#Palestina #Repressione – GENOCIDIO A GAZA: EFFETTI COLLATERALI IN FRANCIA E GERMANIA – di Gianni Sartori

Mentre a Gaza e in Cisgiordania prosegue la sistematica caccia all’uomo, alla donna e al bambino palestinesi, altre notizie (forse meno rilevanti, ma comunque indicative del clima repressivo generale) rischiano di venir oscurate dai media.

E’ il caso di un palestinese arrestato in Francia il 28 marzo 2024 e da allora in “détention provisoire” (come denuncia il Comité Liberez ALI).

Nato nel campo profughi di Balata, vicino a Nablus (Cisgiordania), era stato arrestato e incarcerato varie volte dagli israeliani posto  in “detenzione amministrativa”. Quella applicata nei territori occupati della Cisgiordania e denominata Administrative detention order che rientra nella legislazione militare (mentre in Israele si applica la Emergency Power Detention Law e nella striscia di Gaza l’unlawful combatants).

Basandosi su prove secretate, l’interessato non viene a conoscenza delle ragioni per cui è stato arrestato e detenuto. In teoria sarebbe garantito un diritto di difesa, ma nella pratica non viene applicato e gli stessi avvocati non sono a conoscenza delle ragioni specifiche dell’arresto.

Per procedere all’arresto è sufficiente che un militare sospetti di qualcuno ritenendolo una minaccia per lo stato di Israele. Ovviamente si tratta di un concetto alquanto vago, soggettivo. Soprattutto in un contesto di occupazione.

Rifugiato in Francia con la sua famiglia, il 28 marzo 2024 veniva arrestato e posto in “détention provisoire” in base a un dossier inviato dalle autorità israeliane. Il Comitato di solidarietà ne richiede la scarcerazione in quanto le accuse nei suoi confronti sarebbero infondate.

Intanto a Berlino, il 2 agosto, una manifestazione pro-Palestina a Breitscheidplatz, vigorosamente dispersa dalla polizia, si è conclusa con una cinquantina arresti. 

“Armati” di casseruole e cucchiai (per denunciare sonoramente la crisi umanitaria e il rischio imminente di carestia generalizzata a Gaza) i manifestanti avevano lanciato slogan contro il genocidio in corso.

Qualche giorno prima, sabato 26 luglio, sempre a Berlino durante un’altra iniziativa pro-Palestina con oltre diecimila persone, erano stati arrestati 57 manifestanti. Questa si era svolta ai margini della “Marcia dell’Orgoglio Queer internazionalista per la liberazione”. Al tentativo di disperdere il corteo, i manifestanti avevano reagito con insulti e lanci di oggetti causando il ferimento di 17 poliziotti.

Ma la notizia peggiore è sicuramente quella della morte in detenzione amministrativa nel carcere di Megiddo dell’ennesimo prigioniero palestinese (il 76° dall’ottobre 2023). Originario di Jenin, il ventenne Saïd Tazaz’a, detenuto da circa tre mesi, è deceduto il 3 agosto. 

Gianni Sartori

#Kurds #Europa – ZEHRA KURTAY IN SCIOPERO DELLA FAME CONTRO L’ESTRADIZIONE IN TURCHIA – di Gianni Sartori

Risale a circa un mese fa – dopo una serie di notizie altalenanti – la conferma che la giornalista turca, di origine curda, Zehra Kurtay (53 anni, in Francia come rifugiata dal 2007) era stata raggiunta da un OQFT (obligation de quitter le territoire français) con l’obbligo di “togliere il disturbo” entro 30 giorni. Per la militante della sinistra radicale (socialista, antifascista e antimperialista) questo comportava il rischio concreto di venir espulsa verso la Turchia, subire l’arresto, il carcere a vita, la tortura (senza escludere la possibilità di diventare l’ennesima desaparecida).

Niente di nuovo naturalmente. Negli ultimi anni sono stati numerosi i rifugiati politici (in genere curdi, spesso in Francia da diversi anni) che si son visti escludere dal diritto d’asilo.

In una intervista di qualche tempo fa, spiegando la sua situazione, Zehra Kurtay aveva raccontato di quanto le mancasse il suo paese natale dove “avrei voluto poter vivere”. Recentemente era deceduta sua madre che “non vedevo da 18 anni e che è morta senza che potessi partecipare ai suoi funerali”.

Per il suo impegno politico e giornalistico (con il giornale turco denominato, in francese, Le Combat) in Turchia (che definisce un “paese con una storia di massacri”, in riferimento sia a quello storico contro gli Armeni che a quello degli ultimi decenni contro i Curdi) era stata incarcerata varie volte. La prima nel 1994.

