#Kurds #News – NONOSTANTE LA POSITIVA ACCOGLIENZA INTERNAZIONALE DELL’APPELLO ALLA PACE, LA CJUE RESPINGE IL RICORSO DEGLI AVVOCATI DEI KURDI – di Gianni Sartori

Va continuamente allungandosi l’elenco di quanti hanno salutato con favore l’appello di Abdullah Öcalan alla pace e a una società democratica (27 febbraio 2025).

Per dirne solo un paio quasi agli antipodi: dalla sinistra basca abertzale (EH Bildu, il sindacato LAB…) a Massimo d’Alema.

E non solo tra gli amici dei curdi, ma anche tra chi finora esprimeva grande ostilità nei loro confronti. Per esempio sarebbe stato valutato positivamente (“è andato oltre le nostre aspettative”) dal leader della destra nazionalista (Mhp) Devlet Bahceli, alleato di Erdogan.

Chi invece sembra non aver colto che forse ancora una volta “i tempi stanno cambiando” (“The Times They Are A-Changin” – Bob Dylan – 1964) è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJUE).

Infatti il 13 marzo ha nuovamente rigettato (per la quinta volta) il ricorso, basato su cinque obiezioni, degli avvocati del PKK contro la decisione del Consiglio d’Europa di mantenerne l’inserimento nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Per i legali che avevano fatto ricorso contro tale decisione, vi sarebbero infatti sia errori in materia di diritto, sia motivazioni ormai obsolete (dato il nuovo corso intrapreso – e non da ora – dal PKK con l’adesione ai principi del Confederalismo democratico). Inoltre le misure adottate contro il movimento curdo sarebbero quantomeno sproporzionate.

Ma niente da fare. La CJUE non ha sentito ragioni e il PKK rimane nella lista nera. Almeno per l’Unione europea.

Nel frattempo nel nord della Siria la situazione rimane “calda”.

L’Ufficio stampa delle FDS (Forze Democratiche Siriane) ha diffuso un comunicato denunciando come la Turchia perseveri, anzi vada intensificando, gli attacchi. In particolare contro la diga Tishrin e il ponte di Qarqozaq.

Mentre gli scontri andrebbero attenuandosi (condizionale d’obbligo dopo i recenti massacri di civili alauiti) in altre zone della Siria, nel nord e nell’est da oltre tre mesi Ankara e i suoi ascari non demordono.

Continuando ad attaccare e bombardare (con aerei, droni armati e “suicidi”, artiglieria…). E incontrando comunque la ferma e fiera resistenza delle FDS.

In questi giorni l’artiglieria turca ha colpito duramente nell’area rurale di Manbij, danneggiando seriamente gli insediamenti civili. Numerosi attacchi aerei anche contro alcuni villaggi (al-Tina, Ja’dah, Dekan, Bir Hissou, Melha, al-Sana’, Ghasq…) e sulle colline di Saifi e Qarqozaq Ovviamente si contano morti e feriti sia tra i combattenti che tra la popolazione. Alcune persone inoltre sarebbero rimaste intossicate da gas esplosivi tossici.

Da parte delle SDF si è risposto con attacchi contro le fortificazioni degli invasori fin sulla riva ovest dell’Eufrate.

 Gianni Sartori

#Kurds #Europe – GERMANIA: INASPRIMENTO REPRESSIVO NEI CONFRONTI DEI CURDI – di Gianni Sartori

elaborazione su immagine fonte @ ANF

Il 12 marzo la polizia tedesca ha arrestato diversi attivisti curdi nel corso di perquisizioni nella sede di un centro comunitario curdo e di alcune abitazioni a Kiel e a Lübeck. Alle 5,30 del mattino con ampio spiegamento di forze e con l’ausilio dei cani. “Sfondando le porte, saccheggiando gli appartamenti, sequestrando telefoni e documenti”. Stando almeno ai comunicati di Defend Kurdistan Kiel (diffuso pubblicamente da Annette Tunde) e di Rote Hilfe Kiel (diffuso da Anja Sommerfeld), due organizzazioni che hanno espresso solidarietà agli arrestati. Mostrando inoltre (sempre stando ai comunicati) “poco riguardo per i familiari non accusati, tra cui bambini e persone malate”.

Gli arrestati sono accusati in base agli articoli 129a e 129b del codice penale tedesco di aver agito a favore del PKK. Ma per le associazioni curde si tratterebbe di attività del tutto legali, quali manifestazioni, eventi culturali e raccolta di fondi: “in difesa dei diritti dei curdi e e per la democratizzazione della società”.

