#Turkey #Repressione – TRA CARCERI SPECIALI, SCIOPERI DELLA FAME, NUOVE CONDANNE E QUALCHE SPORADICA RIMESSA IN LIBERTÀ – di Gianni Sartori

Nelle carceri turche sono in corso da mesi scioperi della fame illimitati (due fino alla morte) da parte di prigionieri della sinistra rivoluzionaria. Stiamo per assistere nuovamente a uno stillicidio di vittime come qualche anno fa?

Tra gli Hunger Strikers anche due esponenti di Grup Yorum, il gruppo di musica popolare di cui facevano parte İbrahim Gökçek, la cantante Helin Bölek e Mustafa Koçak deceduti in sciopero della fame nel 2020.

In Turchia è stata confermata dalla Corte Suprema d’appello la condanna a 35 anni (con sette distinti capi d’accusa) per il militante della sinistra rivoluzionaria Ünal Yiğit.

Confermando il verdetto emesso nell’aprile dell’anno scorso dalla Alta Corte penale di Istanbul. Altri coimputati sono stati invece assolti. Tra le accuse, la principale è stata di “appartenenza a una organizzazione terroristica”. Ossia il TKP/ML (Türkiye Komünist Partisi/Marksist-Leninist, Partito Comunista di Turchia/Marxista-Leninista). I suoi avvocati hanno annunciato di voler far ricorso alla Corte costituzionale.

Un altro episodio in sintonia con il quadro generale.

Il 1° settembre, alle dieci del mattino, gli esponenti di TAYAD (“Tenacia”, l’associazione di solidarietà con le famiglie dei prigionieri politici) andavano riunendosi nel parco Kurtuluş (Ankara) in sostegno di Serkan Onur Yılmaz. Un detenuto attualmente in sciopero della fame fino alla morte (da oltre 300 giorni) per protestare contro le prigioni di tipo “pozzo”.

Ma sono stati immediatamente assaliti dalla polizia che ha arrestato numerose persone tra cui Celal Elmacı, Feridun Osmanağaoğlu, Rukiye Serce, Ferdi Sarikaya e Umut Garan Can.

Qualche giorno prima, il 22 agosto, anche in varie località europee (Tolosa, Ginevra, Bruxelles, Vienna, Minsk, Kiev, Atene, Parigi… ) si erano svolti sit-in di solidarietà con la sua protesta di Serkan Onur Yılmaz.

Attualmente sono otto i prigionieri esponenti della sinistra rivoluzionaria in sciopero della fame: Mithat Öztürk, Ali Aracı e Fırat Kaya (due membri di Grup Yorum), Ayberk Demirdöğe, Gürkan Türkoğlu, Fikret Akar, Ümit Çobanoğlu, Tahsin Sağaltıcı.

A loro il 25 agosto si è unito un esponente di Dev-Genç (Gioventù Rivoluzionaria) Mahir Doğan, arbitrariamente trasferito in isolamento nella prigione di tipo L n. 6 di Silivri.

Protestano contro le condizioni indegne in cui versano i detenuti segregati nelle celle di tipo S, R e Y. In totale isolamento per demolire fisicamente e psicologicamente i prigionieri. Con assenza di finestre, camere di sorveglianza in ogni spazio e totale automatizzazione (impedendo di fatto ogni tipo di comunicazione, perfino con le guardie).

Il 27 agosto uno di loro, Ayberk Demirdöğen, ha deciso di trasformare il suo sciopero della fame illimitato (iniziato l’11 marzo) in digiuno fino alla morte. Unendosi così alla lotta ormai estrema condotta da Serkan Onur Yilmaz.

Volendo cercare a tutti i costi qualche qualche sprazzo di cielo azzurro nelle negras tormentas del cielo turco (o qualche per quanto magra – e qui suona involontariamente ironico – consolazione), riporto che il il 26 agosto, dopo 195 giorni di sciopero della fame illimitato, un altro esponente della sinistra rivoluzionaria, Mithat Öztürk, è stata trasferito – come rivendicava con la sua lotta – dalla prigione di tipo “pozzo” dove era rinchiuso alla prigione di tipo “F” n. 1 di Sincan.

Invece il 21 agosto due detenuti politici curdi della prigione di alta sicurezza di tipo “F” di Bolu, erano tornati in libertà.

All’uscita dal carcere Deniz Güzel (arrestato nel 1992, condannato per aver “attentato all’integrità dello Stato”) e Bülent Güneş (arrestato nel 1993 e tenuto in carcere anche dopo la fine della pena in quanto “rifiutava di pentirsi”) sono stati accolti e festeggiati da amici, parenti e compagni.

Diciamo un piccolo “premio di consolazione”.

Gianni Sartori

#Palestina #Analisi – REPRESSIONE E RESISTENZA IN PALESTINA E DINTORNI – di Gianni Sartori

Immagine by Lancelot

Ai primi di settembre è stata pubblicato un rapporto di varie organizzazioni da cui risulta che il numero dei prigionieri palestinesi è aumentato in maniera significativa. Sarebbero almeno 11.100 quelli richiusi nelle carceri israeliane. Tra loro una cinquantina di donne e oltre 400 minori.

