#Americhe #Colombia – PROCESSO DI PACE A RILENTO E RIPRESA DEL CONFLITTO SOCIALE – di Gianni Sartori

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Circa un anno fa, facendo il bilancio degli accordi di pace in sei punti (piuttosto ambiziosi: riforma agraria, partecipazione politica, fine del conflitto, soluzione al problema del narcotraffico, accordo sulle vittima e meccanismo di verifica) risalenti al 24 novembre 2016, risultava quanto segue.

Delle oltre 570 disposizioni – da realizzare nell’arco di quindici anni – ne risultavano portate a compimento il 28%; il 18% apparivano realizzate in parte; il 35% solo in minima parte e il 19% nemmeno iniziate. Nel complesso, secondo gli addetti ai lavori, il processo di pace procedeva – se pur lentamente – e lasciava ben sperare.

In realtà l’unica buon risultato ottenuto appariva quella del terzo punto (fine del conflitto), realizzato al 50%.

Scarsi invece i risultati nel campo della “partecipazione politica” (secondo punto) e peggio ancora per la questione delle vittime (quarto punto).

Alla fine dell’anno scorso il presidente Gustavo Pedro aveva poi annunciato un ulteriore passo in avanti: la dichiarazione del “cessate il fuoco” bilaterale tra governo e cinque gruppi armati rimasti estranei agli accordi del 2016 con le FARC.

Invece già il primo gennaio del 2013 si registrava quello che altrove verrebbe definito massacro, ma cheforse in Colombia rientra nell’ordinaria amministrazione. Due uomini armati avevano assaltato nel cuore della notte un hotel conosciuto come “El Pentagono” tra le città di Rio de Oro e Ocaña (nel nord est del Paese) uccidendo quattro persone. In un primo tempo era stata sottolineata la presenza in zona sia di guerriglieri dell’Ejército de Liberación Nacional (ELN), sia dei dissidenti delle FARC (contrari al processo di pace), ma successivamente, in base all’inchiesta condotta dalle forze di polizia, la responsabilità veniva attribuita alla delinquenza comune (mafia, cartelli della droga.).…

Un brutto inizio del 2023 comunque. 

Alla fine del 2022 l’Instituto de estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz) calcolava in 94 i massacri dell’anno, mentre nel 2021 erano stati 95. Tra le vittime molti esponenti della società civile (sindacalisti, leader indigeni, insegnanti, ambientalisti, giornalisti, membri di associazioni…) e firmatari degli accordi di Pace. In larga maggioranza, contadini poveri delle aree rurali dove l’impunità per gli assassini è storicamente garantita. Il Centro Nacional de Memoria (istituzione statale incaricata di conservare la memoria del conflitto prolungatosi per oltre sessanta anni) ha registrato 4.237 massacri tra il 1958 e il 2019. La maggior parte tra il 1998 e il 2002 (1.620 in quattro anni).

Per un totale di 24.600 vittime identificate. 

Come è noto la stragrande maggioranza (oltre il 90%) era opera dell’esercito e dei gruppi paramilitari di destra (in genere filogovernativi e legati al narcotraffico).

Nel frattempo non si placa il conflitto sociale.

In molte zone minerarie della regione del Bajo Cauca di Antioquia si sono svolte manifestazioni (e anche scontri con la polizia) a seguito dello sciopero indetto il 3 marzo. 

A El Bagre i minatori hanno occupato gli uffici della Empresa Mineros Aluvial, mentre a Caucasia alcuni manifestanti con il volto coperto hanno attaccato e danneggiato la Casa de la Justicia, la Personería municipale, la succursale di Bancolombia e alcuni uffici pubblici (della Sanità, della Finanze e del Tesoro). Successivamente la società Mineros Colombia ha annunciato di sospendere le attività per ragioni di sicurezza.

Il giorno prima dello sciopero minerario, il 2 marzo, un contadino e un poliziotto avevano perso la vita nel corso di una manifestazione contro Emerald Energy (filiale del gruppo statale cinese Sinochem) a Los Pozos, nei pressi di San Vicente del Caguan (sud-ovest del Paese). Alcune molotov venivano lanciate contro le istallazioni della compagnia petrolifera e i manifestanti avrebbero ucciso a bastonate un poliziotto. Le manifestazioni contro Emerald Energy erano cominciate ancora nel novembre 2022, dopo che la compagnia aveva mostrato chiaramente di non voler mantenere gli impegni sottoscritti con la comunità (realizzazione di infrastrutture, strade…).

