#Veneto #Territorio – LAMENTO PER IL PLATANO SECOLARE ABBATTUTO – POCO CRISTIANAMENTE – IN QUEL DI CHIAMPO (21 FEBBRAIO 2024) – di Gianni Sartori

Di questi tempi, mi dicono, meglio il “profilo basso”. Soprattutto sulle questioni ambientali. Sembra che non fosse uno scherzo, una battuta di cattivo gusto la proposta del TSO per gli ambientalisti considerati “troppo” attivi.

Forse Oltre Atlantico sta già accadendo.

Pare che alcune ecologiste native (“indiane”) siano stati forzatamente ospedalizzate in quanto la loro “eccessiva sensibilità per le sofferenze di animali e piante “, causate dal sistema economico dominante (indovinate quale), andava curata farmacologicamente.

Se necessario anche con ricovero coatto.

Tant’è. Del resto c’era da aspettarselo. Ma – mi azzardo a chiedere – se l’empatia nei confronti di altri esseri viventi viene classificata come una patologia psichiatrica, cosa dire dell’assoluta indifferenza con cui cacciatori, allevatori, macellai, vivisettori…sfruttano e ammazzano, a volte torturano, povere creature indifese?

Fatemi sapere, grazie.

Nel frattempo vengo informato che il prossimo 18 maggio a Verona si svolgerà l’iniziativa eco-pacifista di “Arena di Pace 2024”.

Per ammissione degli organizzatori, ispirata dalla Lettera Enciclica “LAUDATO SI’ “ di Papa Francesco sulla “Cura della Casa Comune”.

Ottimo, naturalmente.

Nel secolo scorso – e anche agli inizi di questo – ho preso parte a numerose iniziative di tal genere nella storica Arena veronese. La prima volta nel 1986, se non ricordo male.

In genere promosse dal movimento “Beati i Costruttori di Pace” (don Mario Costalunga, padre Turoldo, la pastora valdese Febe Cavazzuti, i comboniani Alex Zanotelli, Eferem Tresoldi…) all’epoca dell’apartheid sudafricano (contro, ovviamente), per il disarmo e per protestare contro il susseguirsi di tante guerre più o meno “umanitarie” (Iraq, Afganistan, Libia…) a cui l’Italia prendeva parte, per i diritti dei popoli nativi…

E anche stavolta non mancherò.

Intanto -se non ho capito male – osservo che Papa Francesco nell’Enciclica “LAUDATO SI’ “ promuoveva un’idea di “ecologia integrale” affermando che “non si può essere sani in un mondo malato”.

In quanto siamo tutti “parte di relazioni inseparabili, al centro di reti di vite interconnesse. La giustizia sociale dipende da quella ambientale, che a sua volta discende da quella ecologica”.

Da qui a riconoscere i diritti di ogni entità vivente (non oggetto del nostro uso e consumo ma soggetto con fini propri, autorefenziale) il passo è breve.

Ma purtroppo le gerarchie ecclesiastiche (e anche buona parte dei fedeli) non sempre si mostrano aggiornate e in sintonia. Per restare nel vicentino, risale a qualche anno fa l’abbattimento – con dispensa ecclesiastica presumo – di alcuni alberi maestosi sia nei pressi della Chiesa di Castegnero che di quella di Villaganzerla (stessa parrocchia). Più recentemente, quella decina di cedri tirati giù alla chiesa di Villabalzana (in questo caso pare su precisa richiesta del Consiglio pastorale).

E infine, l’ultimo (solo per ora temo) episodio increscioso.

L’abbattimento di un gigantesco (quasi due metri di diametro) platano secolare all’interno di un altro sito pervaso di sacralità e religiosità. Nei pressi di un Santuario, di un convento francescano e della locale versione della “Grotta di Lourdes”, opera del Beato Claudio Granzotto (1900-1947), familiarmente chiamato da mia madre “Padre Claudio”. Oltre al Museo Missionario e alla maestosa Via Crucis (con personaggi in bronzo a grandezza naturale), comunque meritevoli di una visita.

Qui il 21 febbraio 2024 il patriarca arboreo è stato letteralmente “raso la suolo”. Nonostante fosse in ottima salute, svettante nel cielo, rifugio di uccelli, insetti, piccole creature arboricole. Un mondo a sé. Se mi consentite la metafora, l’ultimo uro vagante nella foresta di Jaktorów.

