#AFRICA #MemoriaStorica – Thomas Sankara

Spesso leggiamo articoli dedicati a Thomas Sankara, uno dei leaders africani più ricordati e rimpianti da parte di chi si oppone al colonialismo nell’intero continente. La sua figura e il vento rivoluzionario che portò al livello governativo segnano ancora oggi i giovani africani che cercano di prendere in mano il destino dei loro popoli e il futuro delle loro terre.

Ma chi era Thomas Sankara? Vi proponiamo un breve video che racconta, in modo schematico, la sua vita.

#KURDS #PARIS – “Marche Blanche” a Parigi per ricordare il triplice omicidio del 9 gennaio 2013

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Il 9 gennaio 2013 tre militanti curde, Fidan Dogan, Sakine Cansiz e Leyla Saylemez, venivano assassinate a Parigi.
Il Movimento delle donne curde in Europa (TJKE) lancia un appello per la manifestazione (“Marcia bianca”) organizzata nel giorno del tragico anniversario.
Questo il comunicato di TJKE:
« 7 ans: Stop l’injustice ! Stop aux féminicides !
En hommage à Sarah [Sakine Cansiz], à Hevrin [Hawrin Khalaf], nous sommes en lutte !
Nous sommes debout pour demander justice ! »
MARCHE BLANCHE
Le jeudi 9 janvier 2020
12h00 – 16 rue d’Enghein – Paris 10
jusqu’au 147 rue Lafayette [le lieu du triple assassinat]
MANIFESTATION Européenne
Le samedi 11 janvier 2020
10h30 – Paris – Gare du Nord
(segnalazione trasmessaci da Gianni Sartori – per info >QUI<

#EuskalHerria #PrigionieriPolitici – AUTOLESIONISMO DI PROTESTA DI UN PRIGIONIERO BASCO – di Gianni Sartori

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Di Patxi Ruiz, ex militante di ETA condannato a trenta anni di detenzione per aver ucciso nel 1998 un consigliere comunale dell’UPN a Pamplona, si era parlato alla fine di giugno 2018. Allora alcuni militanti pro-amnistia erano stati denunciati per una conferenza stampa organizzata per protestare contro il trattamento inflitto a questo prigioniero basco, sottoposto a condizioni detentive particolarmente dure e a cui veniva impedito di visitare il padre gravemente malato. Come ritorsione la Corte nazionale spagnola aveva incriminato i militanti solidali per “apologia di terrorismo”.
Il 30 dicembre 2019 Patxi Ruiz, rinchiuso nella prigione di Murcia, si è inferto profonde ferite alle braccia utilizzando un’arma rudimentale per protestare contro il comportamento di una guardia (definita “fascista”) che – sistematicamente – tormenta, minaccia e picchia alcuni prigionieri politici, in particolare quelli baschi. L’ex etarra ha precisato che il suo gesto rappresenta un “atto politico di protesta” e che non è dettato né dalla depressione, né dalla disperazione. Si tratta di una forma di lotta per rivendicare la dignità dei prigionieri. Ricoverato in infermeria, Ruiz è stato curato con una quindicina di punti di sutura.
Gianni Sartori

 

FILIPPINE: IMMAGINI FALSIFICATE DI GUERRIGLIERI ARRESI – di Gianni Sartori

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Cosa non si farebbe per un avanzamento di carriera o per ottenere ulteriori finanziamenti…Non solo carte false, ma anche fotografie rivedute, corrette, manipolate e reinterpretate. Insomma: photoshop!

O almeno questo è quanto sarebbe accaduto nelle Filippine ad opera dell’esercito.

Viene direttamente dal Ministero della Difesa filippino l’ordine di una accurata inchiesta in merito ad alcune foto diffuse e pubblicate dall’Ufficio di relazioni pubbliche della nona divisione di fanteria (e diventate immediatamente virali) con cui si pretendeva di documentare una presunta resa (con relativa consegna delle armi) di altrettanto presunti guerriglieri del NPA.

Nelle immagini si vedono alcune decine di presunti combattenti maoisti davanti a un tavolo ricoperto di armi che, stando alle dichiarazioni ufficiali, sarebbero state consegnate direttamente nelle mani delle autorità militari. Da notare che l’immagine del tavolo con le armi sarebbe stata aggiunta dopo aver fotografato i presunti ribelli arresi.

