
Arrestata a Rasht (capitale della provincia di Guilan, nord-ovest dell’Iran) nel dicembre 2023, Sharifeh Mohammadi era conosciuta come militante di un sindacato legale da oltre dieci anni. Nel luglio 2024 veniva condannata a morte a causa della sua pubblica opposizione alla tortura e alle esecuzioni. Una “colpa” equiparata prima a “propaganda contro lo Stato” e poi a “ribellione armata”.
In carcere ha subito maltrattamenti e torture (sia fisiche che psichiche) per estorcerle confessioni, posta in isolamento per oltre tre mesi con la proibizione di visite e telefonate. Unica “concessione”, qualche breve contatto telefonico con il figlio dodicenne.
Nel giugno del 2024 veniva arrestato anche suo marito.
Il 12 ottobre 2024 la Corte suprema iraniana aveva annullato la condanna a morte, per vizi di procedura, rinviando il verdetto a un nuovo processo.
Ma la condanna veniva riconfermata il luglio di quest’anno e l’esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento.
Sulla drammatica vicenda è intervenuta con un comunicato l’Assemblea delle donne del partito filo-curdo Dem (Partito dell’uguaglianza e della democrazia del popolo) che ha definito Sharifeh Mohammadi “una militante che ha difeso i diritti delle donne e dei lavoratori”.
Affermando di considerare “ogni attacco contro le donne, ovunque avvenga nel mondo, come un attacco contro il nostro corpo e intensificheremo la nostra ribellione contro questo. Il regime fascista dei Mullà ha per l’ennesima volta commesso un crimine contro l’umanità e contro le donne per conservare il proprio potere dominato dagli uomini”.
E proseguendo: “La pena di morte inflitta a Şerife Muhammedi che ha lottato contro le violazioni dei diritti umani, la violenza, lo sfruttamento e l’ingiustizia non è frutto di un sistema giuridico fondato sul diritto, ma piuttosto di un sistema che privilegia il dominio maschile e va contro il diritto delle donne alla vita, Centinaia di donne che lottavano per la loro libertà sono già rimaste vittime di questo regime misogino…”.
Per concludere che “non resteremo in silenzio di fronte a quei sistemi che utilizzano il potere giudiziario come una mazza quando si sentono in difficoltà e che alimentano il loro maschilismo mascherandolo dietro la legge”.
Gianni Sartori

