#Oceania #Popoli – LA PAPUA NUOVA GUINEA HA IL SUO PRIMO SANTO – di Gianni Sartori

Difficile non cedere alla tentazione di intravedervi una “contromossa” quasi gramsciana. Cioè una sorte di concorrenza tra chiese sul piano della “egemonia culturale”. Ricordando come in marzo il parlamento della Papua Nuova Guinea, con un emendamento costituzionale, avesse trasformato la nazione insulare in uno Stato confessionale (“Stato indipendente e cristiano di Papua Nuova Guinea”).
Mentre gli emendamenti costituzionali hanno avuto il sostegno di evangelici, pentecostali e avventisti, la chiesa cattolica sembra considerare tale iniziativa come una “ operazione di distrazione di massa dai problemi reali della nazione”. Ora la contromossa (pianificata da tempo) dicevo. Infatti la Papua Nuova Guinea (visitata dal papa nel 2024) sta per avere il suo il suo primo santo. Si tratta di un catechista laico padre di tre figli, Peter To Rot, assassinato nel 1945 dagli occupanti giapponesi. Canonizzazione che avviene in contemporanea con quella di Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno cattolico di Mardin (fucilato nel 1915 durante il genocidio degli armeni) e della beata venezuelana Maria del Monte Carmelo (Carmen Elena Rendíles Martínez, 1903-1977), fondatrice della Congregazione delle Serve di Gesù.

Esponente della tribù Tolai, nato a Rakunai nel 1912, il catechista Peter To Rot (già beatificato da Giovanni Paolo II nel 1995 a Port Moresby) aveva studiato a Taluligapsi presso il Saint Paul’s Catechist Tarining College.

Ritornato nel suo villaggio da catechista, si era dedicato all’assistenza dei poveri, degli orfani e degli ammalati.

Nel 1935 si era sposato con Paula La Varpit e aveva avuto tre figli.

Durante la Seconda Guerra Mondiale si era opposto con fermezza alla politica degli occupanti giapponesi a favore della poligamia (peraltro già nelle tradizioni locali). Arrestato, venne condannato a due mesi di carcerazione. Ma nel luglio 1945 era deceduto in circostanze non chiare, presumibilmente per avvelenamento. A causa delle riscontrate difficoltà nel segnalare eventuali miracoli fornendo valida documentazione scientifica su guarigioni, i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone avevano richiesto di dispensare dal miracolo la canonizzazione del martire laico. Anche in considerazione della prevalenza di una cultura orale (con circa 820 dialetti locali e poche persone in grado di scrivere in un inglese corretto) per cui viene a mancare una documentazione scritta.

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – L’ACCORDO TRA GOVERNO E AMMINISTRAZIONE AUTONOMA E’ GIA’ LETTERA MORTA? – di Gianni Sartori

Un paio di settimane fa l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (Rêveberiya Xweser a Bakur û Rojhilatê Sûriyey) aveva sottoscritto un accordo con Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ(già al-Jūlānī), principale esponente del nuovo governo in Siria, sostanzialmente costituito dalla coalizione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS, in passato membro dello Stato islamico e di Al-Qaïda).

Un impegno che prevedeva l’integrazione delle proprie istituzioni nello Stato siriano (nel quadro di un generale processo di ricomposizione e unificazione del Paese).

Ma al momento le cose non sembrano procedere e gli accordi potrebbero risultare lettera morta. Tanto che i curdi (15% della popolazione in Siria) vanno già esprimendo perplessità e muovendo critiche.

In particolare sulla dichiarazione costituzionale che attribuisce al presidente i pieni poteri almeno per cinque anni.

Ed è l’Amministrazione autonoma stessa che – il 30 marzo – ha contestato la legittimità del governo annunciato perché “assomiglia troppo al precedente (quello di Assad nda), in quanto sembra non tener conto della diversità siriana”.

“Un governo – prosegue il comunicato – che non rifletta la diversità e la pluralità del paese non potrà gestire correttamente la Siria”.

Anzi, amministrazioni del genere non fanno altro che “aggravare la crisi, creando nuove difficoltà invece di risolvere le cause profonde del problema”.

Dato che “la ripetizione degli errori del passato non farà altro che aggravare le sofferenze del popolo siriano e non porterà mai a una soluzione politica globale” i rappresentanti dell’Amministrazione autonoma dichiarano pubblicamente di non sentirsi “tenuti all’applicazione e all’esecuzione delle decisioni emesse da questo governo”.

Continuando invece a operare per la costruzione di una Siria “comune e democratica in cui tutti i cittadini godano dei medesimi diritti” e dove nessun gruppo o etnia possa “monopolizzare il potere”.

Mentre invece deve essere garantita “la partecipazione di tutti al processo politico”.

Messaggio chiaro che appariva come l’immediata risposta al discorso pronunciato il 29 marzo da Ahmad al-Chareh con cui ribadiva la volontà di “edificare uno Stato forte e stabile”.

In realtà i vari ministeri sono in larga maggioranza in mano agli arabi sunniti (e a quanto pare molti posti chiave ai familiari di Ahmad al-Chareh). Ci sarebbe anche un ministro curdo, ma – non certo casualmente – è stato scelto al di fuori del Rojava.

Dalla Germania arriva un appello della Società internazionale per i diritti dell’uomo (Internationale Gesellschaft für Menschenrechte, IGFM), denso di preoccupazione per quanto potrebbe ancora accadere in Siria ai danni delle minoranze (alauiti, curdi, cristiani, drusi…). Di fronte all’aumento della violenza settaria, alla diffusione delle squadre di vigilantes, all’inesorabile islamizzazione (con l’introduzione definitiva della sharia). A scapito ovviamente dei diritti umani.

Ricordando il recente massacro subito dalla comunità alauita (secondo l’IGFM le vittime sarebbero oltre duemila) e le violenze in aumento (arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, sequestri…) contro le minoranze religiose o etniche.

Riguardo alla progressiva islamizzazione, l’IGFM ha ricordato sia le croci distrutte sulle tombe, sia la proibizione di mangiare e fumare in pubblico imposto a tutti duranti il Ramadan, sia la severa separazione tra donne e uomini nelle scuole e nei trasporti pubblici.

Legittimo quindi temere che in realtà HTS aspiri alla realizzazione di uno Stato islamista con una legislazione fondata sulla sharia.

Fondate preoccupazioni anche per la situazione economica. Salari e pensioni non verrebbero versati da mesi e il prezzo dei generi alimentari sono in forte aumento. Inoltre per ampi strati della popolazione l’accesso all’elettricità rimane alquanto problematico.

Nel frattempo Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ cerca sostegno internazionale (e in parte sembra anche ottenerlo). Senza per questo trascurare, nel tentativo di consolidare il controllo del paese (o semplicemente per creare “diversivi, distrarre dai problemi interni) di attaccare, provocare le comunità minoritarie meno disposte all’assimilazione. Per esempio i villaggi sciiti sul confine.

Sperando forse di provocare una risposta da parte di Hezbollah che fatalmente porterebbe a interventi non solo diplomatici da parte delle monarchie (sunnite) del Golfo.

Altri problemi sul fronte meridionale con le infiltrazioni israeliane che al momento sembrano aver conseguito un primo risultato.

La divisione interna dei drusi di Sweida, tra chi auspica una “normalizzazione” dell’occupazione israeliana e coloro che invece sono disposti a dialogare con HTS.

Gianni Sartori