Altre proteste si erano registrate anche nel mese scorso. Il 23 febbraio le manifestazioni avevano interessato due illustri istituzioni educative di Bogotà: l’Università nazionale e ilColegio Mayor di Cundinamarca. La prima protesta, iniziata con danneggiamenti all’entrata della sede universitaria, si era allargata al centro della capitale (Macarena) mentre gli studenti del  Colegio Mayor (in lotta per la scadenza delle polizze assicurative e per la mancanza di dialogo nella struttura scolastica) avevano lanciato oggetti contundenti e ordigni incendiari contro le auto della polizia.  

Gianni Sartori

#Kurdistan #Belucistan – IRAN: IL BOIA NON VA IN FERIE – di Gianni Sartori

Come un rosario continua a sgranarsi inesorabile la macabra sequenza delle condanne a morte in Iran. E – come già si rilevava da tempo – con particolare e selettiva ostinazione nei confronti di alcune minoranze (meglio: popolazioni minorizzate) come curdi e beluci.

Nell’ultima settimana, a partire dal 20 febbraio, sono almeno 18 (tra cui due prigionieri politici accertati) quelle di cui si è venuti a conoscenza in base alle notizie diffuse da Hengaw Organization for Human Rights.

Due beluci – Hadi Arbabi e Mohammad Eshaq Gorgij, detenuti dal 2029 nel carcere di Zahedan – sono stati impiccati all’alba del 27 febbraio. Il giorno prima, domenica 26 febbraio, la medesima sorte era toccata ad altri cinque prigionieri (tra cui due donne) nel carcere di Birjand. Il 22 febbraio era stata la volta di Hamid Rahimi (un curdo di 34 anni, originario di Dehgolan, arrestato quattro anni fa con l’accusa di omicidio) nella prigione di Sanandaj e di Mohammad Rassoul Cholaki in quella di Ilam. Al momento, stando sempre a quanto dichiarato da Hengaw, la notizia di queste due esecuzioni non è stata diffusa dai media iraniani. Davoud Rokjan era stato giustiziato il 21 febbraio a Birjand, mentre il giorno prima, 20 febbraio, il boia aveva stretto la corda al collo di due fratelli beluci, Alireza e Safar Mohammad Pour, nel carcere di Torbat-e-Jam.

Hengaw ha anche denunciato alte tre esecuzioni (senza poter fornire per ora i nomi dei condannati) probabilmente avvenute il 28 febbraio.

Gianni Sartori

#Palestine #News – POGROM ANTI PALESTINESI IN CISGIORDANIA – di Gianni Sartori

fonte immagine Erik Marmor – Flash90

In effetti – come mi segnala Miriam Gagliardi (sempre attentissima e giustamente indignata per quanto avviene in Palestina) – a leggere quanto scrive Jeff Halper “viene la pelle d’oca”.

Nel comunicato del Comitato di Trieste di Salaam Ragazzi dell’Olivo quella operata da Israele su Huwara viene definita “furia incendiaria”. Anche definirla pogrom sarebbe azzeccato.

Stiamo parlando di ”quasi 70 persone uccise tra adulti e adolescenti nei primi 2 mesi del 2023 per i ripetuti attacchi con incursioni violente e omicide nelle città di Jenin, Nablus, in alcuni campi profughi della Cisgiordania e i susseguenti bombardamenti a Gaza”.

Attacchi che secondo il Comitato triestino avrebbero “come unico risultato la continuazione della pulizia etnica, pianificati ormai nell’apartheid applicata dalle forze israeliane sioniste al popolo palestinese”.

“Le ultime uccisioni – prosegue la denuncia – sono avvenute durante i colloqui in Giordania, promosso dagli Stati Uniti ad Aqaba, per discutere, pensate un po’, del peggioramento della violenza nei Territori Occupati”. Dopo che “le forze israeliane hanno lanciato il loro raid più mortale nella Cisgiordania occupata in quasi 20 anni, provocando la morte di 11 palestinesi nella città di Nablus”.