Dopo la sua prima detenzione aveva fondato “La voce di Gazi” (giornale diffuso nel quartiere popolare di Gazi a Istanbul) diventando in seguito redattrice di Kurtulus. Picchiata durante una perquisizione del giornale, in seguito viene nuovamente rinchiusa nel carcere di Ümraniye. Dove, nel 2000, prenderà parte allo sciopero della fame di circa 200 detenuti di estrema sinistra di questa ed altre prigioni. Contro la riforma carceraria e l’introduzione delle prigioni di “tipo F”.

Era ormai giunta al sessantesimo giorno di digiuno, quando i militari e e polizia intervengono in forze per prelevare le detenute e rinchiuderle nelle nuove celle (in pratica di isolamento) appena costruite.

Coloro che cercano di opporsi, di resistere, vengono letteralmente massacrati. Cinque vittime nel suo carcere, una trentina in totale.

Zehra Kurtay è tra quelli che nonostante tutto proseguono nella protesta. Al 181° giorno di digiuno subisce l’alimentazione forzata (per Amnesty International una forma di tortura, condannata dal diritto internazionale).

Si calcola che tra il 2000 e il 2007 almeno 600 prigionieri (tra cui anche Zehra Kurtay) abbiano subito gravi conseguenze per la loro salute (soprattutto danni neurologici con conseguente disabilità) a seguito dell’alimentazione forzata.

Rimessa provvisoriamente in libertà, nonostante gli evidenti handicap (si muove con difficoltà, deve essere sempre accompagnata…) quattro anni dopo il governo decide che deve tornare in prigione.

Ma prima che ciò avvenga i suoi familiari riescono a farla espatriare con un passaporto falso. Arrivata in Francia nel 2007 ottiene lo status di rifugiata. Cinque mesi dopo viene arrestata per la frequentazione di una associazione culturale ritenuta vicina a gruppi rivoluzionari turchi (in particolare il THKP-C).

Sottoposta a inchiesta penale dal 2008 al 2012, viene infine condannata a cinque anni nel carcere di Fleury-Mérogis.

Quando, a dieci anni dal suo arrivo in Francia, le viene tolto lo status di rifugiata, reagisce prontamente.

Con sit-in e raccolta-firme quasi quotidiani per tutto il 2019 davanti all’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides) nel quartiere di Strasbourg-Saint-Denis a Parigi.

Dal 3 luglio di quest’anno Zehra Kurtay è nuovamente in sciopero della fame per protestare sia contro l’estradizione in Turchia che contro l’imperialismo francese.

Nella sua “tenda della resistenza”, posizionata alla Porte de Saint-Denis (boulevard Saint-Denis, 75010 Paris dove ha esposto lo striscione “S’il y a injustice et oppression, il y aura résistance”) ha ricevuto la solidarietà di una ventina di delegazioni e di singoli militanti di sinistra. Ma ha dovuto subire anche intimidazioni da parte della polizia e il 30 luglio è stata insultata e minacciata da alcuni esponenti dell’estrema destra.

Gianni Sartori

#Americhe #Repressione – ANCORA UN INDIGENO DIFENSORE DI MADRE TERRA ASSASSINATO IN AMERICA LATINA – di Gianni Sartori

Hipolito Quispehuaman è stato ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco il 26 luglio in Perù. Si tratta dell’ennesimo attacco contro indigeni e ambientalisti nell’area amazzonica dove imperversano trafficanti di droga e sfruttamento minerario (illegale e non, tra le principali cause della deforestazione).

Hipolito era alla guida di un veicolo che trasportava generi di prima necessità lunga una strada che percorre la regione di Madre de Dios (nella giungla del settore di Santa Rosa).

Stando alle prime dichiarazioni del procuratore locale Karen Torres, si tratterebbe di una “rappresaglia per la sua attività di difesa ambientale”.

Membro del Comitato di Gestione della riserva nazionale di Tombopata e della comunidad indígena de Puerto Azul, Hipolito Quispehuaman lottava da anni, in quanto attivista ambientale, contro coloro che stanno depredando l’Amazzonia.

Il vile attentato è stato condannato dal Coordinador Nacional de Derechos Humanos de Perú (CNDDHH) chiedendo che “lo stato peruviano prenda misure urgenti ed effettive per proteggere la vita e il lavoro dei difensori dell’ambiente”.

In X si poteva leggere questo messaggio del CNDDHH: “¡Ni una muerte más! ¡Suficiente con los asesinatos de los defensores de los derechos humanos!”. Da parte del Ministero della Giustizia, l’impegno a “lavorare in difesa delle vittime, affinché tale crimine non rimanga impunito”.

Secondo l’Ong International Witness sono almeno 54 gli ambientalisti assassinati in Perù dal 2012, per la maggioranza membri delle popolazioni indigene.

E negli ultimi tempi gli attacchi sono andati intensificandosi.

