#Oceania #Ambiente – PAPUA NUOVA GUINEA: ABOLITA LA PROIBIZIONE NEL COMMERCIO DEI CREDITI DI CARBONIO FORESTALI E VIA LIBERA ALL’ESTRATTIVISMO (ANCHE OFFSHORE) – di Gianni Sartori

Alla già ben nota piaga della deforestazione (in parte illegale, in buona parte con il legame esportato in Cina per la lavorazione) e del conseguente degrado della foresta primaria (con il rischio estinzione per specie come il canguro arboricolo, alcuni uccelli del paradiso e il parrocchetto di Pesquet), si aggiungono ora altre calamità.

Sta infatti per essere tolta la moratoria del 2022 (adottata volontariamente dopo una serie di scandali legati all’operato di imprese straniere) sulla proibizione del commercio dei crediti di carbonio forestali. Con la conseguente apertura di vaste aree di foresta primaria al disboscamento, al saccheggio.

Altra novità negativa sul fronte ambientale, un disegno di legge in via di approvazione sulle miniere della Papua Nuova Guinea (in sostituzione del Mining Act del 1992).

Magari con qualche buona intenzione, come la norma per cui l’estrazione mineraria alluvionale viene riservata ai cittadini (modifica in realtà già introdotta quattro anni fa) e la creazione di un centro governativo di raccolta dati minerari (per costringere le cave a inviare i dati di estrazione in tempo reale).

Stando ai dati ufficiali, negli ultimi cinque anni in Papua Nuova sono stati estratti 2,4 milioni di once di oro; 84.500 tonnellate di concentrato di rame; 33.500 tonnellate di nichel; 123mila tonnellate di concentrato di cromite. In soldoni, circa il 20% del Pil nazionale.

Ma, stando ad alcune Ong, non ci sarebbe preoccupati abbastanza dell’impatto ambientale e delle conseguenze per le comunità indigene.

Per esempio non considerando gli effetti delle miniere poste a monte di un bacino fluviale. Come si è già verificato in molte circostanze, le conseguenze possono essere devastanti sia per l’ambiente che per la popolazione.

Vedi il caso – già ben documentato – del fiume Fly nella Provincia Occidentale e quello prevedibile del fiume Sepik quando il progetto della miniera di Frieda (collocata a oltre 200 km nell’entroterra) diventerà operativo. Con pesanti ripercussioni sull’esistenza quotidiana di mezzo milione di persone e su un ampio ecosistema (circa centomila chilometri quadrati).

Previsioni ancora peggiori per l’estrazione offshore inserita nella Parte VII del nuovo progetto di legge.

Un genere di attività estrattiva – quella offshore – non attuata né nelle Zone Economiche Esclusive né nelle acque internazionali. In quanto l’Isa (Autorità internazionale dei fondali marini) esita, almeno per ora, nel concedere licenze. Permane infatti un sostanziale disaccordo tra gli Stati membri del Consiglio per il fondato sospetto che l’attività estrattiva in acque profonde sia tutt’altro che sicura a livello ambientale.

Verrebbe infatti a interagire negativamente con le rotte migratorie dei pesci (con un forte impatto sulla pesca) e dei grandi mammiferi marini, cetacei in primis. Mettendo nel conto i rumori sottomarini prodotti dalle attività estrattive, i rifiuti e le sostanze chimiche trascinate dalle correnti marine anche a grandi distanze dai luoghi delle trivellazioni, i probabili spostamenti coatti delle popolazioni costiere che assisterebbero impotenti all’esaurimento delle loro principali fonti di sostentamento.

Gianni Sartori