Ben 3577 sono in detenzione amministrativa (praticamente senza accuse precise, senza processo e senza tutela giuridica). Altri 2662 vengono classificati come “combattenti illegali”. E comunque senza includere tutti quelli arrestati sul campo a Gaza. 

Stando al rapporto delle organizzazioni (e ai dati in loro possesso, comunque parziali) si tratterebbe del maggior numero di prigionieri politici palestinesi dall’epoca dell’Intifada Al-Aqsa di 25 anni fa. 

Sempre ai primi di settembre, in Gran Bretagna sette esponenti di Defend Our Juries venivano arrestati in base alla legge anti-terrorismo. L’arresto è avvenuto prima di una conferenza-stampa in cui si denunciava l’interdizione dell’organizzazione Palestine Action (classificata come “terrorista” dal mese di luglio).

Fondata nel 2000, Palestine Action ha condotto vigorose campagne di proteste contro l’azienda israeliana fabbricante di armi Elbit Systems. Accusandola di corresponsabilità nel genocidio in corso a Gaza e causandole perdite milionarie. Inoltre il 20 luglio alcuni militanti erano penetrati in una base militare della Royal Air Force nell’Oxforshire danneggiando diversi aerei. Per impedire analoghe azioni di protesta, veniva classificata dal ministero degli Interni britannico come “organizzazione terroristica”.

Su iniziativa della ministra Yvette Cooper la dichiarazione di messa-fuori-legge era poi stata votata a maggioranza dalla Camera dei Comuni e dalla Camera dei Lords alla fine di luglio.

Per cui la sola appartenenza all’associazione diventava illegale con pene previste fino a quattordici (14 !) anni di prigione. Sia per partecipazione, sia per “incitamento” (?!?).

Come conseguenza, alla fine di agosto oltre settecento (700) persone venivano denunciate per aver espresso solidarietà a Palestine Action. Alla fine, di queste “solo” 67 dovranno presentarsi davanti a un tribunale (presumibilmente in ottobre) rischiando sei mesi di detenzione.

Sempre ai primi di settembre, la polizia metropolitana di Londra annunciava che altre 47 persone erano state accusate di sostenere Palestine Action, portando a 114 il numero degli indagati.

Intanto a Bruxelles, davanti all’ambasciata britannica (Avenue d’Auderghem 10), il 4 settembre veniva indetto un raduno di solidarietà con i prigionieri denominati “Filton 24”. Accusati di aver preso parte all’incursione in una fabbrica israeliana di armi della Elbit Systems a Filton nel Gloucestershire (agosto 2025). Causando ingenti danni (si parla di milioni di euro).

E in particolare per la liberazione di una di loro, la ventinovenne britannica T. Hoxha. In sciopero della fame dall’11 agosto e le cui condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate. Senza che la direzione del carcere intenda – almeno per ora – farla ricoverare in ospedale o almeno fornirle cure adeguate.

Ricordo che già dopo i primi tre-quattro giorni di sciopero della fame il corpo inizia a scomporre le proprie riserve di grasso per ricavarne energia. Continuando poi con i muscoli e organi vitali fino al midollo osseo. In pratica, divorando se stesso. Già dopo dieci giorni risulterebbe indispensabile un intervento medico adeguato (non l’alimentazione forzata ovviamente, classificata da Amnesty International come tortura).

Da parte loro i “Filton 24” denunciano di aver subito aggressioni, privazioni del suono, isolamento in unità speciali e violazione dei diritti fondamentali.

Quanto a Hoxha, lo stesso giorno in cui veniva votata la messa-fuori-legge di Palestine Action, veniva spostata dalla prigione HMP Bronzefield a quella HMP Peterborough, un carcere amministrato a scopo di profitto dall’impresa privata Sodexo.

Più ”folcloristica”, se vogliamo, la notizia che dall’estate del 2024 è vietato l’ingresso al memoriale di Buchenwald per quei visitatori che indossano la kefiah o magliette e spille con simboli palestinesi. Buchenwald (bosco di faggi), posto su una collina a pochi chilometri da Weimar, costituiva uno dei maggiori campi di sterminio sul territorio tedesco all’epoca del nazismo.

Noto in particolare per aver contribuito all’eliminazione di migliaia e migliaia di dissidenti e prigionieri politici comunisti (per un totale di 50-60 mila vittime, il 20% ebrei). Oltre a testimoni di Geova e “asociali” (generica categoria adottata talvolta per anarchici, “zingari” e altri soggetti non addomesticabili). 

Noto in particolare per gli esperimenti “medici” condotti sui prigionieri e per aver annoverato tra gli internati anche Mafalda di Savoia.

Tra le vittime più conosciute e ancora ricordate, il dirigente comunista Ernst Thälmann, qui assassinato nel 1944 per ordine diretto di Hitler.