Un modo per gli addetti alla controinsurrezione di rivendicare la propria efficienza, mostrando di aver conseguito risultati soddisfacenti. Sarebbe invece ormai accertato che gli stessi militari vendono a caro prezzo le notizie “in esclusiva” . Talvolta, inventandole di sana pianta. E’ infatti emerso che gruppi di contadini (e altri abitanti della zona in cui opera la nona divisione)  erano stati convocati dai militari, ufficialmente per partecipare a “pubbliche riunioni”. Invece, al loro arrivo, erano stati classificati e presentati come “guerriglie ripentiti” obbligandoli – anche con minacce – a firmare documenti in bianco. Richiesta prontamente eseguita per paura. I documenti così firmati (e nel frattempo debitamente compilati) erano stati poi utilizzati dai militari per richiedere ulteriori finanziamenti. Ufficialmente per ricompensare i “pentiti” e finanziare ipotetici e inesistenti processi di “reinserimento”.

Gianni Sartori

#KURDISTAN – MA CHE MONDO SAREBBE QUESTO SENZA IL POPOLO CURDO? SICURAMENTE ANCORA PEGGIORE… – di Gianni Sartori

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Capita di sentir dire, anche da militanti collaudati che “non c’è spazio per l’ecologia quando si deve combattere, quando c’è la guerra…” (di Resistenza o di Liberazione, sottinteso ovviamente). Variante di un’altra discutibile – ricorrente e abusata – affermazione: “In guerra non c’è tempo per la democrazia “.
Un modo per ripristinare le gerarchia, l’autorità, i gradi (militari e non) rinviando la ricostruzione della democrazia a “tempi migliori”. Certo, a volte la cosa appare anche comprensibile. Pensiamo alla battaglia di Stalingrado contro la peste bruna nazifascista…C’erano alternative “libertarie” alla durissima disciplina imposta ai soldati dell’Armata Rossa? Onestamente non saprei.
Ma altre volte apparve strumentale. Vedi il maggio 1937 a Barcellona e l’imposizione manu militari, da parte di stalinisti – e, non dimentichiamolo, qualche partito borghese repubblicano – della militarizzazione delle milizie (con la repressione di anarchici e poumisti).
O in Unione sovietica nel 1921 con l’esautoramento – di fatto – dei consigli (i soviet) a Kronstadt e in Ucraina. Dando inizio a quella deriva autoritaria che preparava il terreno allo stalinismo.
Analogamente c’è chi ritiene che in circostanze drammatiche come quelle degli attuali conflitti mediorientali, devastanti soprattutto per le conseguenze sanitarie sulle popolazioni, occuparsi di ecologia sia un lusso se non addirittura una perdita di tempo. I combattenti per la Libertà della Siria del nord e dell’est stanno invece dimostrando che non è così. Quello che viene definito il “terzo pilastro” della rivoluzione in Rojava, appunto l’ecologia, si lega profondamente alla lotta per la libertà, l’autodeterminazione, la giustizia e la convivenza, i diritti delle donne. Non solo. Mentre le società capitaliste e neoliberali ci sospingono a farci carico dei problemi ambientali più che altro con risposte individuali come la raccolta differenziata o la riduzione dei consumi (scelte comunque doverose, beninteso) quella dei curdi costituisce una risposta collettiva e di lunga durata. Sia a livello globale, planetario (surriscaldamento, deforestazione…) che locale. E non solo in Rojava, ovviamente.
Recentemente i combattenti curdi del Bakur (territori curdi sottoposti all’occupazione turca) avevano minacciato serie ritorsioni contro chi abbatteva alberi e foreste intorno alle basi militari turche. In questo caso appariva evidente il nesso tra la resistenza e la difesa dei boschi (gli spazi aperti intorno alle basi e alle caserme rappresentano una garanzia di sicurezza per i militari turchi). In questi giorni invece c’è stata la protesta per l’abbattimento di alcune capre selvatiche di montagna nella provincia curda di Dersim. Simili al nostrano stambecco, tali capre selvatiche (alcune specie e varietà sono già a rischio di estinzione) vengono cacciate soprattutto in inverno in quanto l’innevamento rende difficoltosa la loro fuga. Tra l’altro sono considerate sacre dalle popolazioni curde alavite che vivono nell’area (fondamentale il loro ruolo nei miti del Dersim) e che tentano in ogni modo di proteggerle.
I cacciatori provengono da altre regioni o addirittura dall’estero. E’ il caso di alcuni spagnoli che quindici giorni fa ne hanno uccise due a Kocatepe, un villaggio di Pulumur, nonostante gli abitanti avessero protestato con le autorità locali chiedendo di far sospendere le battute di caccia.
Un’altra capra risulta abbattuta il 25 dicembre nei pressi di Kozluca (altro villaggio di Pulumur) e – sempre il 25 dicembre – addirittura una quindicina nelle campagne di Cemisgezek. In questo caso i responsabili sarebbero stati dei cacciatori-bracconieri di provenienza afgana.
Contro tali brutali ecocidi, dicevo, si sono alzate le proteste della popolazione curda.
Coerentemente con i principi del Confederalismo democratico per cui solo con la totale autorganizzazione democratica della società, la completa autonomia delle donne (scontata l’analogia tra il dominio esercitato dagli uomini sulle donne e quello esercitato sulla natura) e ovviamente l’autodifesa, anche armata, è possibile stabile una convivenza pacifica, ecocompatibile con l’intero pianeta vivente.
Un punto di vista collettivo – definito anche eco-femminista – e operante sul lungo periodo. Nella prospettiva del definitivo superamento della dialettica (tradizionale o moderna) tra schiavo e padrone. Oggi in Kurdistan, domani – chissà – forse nel mondo.
Gianni Sartori