GLI ALBERI SONO LA MEMORIA DELLA TERRA

E quanta storia, quanti ricordi tra gli incorrotti, nitidi, precisi anelli di accrescimento. Perfetti come quelli di una pianta ancora giovane.

Un testo arcaico, una pergamena mirabilmente scampata a guerre e incendi, tarli e catastrofi.

Testimone di oltre un secolo di Storia locale.

Dal rombo delle cannonate della Prima Guerra Mondiale sulle cime circostanti ai colpi fatali dei fucilatori nazisti che il 30 marzo del 1944 stroncarono le vite di quattro operai delle Officine Pellizzari. “Colpevoli” di aver partecipato allo sciopero contro il trasferimento dei macchinari e la deportazione dei lavoratori in Germania.*

Intravide forse – o comunque percepì – il fumo denso delle barricate nel 1971 (quando la stessa fabbrica storica di Arzignano rischiava di chiudere arbitrariamente lasciando sul lastrico decine, centinaia di famiglie).

E magari, tre anni prima, anche il fragore dei lacrimogeni, degli spari, le grida di rabbia e di dolore di quel 19 aprile 1968 indimenticabile.**

Per ora lo si può ancora intravedere – enorme – su google map e mi chiedo se proprio non era possibile trovare una qualche alternativa umanitaria. Che so? Magari una discreta e rispettosa riduzione della chioma. Al limite la realizzazione della copertura a protezione di un breve tratto stradale (con tutto quello che si costruisce a vanvera …). O forse un sottopasso…

Oppure – perché no? – un piccolo spostamento della strada (lo spazio c’era, mi pare).

E infine, visto che risultava sanissimo, si sarebbe potuto lasciarlo semplicemente com’era limitandosi a periodici controlli.

Insomma, tutto tranne che quell’abbattimento impietoso, definitivo e irreparabile.

Invocare, nel caso di caduta improvvisa dell’albero, la tutela della vita umana – o piuttosto di eventuali danni alle auto, feticcio moderno – in una località prossima alle zone infestate per decenni dai miasmi (e peggio) delle concerie suona francamente pretestuoso.***

Mi pongo una domanda. Se effettivamente- come sostiene Stefano Mancuso – gli alberi (oltre ad applicare il principio del mutuo appoggio – e soccorso – alla Kropotkin) sanno comunicare con i loro simili (e forse anche con altri esseri sensibili) anche a centinaia di metri di distanza: quale possente grido, urlo, lamento di dolore avrà lanciato, quale inascoltata richiesta di aiuto…mentre le lame impietose lo squartavano?

D’altra parte di che stupirsi? Siamo o non siamo nella fabbrica diffusa del Nord-Est? Nei territori della metastasi cementizia incontrollata, della “poltiglia urbana” straripante, del degrado ambientale generalizzato e della riduzione a merce spettacolare (per chi se lo può ancora permettere) della Natura in generale e della Montagna in particolare?

Dove si abbatte un orso solo perché è stato visto “seguire” (stando alle loro dichiarazioni almeno) alcuni escursionisti forse troppo impressionabili (e magari il plantigrado se ne andava soltanto per i fatti suoi sul medesimo sentiero). Dove – è di questi giorni – vengono assassinati col veleno centinaia di uccelli (dalle parti di Caldogno, nel Vicentino), senza parlare della strage successiva di altri volatili (civette, cornacchie…) che si sono nutriti dei cadaveri.

Potrei continuare all’infinito, ma mi fermo qui, per carità cristiana.

Come scriveva Bobby Sands: “Adesso lo sai. Pensaci, ma non limitarti a questo”.

Gianni Sartori

Note

1) Cocco Luigi, Carlotto Umberto, Erminelli Cesare e Marzotto Aldo. i quattro operai fucilati il 30 marzo 1944- presumibilmente con un colpo alla nuca – presso il Castello di Montecchio Maggiore, furono sepolti in una fossa comune avvolti in un sacco di tela. Solo nell’aprile 1945 fu possibile conoscere il luogo della sommaria inumazione. I cadaveri vennero identificati dagli abiti che le quattro vittime indossavano al momento della cattura. Nella medesima circostanza venivano arrestati anche altri 23 operai della “Pellizzari”. Imprigionati prima a Vicenza e poi a Fossoli per essere infine inviati in Germania. Due dei deportati,Rampazzo Giuseppe e Salvato Giovanni, morirono prima del termine della guerra.