Non è da meno Jeff Halper (antropologo israeliano, docente di Antropologia all’Università Ben Gurion,è stato coordinatore dell’Israeli Committee Against House Demolitions) nel suo articolo del 27 febbraio:

“I coloni si sono abbattuti con furia sulla città palestinese di Huwara, vicino a Nablus, e l’hanno incendiata: case (più di 30), attività commerciali, moschee, scuole, ogni edificio a cui hanno potuto dare fuoco, oltre a più di 40 auto e persino alle autobotti dei vigili del fuoco locali, in modo da non poter contenere le fiamme che si propagavano. Sembra che ci siano molte vittime palestinesi – si parla di un morto, 98 palestinesi sono stati curati per le ferite riportate finora – anche se i coloni stanno attaccando le ambulanze e l’esercito israeliano avrebbe impedito alla Croce Rossa di entrare in città. (Ora, tre ore dopo l’inizio del pogrom, i coloni sono ancora in città e, secondo quanto riportato dal Canale 12 israeliano, impediscono alle famiglie palestinesi intrappolate nelle case in fiamme di fuggire – e nessun aggressore è stato arrestato).

Huwara è una cittadina palestinese di circa 6.000 abitanti circondata dagli insediamenti israeliani più violenti della Cisgiordania: Itamar, Tapuakh, Yitzhar, Qdumim, Har Brakha e altri. Gli attacchi ai palestinesi sono frequenti e gli autori, ben noti alla polizia (ora sotto il controllo di Itamar Ben Gvir, un colono di Hebron che è stato processato sette volte per attacchi violenti ai palestinesi), non vengono mai puniti. Questo attacco, tuttavia, è di dimensioni mai viste; persino la TV israeliana lo definisce un pogrom. E a quanto pare anche altre comunità palestinesi della zona sono state attaccate, Burin e persino Nablus.

Credo che questo porterà a un cambiamento qualitativo della situazione politica come l’abbiamo conosciuta, in un modo o nell’altro. Molti nell’attuale governo Netanyahu credono che questo sia il momento di reprimere violentemente tutta la resistenza palestinese. Bezalal Smotrich, un colono che è stato nominato ministro del governo responsabile dell’Amministrazione civile, il governo militare israeliano in Cisgiordania, responsabile dell’approvazione degli insediamenti, dell’esproprio delle terre e della demolizione delle case, ha appena messo un “mi piace” a un tweet di un funzionario israeliano nominato (e colono) nell’amministrazione della Cisgiordania che chiede lo “sradicamento di Huwara”. 

Ma i pogrom israeliani aprono anche opportunità – tragicamente. Dimostrano la violenza sfrenata a cui sono sottoposti i palestinesi ed evidenziano l’insostenibilità – e l’ingiustizia – della “situazione”. Dobbiamo chiedere ai nostri governi di ritenere Israele e i suoi coloni responsabili delle loro azioni. Infatti, se solo i nostri governi rispettassero le loro leggi internazionali, di cui Israele è in grave violazione, l’occupazione crollerebbe per il peso stesso della sua illegalità.

La Palestina rappresenta il banco di prova per capire se il “Diritto internazionale”, costantemente invocato da Biden a proposito del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina, abbia un significato politico o morale, o se in realtà viviamo in una distopia Kissinger-ariana di realpolitik. Credo che conosciamo la risposta, e questo significa che dobbiamo andare oltre l'”approccio ai diritti umani” per intraprendere un’azione politica significativa”.

Ricapitolando.

Il 26 febbraio due fratelli israeliani (Hillel e Yagal Yaniv residenti nell’insediamento di Har Bracha) venivano ammazzati da unpalestinese armato di M-16 nella città di Huwara (nei pressi di Nablus dove pochi giorni prima erano stati uccisi una decina di palestinesi) in Cisgiordania. 

Come reazione centinaia di coloni sionisti attaccavano le abitazioni palestinesi di Huwara incendiandole e distruggendole (mentre i soldati assistevano passivamente). Un autentico pogrom.

Stesso copione nei villaggio di Burin (sud di Nablus) dove veniva incendiata anche una scuola.

Bilancio provvisorio: un palestinese ucciso a Zatara (a sud di Huwara) e un centinaio di feriti.

In precedenza, 20 e 21 febbraio, la polizia israeliana aveva condotto un’ampia campagna di arresti in Cisgiordania con una trentina di palestinesi portati in carcere (accusati di partecipazione alla resistenza contro gli insediamenti).

Una quindicina dei fermati provenivano dal campo per rifugiati di Al-Fawwar (a Hebron), altri da Jenin e Nablus.

Altri palestinesi venivano arrestati nel villaggio di Urif.

A Jenin gli israeliani si erano scontrati violentemente, militarmente, con parte dei residenti.

Gianni Sartori