
E’ passato solo un mese dalla brutale uccisione di Havrin Khalaf, co-presidente del partito Futuro della Siria, e giĂ sembra che lei sia stata dimenticata. L’indignazione per questo delitto riempì le cronache solo per qualche giorno, poi è stata fatalmente oscurata da ulteriori brutalitĂ commesse dalle truppe turco-jihadiste.
Ma chi non potrĂ dimenticarla è sua madre a cui era pervenuta un’ultima telefonata. Subendo l’estrema violenza di dover ascoltare e comprendere quanto stava accadendo sull’autostrada M4, nei pressi del villaggio di Tirwazi. Qui, tra Suluk e Tall Tamer, il 12 ottobre Havrin era stata catturata dai lanzichenecchi di Ankara e quindi violentata e lapidata.
L’8 novembre la mamma della trentacinquenne assassinata era in prima fila per protestare contro le pattuglie turco-russe che percorrono, rastrellano la regione di Derik e di Girke Lege, nel cantone di Qamishlo. Portava nelle mani alcune pietre e una scarpa della figlia torturata e assassinata.
Ovviamente ha scagliato sia le pietre che la scarpa (in Medio oriente un gesto universalmente inteso come espressione di massimo disprezzo per chi lo subisce; ricordate quelle lanciate contro Bush…?) contro i blindati.
“Sembrava quasi – ha commentato una compagna curda presente – una versione tragica della favola di Cenerentola…”.
Manifestazioni analoghe si sono svolte in altre località del Rojava e a Derik un giovane curdo, Serxwebun Ali, è morto dopo essere stato investito da un blindato delle pattuglie congiunte.
O almeno questo era emerso in un primo momento. E’ invece possibile – come sostengono altre fonti – che i soldati della pattuglia mista abbiano sparato intenzionalmente sulla folla. E stando alle medesime fonti il cadavere di un altro manifestante ucciso dai soldati sarebbe stato portato all’obitorio di Derik.
In precedenza una decina di persone che protestavano contro i pattugliamenti erano rimaste seriamente ferite per il lancio di lacrimogeni non a parabola ma direttamente sulla folla.
Gianni Sartori