2) https://bresciaanticapitalista.com/2023/04/21/19-aprile-1968-soltanto-un-inizioframmenti-di-lotte-sociali-nel-vicentino-1968-1969/

3) Senza dimenticare che appena oltre il crinale, nella vallata parallela dell’Agno, sorge la famosa fabbrica produttrice di perfluorinated alkylated substances…

#NuovaZelanda #Popoli – I MAORI PROTESTANO CONTRO IL GOVERNO CHE VUOLE CHIUDERE “TE AKA WHAI ORA”- di Gianni Sartori

Mobilitati dal partito Te Pati Maori, agli inizi di dicembre dell’anno scorso migliaia di maori avevano manifestato – sia a Auckland (la maggior città neozelandese) che nella capitaleWellington – contro la coalizione governativa di destra (insediatasi nell’ottobre 2023) del primo ministro Christopher Luxon (esponente del partito conservatore). Accusandolo di razzismo e di voler abolire i trattati che tutelano i diritti degli indigeni. Per esempio con il cambiamento (in inglese ovviamente) della denominazione di alcuni dipartimenti maori. E soprattutto smantellando (come promesso in campagna elettorale) Te Aka Whai Ora, l’autorità sanitaria maori creata nel 2022 per garantire migliori condizioni di salute agli aborigeni. Stando alle dichiarazioni del ministro della sanità Shane Reti si prevede di “inglobare l’Autorità sanitaria maori all’interno del sistema sanitario nazionale entro la fine di marzo”. Da parte sua Rawiri Waititi, copresidente di Te Pati Maori aveva invece chiesto al governo di “onorare il trattato di Waitangi”. Firmato nel 1840 tra la Corona britannica e alcuni capi maori, il trattato di Waitangi avrebbe dovuto garantire i diritti degli indigeni (attualmente il 17% della popolazione). In cambio del riconoscimento dell’avvenuta colonizzazione britannica, ai maori veniva garantito il possesso delle loro terre (o almeno di quanto ne rimaneva). Le proteste sono riprese quest’anno. In gennaio almeno diecimila maori erano scesi in strada a Ngaruawahia rispondendo all’appello del re maori Tuheitia Paki. E questo nonostante molti tra gli indigeni esprimano diffidenza nei confronti del Movimento reale maori (radicato soprattutto nell’Isola del Nord. Ulteriore conferma della determinazione degli indigeni è venuta con la manifestazione di febbraio proprio a Waitangi in occasione di una cerimonia (il Waitangi Day, festa nazionale che ricorda l’anniversario della firma del trattato) a cui prendevano parte esponenti governativi. I militanti maori più agguerriti hanno annunciato senza mezzi termini di “non tollerare la soppressione del trattato”. Per calmare le acque il vice-primo ministro Winston Peters (leader del New Zealand First Party, membro della coalizione tripartita) ha risposto che in realtà si tratterebbe soltanto di una “revisione, non dell’abolizione del trattato”. In pratica si prevede di “reinterpretarlo”. Ma senza riuscire a convincere i manifestanti che inalberavano cartelli e brandelli (simbolici) del trattato e che avevano particolarmente disturbato l’intervento di David Seymour (leader del partito conservatore). Il quale sosteneva – in contrapposizione con le dichiarazioni del primo ministro Luxon – che il progetto verrebbe sottoposto a referendum. Numerose indagini del Ministero della salute hanno dato conferma della sostanziale disuguaglianza in ambito sanitario tra aborigeni e il resto della popolazione. I maori vivono circa sette anni in meno e il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari è due volte più alto. Inoltre per i giovani esiste il doppio di probabilità di essere ricoverati per asma. Così come i maori risultano più esposti ai tumori.