#ESPOSIZIONI – Una mostra sulla città di Crema e la Serenissima – di Ettore Beggiato

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Rimarrà aperta fino a domenica 26 gennaio  la mostra “Crema veneziana. Momenti di vita, di storia e di arte” inaugurata ai primi di dicembre nel Teatro San Domenico, iniziativa che celebra i 570 anni dalla dedizione di Crema alla Serenissima datata 16 settembre 1449.

Prima di entrare a far parte della Repubblica Veneta, Crema aveva già una sua autonomia, arrivando a battere moneta sotto la signoria dei Benzoni  (1403-1424); con Venezia diventa una piazzaforte strategica in grado di “controllare” Milano ed è la pace di Lodi (9 aprile 1454) a ratificare l’enclave Serenissima.

Il territorio cremasco è infatti completamente circondato dallo stato di Milano e Crema è collegata alla provincia di Bergamo e alla Repubblica Veneta attraverso una stretta via chiamata “strada dello Steccato” (detta anche strada Cremasca o strada Regia), fonte di continue discussioni ma anche via attraverso la quale praticare il contrabbando o via di fuga per qualche ricercato dalla giustizia dell’uno o dell’altro stato.

Il confine era segnalato da cippi (o termini) in granito: erano oltre quattrocento e ne sono rimasti ben pochi.

Ecco cosa scrive Andrea Bernardo, podestà e capitano generale di Crema, nella relazione inviata alla fine del suo mandato nel 1562:

“Il territorio di Crema è longo miglia 13, largo 7, e seben è poco, fa però il viver di quelli popoli sì di dentro come di fuori per essere fertilissimo con il beneficio dell’adaquare; tutto è circondato dallo Stato di Milano, e Crema è posta nel mezo, distante da Bergamo miglia 24, da Lodi 10, da Milan 28, et da Piasenza 30. Né v’è altro che una strada dimandata la strada Cremasca, ch’è verso il territorio di Bergamo, per la quale si può entrare ed uscire di quel territorio senza toccar il Stato di Milano. Sono in detto territorio ville 52 e anime 19864”.

La Repubblica Veneta potenziò notevolmente la cinta muraria con terrapieni e bastioni, ancor oggi in parte visibili, e Crema fu eretta a diocesi nel 1580 superando la vecchia divisione che vedeva il territorio divise nelle tre diocesi di Piacenza, Cremona e Lodi;  il santo patrono è San Pantaleone di chiara origine veneziana.

L’impronta della Serenissima è rilevante in tutto il centro storico con il Leone di San Marco che domina l’arco del Torrazzo e  la torre del  Palazzo Pretorio; il Duomo, in stile gotico-lombardo fu risparmiato dal Barbarossa e conserva un’opera notevole di Guido Reni “San Marco in carcere visitato dal Redentore”.

L’economia della Crema Serenissima era prettamente agricola e primeggiava il lino, una eccellenza cremasca di grande prestigio e alla quale la mostra da il giusto risalto.

“Il traffico con il quale si sostenta così numerosa plebe consiste per il più nell’arte del lino, fabricandosi quantità grandissime di certe telle vergate per marcancia, mantilli et filli bianchi, nel che s’impiegano persone di ogni condittione, essendovi cinquecento e più telleri che lavorano di continuo in queste merci” : così scriveva Nicolò Bon allo scadere del XVI secolo.

Nella stessa sede si  può ammirare una altrettanto interessante quadreria  con in mostra opere di artisti cremaschi fra i quali vanno segnalati Vincenzo Civerchio,  Giovanni Battista Lucini, Mauro Picenardi.

La mostra è aperta il sabato e la domenica dalle 10 alle 18, il venerdì dalle 14 alle 18 e da martedì a giovedì per i gruppi con prenotazione (telefono 0373 85418); molto interessante il catalogo edito dalla Fondazione San Domenico.

Ettore Beggiato

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