti o venir espulse.

Altra storia, si diceva, quella di Luis Arce. Nato a la Paz nel 1963, figlio di due insegnanti. Cresciuto in una famiglia della classe media, si era diplomato al liceo nel 1980. Aveva poi studiato all’Istituto di educazione bancaria di La Paz, diplomandosi come contabile nel 1984. Conseguiva nel 1991 una laurea in economia all’Università Superiore di San Andrés per poi completare gli studi presso l’Università di Warwick a Coventry (Gran Bretagna) con un master in economia nel 1997. Altri titoli accademici: un paio di dottorati onorari presso l’Università delle Ande (UNANDES) e l’Università Privata Franz Tamayo (UNIFRANZ) in Bolivia. Nel gennaio 2003 (incautamente con il senno di poi) Morales lo aveva nominato al Ministero delle Finanze. Nel 2009, assumeva il nuovo Ministero dell’Economia e delle Finanze Pubbliche. Vincitore alle presidenziali del 2020 come candidato del MAS, contro il suo insediamento ci fu un fallito tentativo golpista da parte del ministro della difesa del precedente governo Áñez (Luis Fernando López) e di ufficiali boliviani.

Gianni Sartori

* nota 1: Questo il messaggio di Evo su X: “La mentira organizada del gobierno y sus medios de comunicación pagados se esfuerzan todavía por desviar la verdad sobre el atentado criminal que sufrimos este domingo en el Trópico del que gracias a Dios, a mis padres Q.E.P.D y a nuestra Pachamama logramos salvar la vida. Ahora ya nadie duda de que el atentado fue perpetrado por un grupo de élite militar y policial. Si Luis Arce no dio las órdenes de matarnos debe destituir y procesar de inmediato a sus ministros de Defensa y de Gobierno, Edmundo Novillo y Eduardo Del Castillo. El Pueblo sabe que la verdad siempre se impondrá tarde o temprano”.

#IncontriSulWeb – CURDI, UN POPOLO, UNA CULTURA, UNA LINGUA – un estratto

Un estratto dell’incontro con la dr.ssa Nurgül Çokgezici , psicologa, docente, traduttrice, mediatrice linguistico culturale e componente attiva della Comunità curda di Milano, per offrire una testimonianza di prima mano sul Popolo Curdo, sulla sua Cultura e sulla sua Lingua. Per vedere il video completo https://youtu.be/rKKRrXdMp7E?si=kSQjUh3i3mjvlSlh

#Catalunya #Opinioni – AMNISTIA, AMNISTIA…PER PICCINA CHE TU SIA… – di Gianni Sartori

Capisco che possa lasciare, non dico “basiti” (si è visto ben altro), ma perlomeno perplessi. “Ma come – sento dire – viene adottata per quanto tardivamente una legge di amnistia (richiesta e concepita a favore degli indipendentisti catalani nda) e poi a usufruirne sono le forze dell’ordine, quelle che hanno picchiato i refrattari alla monarchia spagnola? Ma si può?”.

Tranquilli: si può, si può… Del resto basterebbe guardarsi indietro. per esempio all’amnistia del dopo apartheid. A conti fatti, a trarne beneficio sono stati forse più i vigilantes al servizio del regime sudafricano, i torturatori…più ancora dei dissidenti di ANC e PAC. Così in Irlanda, dove – sempre a spanne – probabilmente ne sono usciti meglio quelli delle milizie lealiste (UVF, UFF..) piuttosto che i repubblicani.

Per non parlare della Colombia! Per certi aspetti una farsa. Non solo per le centinaia di esponenti della società civile, sindacalisti, indigeni ed ex guerriglieri eliminati nel corso del processo di pace. Ma soprattutto pensando a quanti membri degli squadroni della morte (statali o parastatali) sono rientrati in società con la fedina penale intonsa (magari per riprendere i loro traffici).

E non voglio nemmeno ricordare, per carità di patria, l’amnistia di Togliatti che rimise in circolazione una caterva di fascisti mentre sotto processo finivano i partigiani.

Ricapitolando. Ai primi di giugno i deputati spagnoli, dopo un’ultima sessione a dir poco incandescente (condita di reciproci insulti) avevano approvato (177 a favore, 172 contro) una legge di amnistia. Senza peraltro fornire il numero preciso dei potenziali beneficiari. Mentre per il Governo si trattava di circa 400 persone, per gli indipendentisti la cifra si aggirava sui 1400.

Tra loro, l’ex presidente del governo autonomo catalano, Carles Puigdemont, l’ex vicepresidente ed esponente di ERC Oriol Junqueras, l’altro leader di ERC Josep Maria Jové.

Oltre a sindaci, consiglieri comunali, direttori televisivi e radiofonici, funzionari che in qualche modo avevano partecipato all’organizzazione del referendum sull’indipendenza del 2017. Ma anche  responsabili delle manifestazioni di protesta del 2019 (una risposta alle condanne per sedizione inflitte a esponenti indipendentisti).

Un’amnistia comunque anomala (nata zoppa ?) in quanto prevede che siano i tribunali a giudicare caso per caso (con il timore legittimo che le sentenze siano alquanto varie). Quanto agli esponenti politici indagati per “appropriazione indebita” o addirittura per “terrorismo”, potrebbero esserne esclusi. In quanto, secondo qualche procuratore, si tratterebbe di reati “non passibili di amnistia”.

Come avvenne in luglio quando la Corte Suprema di Spagna negava all’ex presidente catalano Carles Puigdemont la possibilità di rientrare in Catalunya dall’esilio (proprio in quanto accusato di “appropriazione indebita”).

Attualmente, fine ottobre 2024, ne hanno usufruito 154 persone.

Tra cui ben 95 agenti delle forze dell’ordine (Cuerpo Nacional de Policia, Guardia Civil, mossos d’Esquadra…). Una settimana fa, in un colpo solo sono stati amnistiati 45 membri della G.C. sottoposti a inchiesta per il loro operato all’epoca del referendum. In precedenza ne avevano usufruito 46 membri della Polizia nazionale, indagati per aver agito con violenza nei seggi elettorali di Barcellona. Amnistiati anche quattro membri della polizia autonoma catalana (Mossos d’Esquadra).

Degli altri 59 amnistiati, 24 sono funzionari che avevano collaborato al referendum (giudicato illegale da Madrid) e 35 manifestanti già condannati (su migliaia).

Gianni Sartori