RUSSIA: PRESUNTE TORTURE E TRIBUNALI MILITARI PER GLI ANARCHICI ACCUSATI DI “DESTABILIZZAZIONE”- di Gianni Sartori

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Risale al 26 dicembre la richiesta, da parte di un procuratore di San Pietroburgo (do you remember Kronstadt? Sta proprio lì davanti, nella Baia della Neva…coincidenze) di una condanna dai sei ai 18 anni per sette militanti libertari accusati di far parte di una organizzazione, anarchica, denominata “The Network”. Nell’eventualitĂ  che venissero riconosciuti colpevoli, cinque di loro sconterebbero la pena in una colonia carceraria di alta sicurezza. Le origini del caso risalgono al 2017 quando, in ottobre, i Servizi federali della sicurezza russa (FSB) avevano arrestato sei persone a Penza (ovest della Russia) accusandole di far parte appunto di “The Network”. Altri due presunti militanti, nel frattempo scomparsi dalla circolazione, venivano iscritti nel registro degli indagati e successivamente arrestati a Mosca. Ancora due arrestati nel gennaio 2018 e un altro in aprile. Oltre che a Pietroburgo e a Penza, l’organizzazione sarebbe presente a Mosca e in Bielorussia. Si tratta in maggioranza di militanti anarchici o comunque antifascisti e libertari. L’accusa: aver fatto parte di una “comunitĂ  terrorista anarchica” nata nel 2015. Secondo l’FSB avrebbero posto delle bombe per “alimentare una destabilizzazione del clima politico nel paese” in due diverse occasioni: le elezioni presidenziali del 2018 e la Coppa calcistica del mondo.

Gli arrestati hanno denunciato di essere stati sottoposti alla tortura per estorcere loro delle confessioni. Inoltre , stando sempre alle dichiarazioni degli arrestati, le armi ritrovate nelle loro auto e nelle abitazioni vi sarebbero state poste dalla polizia per incriminarli. L’FSB ha ammesso di averne sottoposto almeno uno a scariche elettriche giustificando tale operato come “necessitĂ  professionale”.

Il processo era iniziato nell’aprile 2019 davanti a un tribunale militare nel distretto del Volga. Presenza massiccia della polizia antisommossa, ma anche di persone solidali con gli imputati.

Oggi, 13 gennaio 2020, è prevista l’udienza in cui sarĂ  data la possibilitĂ  di intervenire alla difesa.

A sostegno dei militanti libertari sotto processo si è attivata l’Anarchist Black Cross.

Gianni Sartori

QUANDO LO STATO SI AUTOASSOLVE: NESSUN COLPEVOLE PER LA MORTE INGIUSTA DI REMI FRAISSE – di Gianni Sartori

Rémi Fraisse copia

L’8 gennaio i magistrati della corte d’appello di Tolosa responsabili dell’inchiesta sulla morte di RĂ©mi Fraisse hanno stabilito che nessuno doveva essere perseguito  per il tragico evento. Il giovane militante ecologista – 21 anni – era rimasto ucciso da una granata esplosiva nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 2014 mentre protestava contro la costruzione di una diga a Sivens (Tarn). Nonostante le richieste in tal senso degli avvocati della famiglia di RĂ©mi, i giudici hanno sostanzialmente evitato di procedere ad una nuova ricostruzione dei fatti e di interrogare il prefetto in proposito. Un “non-luogo a procedere” nei confronti del gendarme responsabile (con cui si confermano e sottoscrivono le conclusioni a cui era  giunto il giudice nel gennaio 2018) che chiude definitivamente la possibilitĂ  di riaprire il processo. Ai familiari di Remy che giĂ  avevano denunciato l’utilizzo di una “justice d’exception”  (una giurisdizione sostanzialmente militare)  non rimane che ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

La ZAD de Testet

Quella che per i pianificatori di Stato è una “Zone d’Amenagement Diffèré” per i militanti ecologisti è “Zone A’ DĂ©fendre”, ossia territori (campagne, boschi…il bocage bretone a Notre Dame des Landes, una delle ZAD piĂą conosciute) da sottrarre allo sfruttamento, alla speculazione e al degrado capitalista. Alla ZAD di Testet (Sivens) in quei giorni si svolgevano iniziative pacifiche tra cui  un festival di sostegno alla lotta contro il progetto di una diga. Nonostante la prefettura avesse garantito che non vi sarebbe stata la presenza della polizia, nella serata del 25 ottobre 2014 decine di camion della gendarmeria  vi fecero irruzione tentando di reprimere l’iniziativa. In un primo tempo da parte delle autoritĂ  si cercò di mistificare la morte del ragazzo sostenendo che era deceduto per overdose. In realtĂ  (come avevano poi dovuto ammettere, ma invocando comunque la “legittima difesa”) la causa del decesso era dovuta a una granata antisommossa (“grenades offensives mĂŞlant TNT et gaz lacrymogène”) lanciata da un gendarme e che era esplosa sulla schiena del giovane ecologista.

Alla notizia della morte di RĂ©mi (così simile per certi aspetti a quella di Carlo Giuliani) si erano svolte numerose manifestazioni di protesta. Almeno una trentina in Francia, due a Bruxelles, una a Torino. Manifestazioni che talvolta si erano concluse con duri scontri tra manifestanti e polizia. A Nantes, dove circa un migliaio di persone erano scese in piazza, si contavano una decina di arresti. A Parigi, dove  centinaia di persone avevano manifestato indossando dei caschi, gli arresti erano stati una trentina. In una successiva manifestazione – in place Stalingrad – gli arresti arrivavano a 78

A Rouen veniva occupato un centro di reclutamento della gendarmeria (quattro arresti).

A Pont-de-Buis (Finisterre) un corteo di centinaia di persone si dirigeva verso la polveriera Nobelsport che fabbrica munizioni utilizzate dalle forze dell’ordine.  Anche qui scontri tra polizia e manifestanti con ampio uso di lacrimogeni. Il sabato successivo si era svolta una fiaccolata notturna con un nuovo tentativo di entrare nella polveriera lanciando sassi, bulloni e petardi. Da parte delle guardie si rispondeva con granate lacrimogene e cannoni ad acqua. Nuovi scontri nel pomeriggio del giorno dopo durante un terzo corteo.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte di RĂ©mi a Lille si svolgevano almeno quattro manifestazioni non autorizzate al grido “On n’oublie pas, on pense Ă  toi” e anche “l’Etat tue, la lutte continue”.

A Rouen, alle 4 del mattino, i CRS erano intervenuti smantellando la tendopoli allestita in memoria di RĂ©mi in place Foch e allontanandone gli occupanti a colpi di lacrimogeni (agendo in base all’ordinanza emessa dal sindaco “socialista” di Rouen).

Gianni Sartori