#Kurds #Syria – SIRIA SOTTO PRESSIONE TRA SEDIMENTI JIHADISTI E TENTATIVI DI CONVIVENZA DEMOCRATICA – di Gianni Sartori

Mentre il nuovo governo di Damasco appare alquanto tiepido nel riconoscimento delle minoranze, nel nord-est le SDF stabiliscono rapporti di reciproco riconoscimento con la comunità armena. Smobilitando nel contempo le milizie curde da Aleppo e procedendo allo scambio di prigionieri con l’SNA.

Anche se “Dio solo sa come andrà a finire” l’evoluzione della situazione in Siria appare emblematica di quanto potrebbe in futuro accadere in tutto il Medio oriente.

Risale alla fine del mese scorso l’annuncio del presidente al-Sharaa del nuovo governo ad interim. Dovrebbe restare in carica cinque anni e traghettare il Paese verso la nuova Costituzione e le prime elezioni politiche post-Assad.

Un esecutivo composto da 23 ministri, tra cui anche una donna, la cristiana Hind Kabawat a cui è stato affidato il dicastero del Lavoro e degli Affari sociali.

Com’era prevedibile la maggioranza dei ministri (in particolare nelle “posizioni-chiave”) appartiene alla comunità sunnita. In buona parte sono ex membri del “governo di salvezza” di Idlib tra il 2011 e il 2024. Come Asaad al-Shaibani ( nuovamente a capo della diplomazia) e Mourhaf Abou Qasra (confermato alla Difesa).

Ad un altro ex jihadista, Anas Khattab (già dirigente dell’Intelligence a Idlib), è stato affidato il ministero degli Interni mentre Mouzhar al-Waiss dovrà occuparsi della Giustizia. In sostituzione di Shadi Mohammad al-Waisi, allontanato dopo la diffusione di alcuni video in cui presenziava all’esecuzione di due donne accusate di prostituzione a Idlib. Tra gli appartenenti alle minoranze, l’alawita Yarub Badr (ministro dei Trasporti) e il druso Amgad Badr (dicastero dell’Agricoltura).

Oltre alla già citata cristiana cattolica Hind Kabawat che in un’intervista ha detto di ispirarsi al pensiero e all’opera del gesuita padre Paolo dall’Oglio, ai suoi ideali di “giustizia, inclusione e diversità”.

Tuttavia il nuovo governo è stato comunque messo in discussione – diciamo pure “bocciato” – dai curdi per una “evidente mancanza di reale coinvolgimento delle minoranze”.

Intanto nel nord-est siriano, il 2 aprile il comandante delle SDF (Forze Democratiche Siriane) Mazloum Abdi ha ricevuto sua Eminenza il vescovo aggiunto Levon Yeghiayan, pastore dell’Arcidiocesi Ortodossa Armena di Al Jazeera e una delegazione della comunità armena. Levon Yeghiayan ha trasmesso al comandante delle SDF le felicitazioni e le benedizioni dell’arcivescovo armeno ortodosso di Aleppo, Makar Ashkarian, per Newroz e per Eid al-Fitr. Elogiando le SDF per quanto stanno facendo a tutela della sicurezza, del dialogo, del rispetto e della convivenza tra le diverse comunità etniche, politiche e religiose.

Da parte sua Abdi ha ricordato il ruolo storico assunto dalla comunità armena nell’arricchimento del tessuto sociale e culturale del nord e dell’est della Siria, così come nell’intero Paese. Ricordando come sia “responsabilità collettiva dei siriani superare le divisioni e collaborare per l’unità e un futuro stabile per tutti”.

Successivamente, nell’arco della stessa giornata, il Comandante delle SDF ha ricevuto una delegazione di sceicchi e dignitari di Raqqa. Anche da costoro sono venuti elogi per l’operato delle SDF, in particolare per i recenti accordi con il governo di Damasco (anche se in parte – forse – rimessi in discussione).

Con un preciso riferimento a quello del 1 aprile (composto da 14 clausole e salutato dal Consiglio civile di vicinato come una “soluzione sostenibile”) con cui le forze curde si sono impegnate a rimuovere le barricate e ritirare le milizie armate dai quartieri a maggioranza curda di Aleppo (Cheikh Maqsoud e Achrafieh). Milizie che si sposteranno sulla riva orientale dell’Eufrate portandosi comunque appresso le armi. Allo scopo di assicurare la convivenza e la sicurezza dei residenti con la costituzione di un Comitato di coordinamento per garantire eventuali spostamenti della popolazione curda nel nord-est. Viene inoltre garantito il mantenimento dei municipi e consigli locali esistenti e pianificato lo scambio dei prigionieri catturati durante il conflitto.

Il primo scambio è avvenuto il 3 aprile con la liberazione da parte dell’Amministrazione autonoma di 400 persone. Da parte sua l’Esercito Nazionale Siriano (SNA, sottoposto al comando turco), grazie al ruolo di intermediario del governo di Damasco (HTS), ha liberato 170 prigionieri curdi.

