
Nel mese di agosto ricorrerà l’anniversario della morte di Lluis Maria Xirinacs, l’uomo che interpretò per anni l’anima più radicale dell’indipendentismo catalano e della contrapposizione al franchismo prima e al regime del ’78 poi.

Lo ricordiamo con un articolo del giornalista catalano Humbert Roma, già pubblicato su “Dialogo Euroregionalista”:
XIRINACS AFFRONTA L’ULTIMO TABU’
di Humbert Roma
Il senatore Lluís Maria Xirinacs si è suicidato. Tanto ostinato, ribelle e incombustibile, ha deciso di porre fine alla sua vita che ha vissuto “schiavo di 75 anni nei Paesi Catalani occupati da Spagna, Francia (e Italia) per secoli”, come afferma nel suo manifesto testamentario . “Una nazione schiava, come un individuo schiavo, è una vergogna dell’umanità e dell’universo”, ha sottolineato.
Così, Xirinacs ha affrontato l’ultimo tabù, così radicato nella cultura dell’uomo: il suicidio. Libero fino all’ultimo giorno dei suoi 75 anni, signore – e non schiavo – della propria persona. Libero anche, ora definitivamente, nei nostri ricordi e nella nostalgia.
Quando l’11 settembre 2002 l’ ho sentito pronunciare al Fossar de les Moreres quelle parole che poi l’avrebbero condotto a una condanna di due anni e a trascorrere poche ore in carcere (“mi sento in questo momento con i piedi posati sopra le ossa dei terroristi, di quelle persone che difesero con le armi la Catalogna e i Paesi Catalani (…) Mi riferisco a coloro che difesero la Nazione con le armi e ai quali adesso rendiamo omaggio. Il Comune di Barcellona ha fatto un monumento qui, delle belle cose. Sono terroristi perché hanno combattuto con le armi per difendere il loro paese, come fa l’ETA (…) Gandhi ha detto che il non violento non può affrontare con la neutralità le due parti di un conflitto violento: l’aggressore è il nemico, l’aggredito è l’amico, anche se è violento. Ho provato per tutta la vita a combattere in modo non violento. Ma dichiaro qui e lo dico molto bene, nel caso in cui vi sia un agente di polizia o qualche procuratore: mi dichiaro un nemico dello Stato spagnolo e un amico di ETA e di Batasuna “), ho pensato: Xirinacs ha passato i limiti.
E mi ha fatto male per coloro che erano morti, compresi quelli che abbiamo amato (come Xavier Valls, insegnante ed esempio di democrazia e di tante cose, morto all’ Hipercor ), negli attacchi di ETA.
Poi, riflettendo e vedendo l’evoluzione degli eventi, mi sono trovato molto vicino a quelle parole di Xirinacs. Quelli erano giorni di minacce di illegalizzazione, poi confermate: Batasuna non poteva più apparire nelle elezioni del seguente maggio e da quattro anni il giudice Garzón stava mettendo nel sacco di ETA- in poche parole, in carcere – molte persone che difendevano l’indipendenza del Paese basco in modo democratico.
Come Xirinacs, desidero che i Paesi Baschi e i Paesi Catalani ottengano l’indipendenza; possiamo votare e, se i cittadini approvano, separarci dal Regno di Spagna in modo pacifico. Ma non ce lo lasciano fare. E i governi del Regno di Spagna e della Repubblica francese si oppongono con le ragioni delle armi e della conquista militare. Imprigionando anche coloro che difendono questo diritto senza imbracciare le armi e seguendo una via pacifica. Chi è l’aggressore qui e chi l’aggredito?
Ho ammirato Xirinacs che faceva lo sciopero della fame ed era imprigionato per le libertà, Xirinacs che si ergeva per difendere l’amnistia per tutti i prigionieri politici, prima di fronte al Carcere Modelo e poi dal suo seggio nel Senato, proponendo un’alternativa alla Costituzione Spagnola, rispettosa per i popoli sottoposti alla sovranità spagnola e che riconoscesse il diritto alla separazione (potete trovarla raccolta nel suo libro “Costituzione, pacchetto di emendamenti”), Xirinacs che difendeva le proposte dei settori indipendentisti per lo statuto dell’autonomia.