Gianni Sartori

#Oceania #Incidenti – PROTESTE IN NUOVA CALEDONIA E ANCORA SANGUE IN PAPUA NUOVA GUINEA – di Gianni Sartori

Forse quella di Gérald Darmanin (ministro francese dell’Interno e dell’Oltre-Mare) a Kanbaly (Nuova Caledonia) non era una visita particolarmente gradita agli indipendentisti. Il 21 febbraio i militanti della Cellule de coordination des actions de terrain (CCAT, composta da movimenti e sindacati favorevoli all’autodeterminazione: PT, MOI, UC, USTKE… ) avevano sfilato pacificamente a Noumea per protestare contro il progetto (già ufficialmente annunciato) di sbloccare il corpo elettorale provinciale. Ma ben presto la manifestazione era degenerata e – dopo il tentativo di raggiungere la sede dell’alto-commissariato – scoppiavano scontri con le forze di polizia (tra rue Anatole-France e Rue Général-Mangin dove erano stati schierati in gran numero camion militari). Alla fine si sono registrati cinque arresti e numerosi feriti, in particolare tra le forze dell’ordine. In cosa consisterebbe il previsto “scongelamento” – l’apertura – del corpo elettorale provinciale? In base agli accordi di Noumea (firmati nel 1998) il diritto di voto spetta soltanto alle persone iscritte nelle liste elettorali prima del 1998. Ritenendo tali restrizioni “poco democratiche” il governo francese intende aprire sia ai nativi caledoniani dai 18 anni in su, sia alle persone presenti nell’arcipelago almeno da dieci anni. Con un aumento previsto di circa 25mila elettori. Nel giorno immediatamente successivo, con un comunicato, i responsabili della CCAT hanno condannato i disordini e le violenze. Anche se – denunciano -sono stati “provocati da chi voleva impedire la consegna delle nostre richieste al ministro”. Infatti l’intenzione degli organizzatori della protesta pacifica (i quali denunciano di essere finiti in una “trappola”) era soltanto quella di consegnargli direttamente una richiesta per il ritiro del decreto di legge. Da parte sua l’organizzazione Loyalistes (una coalizione di partiti di destra anti-indipedentisti, sorta nel 2020 e diventata nel 2022 Rassemblement au Congrès de Nouvelle-Calédonie ) ha forzatamente evocato l’immagine di una città “messa a ferro e fuoco, saccheggiata” sostenendo che le violenze erano state previste e organizzate. Arrivando a chiedere la dissoluzione della CCAT. Inevitabile un pensiero per Louise Michel che, sfuggita ai massacri della “Semaine sanglante” (dopo la caduta della Commune di Parigi) venne deportata in Nuova Caledonia. Tra l’altro durante il viaggio sulla Virginie completò la sua evoluzione politica transitando definitivamente dal blanquismo all’anarchismo.Louise non solo si interessò della lingua, delle tradizioni, dei miti e della musica degli indigeni, ma si schierò apertamente al loro fianco quando i Canachi si sollevarono. Paragonandolo la loro rivolta a quella della Commune del 1971 e donando agli insorti una simbolica bandiera rossa (anche se al momento del dibattito su quale bandiera utilizzare a Parigi nel 1971 Louise pare si fosse schierata con la minoranza che voleva quella nera). Una vera eccezione la sua, dato che anche la comunità degli ex comunardi qui deportati alla fine si era allineata alle posizioni delle autorità francesi. Per tornare ai giorni nostri, molto peggio quanto sta avvenendo in Papua Nuova Guinea dove una settimana fa decine di persone (le cifre ufficiali parlano di una trentina di vittime, altre fonti di una settantina) sono state assassinate nella provincia di Enga nel corso di un’imboscata. Questa regione di altopiani (conosciuta come Highlands e dove da alcuni mesi vige il coprifuoco) è da tempo martoriata da uccisioni e scontri presumibilmente legati al controllo delle terre da parte di una ventina di tribù. Un conflitto reso ulteriormente sanguinoso dalla recente diffusione delle armi da fuoco. Il tutto in un generale contesto di crisi sia economica che sociale. Del resto quest’anno le violenze non hanno risparmiato nemmeno la capitale. Qui il 10 gennaio sono state ammazzate almeno 22 persone. Tanto che il governo australiano (forse preoccupato per i i suoi investimenti in Papua Nuova Guinea) ha offerto il proprio sostegno per garantire la sicurezza nell’isola, in particolare per l’addestramento delle forze di polizia locale.

Gianni Sartori