E tuttavia, nonostante questi precedenti storici, dall’aprile di quest’anno (in coincidenza con la ricorrenza della liberazione del campo) sono stati vietati anche i simboli sovietici e comunisti.

Altro inasprimento. In una nota del Memoriale la kefiah veniva classificata come “simbolo antisemita”. Così come l’anguria (per i colori) e la chiave (emblema del ritorno dei rifugiati palestinesi alle loro case). Simboli che si aggiungevano alla “lista nera” dove erano già stati inseriti il movimento BDS (Movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro l’apartheid israeliano) e varie organizzazioni di sinistra.

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – MENTRE DAMASCO E TURCHIA MINACCIANO DI ATTACCARE IL NORD-EST AUTOGOVERNATO DAI CURDI, ANCHE PER OCALAN IL ROJAVA RIMANE UNA “LINEA ROSSA” – di Gianni Sartori

Da un comunicato del 3 settembre di AFP da Al-Qāmishlī, si apprende che le forze di sicurezza curde nel nord-est della Siria (asayis) il giorno prima avevano sventato un tentativo di evasione di massa (oltre una cinquantina di persone) dal campo di al-Hol.

Gestito dall’amministrazione autonoma curda, anche a più di sei anni dalla disfatta dello Stato islamico (Daesh) rinchiude decine di migliaia di familiari dei miliziani jihadisti (o presunti tali) in condizioni oggettivamente difficili.

Il tentativo è avvenuto “a bordo di un veicolo di grandi dimensioni (un camion, un autobus…? nda) che è stato intercettato mentre tentava di forzare l’entrata principale”. Tutti gli aspiranti evasi sarebbero stati catturati.

Stando ai dati forniti dalla direzione del campo, attualmente qui vi sarebbero circa 27.000 persone. Di cui 15.000 siriani e circa 6300 donne e bambini stranieri (almeno 42 diverse nazionalità).

Come è noto sono soprattutto i paesi occidentali che si rifiutano di riprendersi i loro compatrioti ex jihadisti.

Nel 2014 Daesh aveva occupato una vasta area di territorio in Siria e in Iraq e anche dopo la disfatta subita nel 2019 (in gran parte per merito dei curdi) alcune “cellule dormienti” rimangono nascoste nei deserti siriani.

Da dove periodicamente fuoriescono per colpire (ultimamente soprattutto nella zone di Deir ez-Zor) i posti di controllo degli asayis. Con imboscate, bombardamenti, cecchinaggio… allo scopo di destabilizzare la regione (oltre un centinaio gli attacchi dall’inizio dell’anno).

Provocando decine di vittime tra le Forze democratiche siriane e tra i civili.

Il 3 agosto le Unità di protezione del popolo (YPG) annunciavano di aver arrestato nel villaggio di Hassaké un leader dell’Isis incaricato dell’addestramento delle milizie e e nell’identificazione degli obiettivi.

Sempre in agosto le Unità di protezione delle donne (YPJ) confermavano di aver condotto oltre 60 operazioni speciali contro i mercenari jihadisti dall’inizio del 2025, arrestando 64 mercenari, tra cui tre dirigenti.

Altre nuvole oscure si vanno intanto addensando sul nord-est della Siria. Almeno stando alle recenti dichiarazioni del presidente di MHP (Partito del Movimento Nazionalista, Milliyetçi Hareket Partisi), forse propedeutiche a un’operazione congiunta di Ankara e Damasco contro le Forze Democratiche Siriane (SDF), le YPJ e le YPG.

In quanto, secondo Devlet Bahçeli, non si sarebbero allineate all’appello di Ocalan e alla sua richiesta (almeno inizialmente rivolta a tutte le organizzazioni curde) di deporre le armi e procedere all’auto-dissoluzione.

Devlet Bahçeli (il principale alleato di Erdogan e tra i fondatori dei Lupi Grigi) è il soggetto politico responsabile del tentativo in corso (almeno da parte curda) di una “soluzione politica” del conflitto. Aveva infatti chiesto espressamente a Ocalan il disarmo volontario del PKK e delle altre milizie curde.

Richiesta finora respinta al mittente da FDS, YPG e YPJ. In quanto, come dichiaravail 14 agosto Çiğdem Doğu (esponente della Comunità delle Donne del Kurdistan – KJK) “In un contesto del genere (in riferimento ai ripetuti massacri perpetrati dai filogovernativi nelle regioni alavite e druse – nda) solo pensare di imporre la resa delle armi alle Forze democratiche siriane significa semplicemente dire “Venite a farvi sgozzare”.

Tanto che anche Pervin Buldan, membro della delegazione del Partito DEM a Imralı, si è sentito in dovere di ricordare che “Abdullah Öcalan aveva approfondito con loro a situazione nel nord e nell’est della Siria”. Spiegando che pur avendo parlato soprattutto della politica turca aveva anche ripetuto che “ La Siria e il Rojava sono la mia linea rossa. Per me questo ambito è diverso”.

Intendendo – presumo – rispetto al Bakur. Il minimo sindacale direi.

Gianni Sartori