Gianni Sartori

#MemoriaStorica #Turkey – CENTINAIA DI CRANI E RESTI UMANI SCOPERTI NEL SOTTOSUOLO DI UNA CHIESA ASSIRA RIPORTANO ALLA MEMORIA UN GENOCIDIO DIMENTICATO – di Gianni Sartori

Forse perché sostanzialmente pacifica, poco propensa alle rivolte armate, la comunità assiro-caldea (siriaca) era certamente meno nota rispetto ad altre minoranze – etniche o religiose – più “combattive” (come i curdi o anche i drusi). Abitano i territori mediorientali da almeno duemila anni e la loro lingua – di origine aramaica – presenta tre varianti: il caldeo, l’assiro e il turoyo.

Ugualmente sono presenti tre chiese cristiane: la Chiesa Caldea (cattolica), l’Antica Chiesa d’Oriente (ortodossa) e la Chiesa Assira d’Oriente che deriva direttamente dall’eresia nestoriana (minoritaria).

Meno nota si diceva. Anche se saltuariamente se ne parla. Per esempio una decina di anni fa (ottobre 2015) quando un folto gruppo di hunger striker dette inizio a uno sciopero della fame nel distretto di Midyat (provincia di Mêrdîn, sud-est della Turchia) chiedendo il riconoscimento del genocidio assiro (conosciuto come Sayfo, significa “spada”) di un secolo prima.

Raccogliendo la solidarietà e il sostegno di alcuni sindacati turchi e del Partito democratico del popolo (HDP, filo-curdo).

All’epoca, Aynur Özgün, esponente dell’assemblea delle donne siriache, annunciava che “non era quello il primo sciopero della fame e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo”. Del resto la loro lotta per il riconoscimento del genocidio e per i diritti del popolo siriaco durava da diversi decenni. Anche se in passato gli scioperi della fame venivano organizzati soprattutto dalla diaspora. Oltre alle migliaia di quelli deportati, sarebbero oltre 300mila gli assiri massacrati dalle truppe ottomane (contemporaneamente agli armeni e ai greci del Ponto) tra il 1914 e il 1920 (all’epoca dei Giovani-Turchi e della disgregazione dell’Impero ottomano). Le prime stragi di massa avvennero nel sud-est dell’attuale Turchia, oltre che a Mêrdîn anche a Diyarbakir (in curdo Amed) dove vennero uccisi tutti i maschi assiri. Ovviamente, come per gli armeni, lo Stato turco si è sempre rifiutato di riconoscere il genocidio degli assiri, accusando chi protestava di “falsificare la Storia e diffamare la Turchia”.

Ma una conferma ulteriore della portata di tale genocidio è venuta in questi giorni.

Grazie alla scoperta di uno strettissimo passaggio segreto, centinaia di crani e resti umani (la maggior parte sarebbero di donne e bambini) sono stati rinvenuti in una chiesa (Mor Dimet, la più grande delle sette qui presenti) di Arbo. Un villaggio assiro che sorge sulle pendici del monte Bagok (distretto di Nisêbîn nella provincia – attualmente a maggioranza curda – di Mardin).

Nel secolo scorso tale località è stata evacuata almeno tre-quattro volte. Sia dagli ottomani che dai turchi (la prima nel 1914, l’ultima nel 1990).

Le case e le chiese erano state demolite e centinaia di persone risultavano uccise o scomparse. Solo all’inizio del terzo millennio alcune famiglie assire della diaspora hanno ricominciato a ricostruire e ripopolare il paese.

Il merito di aver documentato per prima tale scoperta spetta all’Agenzia Mezopotamya.

Come è forse noto, dopo aver sterminato assiri e armeni (un milione di vittime), la Turchia non aveva risparmiato nemmeno i curdi. Come appunto ci ricordano il massacro di Zîlan (1930) e quello di Dersim (1937-1938).

Successivamente (anni novanta) circa 5mila villaggi curdi (nelle regioni di Şirnex, Mêrdîn, Êlih, Amed…) vennero prima forzatamente evacuati e poi dati alle fiamme dai soldati turchi. Lasciando sul terreno oltre 17mila vittime (senza spiegazioni ufficiali sulle cause, le modalità di tali decessi…) e costringendo mezzo milione di persone a migrare verso le maggiori città turche.

Si presume che la maggior parte dei curdi deceduti siano rimasti vittime delle formazioni paramilitari (come JITEM) responsabili delle operazioni di “guerra sporca”. Come era avvenuto per gli assiri (vedi il recente ritrovamento nel villaggio di Arbo), così migliaia di cadaveri di curdi sono stati sepolti in fosse comuni, sotto alle abitazioni o nei pozzi.

Gianni Sartori