Tra quelli più drammatici, ricordo il caso dell’attivista ambientale Mariano Isacama, assassinato nella regione amazzonica di Ucayali. Il suo cadavere era stato ritrovato il 14 luglio 2024, a venti giorni dalla scomparsa, non lontano dalla città di Aguaytía (capitale della provincia di Padre Abad, a circa 300 miglia da Lima). Un delitto avvenuto in coincidenza con il violento tentativo di un folto gruppo di coloni di penetrare nei territori indigeni (come aveva denunciato la Federación Nativa de Comunidades Kakataibo).

Gianni Sartori

#Asia #Popoli – PROTESTE IN PAKISTAN (E NON SOLO) PER L’ARRESTO DEI MILITANTI DI AAC-GB – di Gianni Sartori

Meta privilegiata dei turisti d’alta quota occidentali (una forma di colonialismo), il Gilgit Baltistan è anche, soprattutto, terra di lotte sociali

Ci sono molti modi di colonizzare. Quello classico, brutale (stile cannoniere), quello subdolo che si serve di collaborazionisti locali, quello moderno del turismo che mercifica popolazioni indigene, ambiente, natura, fauna …

Nel nord del Pakistan questo si evidenzia soprattutto nei confronti delle montagne, fondale privilegiato – location? – per le imprese degli scanzonati – e ricchi – vacanzieri d’alta quota. Magari sotto “copertura umanitaria”. Per la serie: “aiutiamoli a casa loro” costruendo strade, rifugi alpini e organizzando tour in elicottero.

Ma in realtà proprio in una delle regioni del nord del Pakistan frequentare assiduamente da alpinisti e sciatori “occidentali” (spesso italici) pare che le popolazioni locali non stiano ad aspettare la pelosa beneficenza degli operatori turistici nostrani.

Torniamo indietro un paio di mesi.

Risale alla fine di maggio l’arresto di alcuni esponenti del Comitato d’Azione Awaami del Gilgit Baltistan (AAC-GB) e del Partito Comunista Inqalabi (RCP),

Il movimento AAC-GB protesta ormai da anni in difesa delle classi subalterne. In particolare contro la fine delle sovvenzioni sul prezzo della farina (ottenendo significative vittorie) e contro lo sfruttamento- espropriazione delle risorse naturali della regione.

Alle mobilitazioni organizzate da AAC-GB hanno preso parte decine di migliaia di persone e su alcune richieste il governo pakistano ha dovuto venire a patti. Ma operando contemporaneamente sul piano repressivo e intensificando il controllo esercitato sulla popolazione.

In maggio, il 24 e il 25, era previsto un grande meeting di AAC-GB, ma il governo era intervenuto preventivamente con misure repressive e proibizioni. Come conseguenza, scoppiavano diverse proteste e numerosi manifestanti finivano in prigione per “turbamento dell’ordine pubblico”.

Altre ampie proteste per ottenere la scarcerazione degli arrestati venivano segnalate a Gilgit e Karimabad (Valle dello Hunza). Tra gli arrestati, Ehsan Ali (presidente di AAC-GB e dirigente del Partito Comunista Inqalabi nel Gilgit Baltistan), Mehboob Wali (responsabile dei rapporti con la stampa), Asghar Shah (presidente della federazione giovanile e membro del Partito Comunista) e altri dirigenti (tra cui Masood Ur Rehman e Waheed Hassan).

In seguito, verso la metà di luglio, un altro esponente di AAC-GB, Sarfraz Nagri, veniva arrestato in casa sua per aver organizzato una manifestazione a Nagar, manifestazione a cui avevano preso parte soprattutto le donne.

Anche questo ultimo arresto di un dirigente di AAC-GB ha provocato proteste spontanee che proseguivano per diversi giorni bloccando le strade di Nagar.

Per placare gli animi, alcuni degli arrestati (Aslam Inqalabi, Waheed Hasan, Asghar Shah, Nafees Advocate, Azmat Ali, Ishtiaq Hussain, Haji Naib Khan…) sono stati rimessi in libertà (sotto cauzione).

Ma almeno altri otto (accusati di “incitamento alla ribellione”) restano dietro le sbarre da circa due mesi: Ehsan Ali (seriamente ammalato), Masood ur Rehman, Mehbob Wali, Mumtaz Nagari, Taaruf Abbas, Irfan Azad, Manzar Maya e Shair Nadir Shahi.

Diverse manifestazioni per richiedere la loro liberazione sono previste il 30 luglio in varie capitali del pianeta davanti ai consolati e alle ambasciate pachistane.

Per i nostrani frequentatori delle vette pachistane, un’occasione unica per mostrare concretamente la loro vicinanza, tanto sbandierata, alle popolazioni di quelle aspre terre elevate.

Gianni Sartori