Poi mi sono ritrovato con lui nel Blocco di sinistra della liberazione nazionale (BEAN) e nella candidatura alle elezioni catalane del 20 marzo 1980. In quella occasione lui ha subìto un notevole calo di voti – rispetto alla sua decisione di condurre il BEAN alle elezioni generali spagnole del 1979, quando il movimento è stato creato raggruppando la maggioranza delle forze indipendentiste – e per alcuni di noi ciò ha significato l’abbandono della militanza politica legata a partiti. Xirinacs, da parte sua, si ritirò per studiare teorie in qualche modo politiche – come ho dedotto seguendolo solo da lontano – per progettare proiezioni utopiche in un mondo nel quale scarseggiano.
Di tanto in tanto lo incontravo sulle Ramblas di Barcellona e, in una sola occasione – doveva essere nel 2001, perché ero ancora direttore a “La Terra”, la rivista dell’Unió de Pagesos, ho partecipato ad un incontro presso l’Ateneu Barcelonès, organizzato dalla rivista “El Triangle”, dove poco dopo sarei andato a lavorare, in cui era il protagonista. Ho cercato di contestarlo, perché avevo capito che lui intendeva che il catalanismo rappresentasse una forma di fedeltà al Paese, che credo che non abbiamo il diritto di chiedere se non vogliamo escludere una parte sostanziale della cittadinanza. I suoi fedeli non mi hanno permesso di continuare, sostenendo – dal pubblico – che erano venuti ad ascoltare lui, e non me. Forse avevano ragione, ma mi dispiaceva di perdere un altro giorno, cosa che non poteva più essere, nei confronti di un dibattito che, visto come si era evoluta la composizione demografica di coloro che vivevano e cercavano di lavorare nei Paesi Catalani, stava diventando sempre più urgente.
Era questa certa aurea messianica, favorita da alcuni di quelli che lo circondavano, e non dai più fedeli, la cosa che che mi allontanava da Xirinacs. Mi ricordava troppo delle mie vecchie militanze, così acritiche e così religiose, quando il pensiero”marxista-leninista – alla Mao Tsé Tung” giustificava ciò che era ingiustificabile solo perché il Capo aveva parlato. Xirinacs non era un uomo facile, come sono coloro che sono convinti degli obiettivi per cui combattono. Ma era ben lungi dall’essere dogmatico.
Mi ricordo che quando ero capo redattore al “El Triangle”, gli sottoponemmo un sondaggio per farci dire – come abbiamo chiesto ad altre persone – quale governo avrebbe preferito per la Catalunya, dopo le elezioni autonome del novembre 2003. Non si perse con discorsi utopistici lontani dalla realtà elettorale e si pronunciò a favore di un tripartito, anche se diverso da quello successivamente configurato. Forse ispirato dal Paese Basco, ci disse che avrebbe preferito un accordo tra CiU, ERC e ICV, cioè un patto dei nazionalisti con gli eco socialisti.
Tanti anni lontano dalla linea frontale della politica non lo avevano allontanato dal quotidiano e dal desiderio di intraprendere passi in un percorso che, a suo parere, avrebbero potuto aiutare a muoversi verso l’obiettivo della libertà del suo Paese. Niente di più lontano, quindi, dal “tutto o niente”. Ciò che non perdonava, tuttavia, come ha detto chiaramente nel suo “Atto di sovranità” finale e aveva espresso in molte opere, specialmente nella trilogia “Il tradimento dei leader”, era l’atteggiamento che sempre lascia al domani qualcosa per cui dobbiamo combattere oggi. Ricordiamo le ultime parole: “Una nazione non sarà mai libera se i suoi figli non vogliono rischiare la loro vita nella sua liberazione e nella sua difesa. Amici, accettate questa vittoriosa conclusione della mia lotta, in contrapposizione con la codardia dei nostri leader, manipolatori del popolo “.
Pubblicato sul “Tribuna Catalana” del 14.08.2007