Perlomeno strano che questo avvenga in coincidenza con il cessate-il-fuoco dichiarato dal PKK e con l’avvio di un processo di pace tra movimento curdo e Stato turco.

Il giorno successivo due richiedenti asilo curdi (Adnan Kaplan e Engin Alkan) venivano consegnati dalla Germania alla Turchia in quanto secondo i giudici “le condizioni nelle prigioni turche sono migliorate e la Turchia è un paese prospero e sicuro”. Buono a sapersi, anche se qualche dubbio in proposito è legittimo.

Adnan Kaplan e Engin Alkan (richiedenti asilo in Baviera che erano stati portati nel centro per il rimpatrio di Monaco il 5 marzo) sono stati estradati il 13 marzo.

Arrestato ancora minorenne a Istanbul nel corso di una manifestazione, Adnan Kaplan aveva trascorso diversi mesi nel carcere minorile di Maltepe nel 2011.

Uscito dal carcere era rimasto paralizzato alla gamba e alla mano sinistra per una emorragia cerebrale (non si esclude a causa dei maltrattamenti subiti). Era giunto in Germania nel 2023 sia per ragioni di salute che per sfuggire alla repressione (rischia una condanna a 22 anni di carcere), ma la sua domanda veniva respinta.

Invece Engin Alkan aveva lasciato la Turchia ancora nel 2019. Accusato di appartenenza al PKK, ha già subito una condanna a otto anni e verrebbe sottoposto ad almeno altri quattro processi.

Gianni Sartori

#Syria #News – VITA DURA PER LE MINORANZE NON ARABO-SUNNITE – di Gianni Sartori

Per quanto tardivamente (a causa di varie perplessità su quanto sta avvenendo) azzardo qualche considerazione sui nuovi scenari della Siria e sul Rojava in particolare.

Nel Rojava la “linea del fronte” rimane sostanzialmente quella dell’Eufrate (dopo la rapida avanzata iniziale di Ankara e dell’ANS e la caduta in dicembre di Manbij). Tuttavia qui si registra qualche significativa novità. Accordi tra FDS e GTS che almeno per ora dovrebbero rimandare l’ulteriore allargamento del conflitto armato.

Recentemente il Governo di Transizione Siriano (GTS: gli ex di al-Nusra e gli alleati jihadisti) aveva annunciato un “Conferenza di dialogo nazionale”. Da cui però rimanevano fuori gran parte dei partiti politici presenti sul territorio siriano (a spanne, almeno 35) in rappresentanza di siriaci, drusi, curdi…(ossia principalmente le comunità non arabo-sunnite).

E in particolare l’AANES (Amministrazione autonoma del nord-est della Siria).

Ma evidentemente il GTS non aveva fatto bene i suoi calcoli.

Eclatante da questo punto di vista il sollevamento armato della comunità alawita (non solo dei nostalgici di Assad) che aveva causato centinaia di vittime tra i combattenti. Sia tra gli insorti che tra i governativi.

Con una sanguinosa ritorsione da parte degli islamisti. Oltre un migliaio di vittime civili con il solito corollario di saccheggi, stupri, esecuzioni extragiudiziali, rastrellamenti, arresti di massa, maltrattamenti e torture.

Poco disponibili a lasciarsi emarginare anche i drusi del governatorato di As-Suwayda (Sud-ovest della Siria) le cui milizie di autodifesa si sono rifiutate di consegnare le armi alle forze di sicurezza (in gran parte costituite da islamisti) governative. Da segnalare il ruolo di “garante” dei drusi che Israele sta tentando di assumere allargando ulteriormente l’occupazione del Golan.

In controtendenza – e del tutto inaspettatamente – il 10 marzo è stata firmato un accordo tra il primo ministro del GTS, Mohammad al-Jolani (alias Ahmed Al-Sharaa, leader di Hayat Tahrir al-Sham) e il comandante delle FDS, Mazloum Abdi. In base al quale sia l’AANES che le FDS verrebbero a integrarsi nel futuro stato siriano democratico in cui sarebbero garantiti i diritti di tutte le comunità. Accordi che per quanto ancora generici, se pur pervasi di buone intenzioni, dovrebbero evitare – per ora almeno – lo scontro armato diretto tra FDS e forze governative nel Rojava.

Nel nord – come si diceva – la marcia trionfale di Ankara e del soidisant Esercito Nazionale Siriano (ANS) si è incagliata sulle rive dell’Eufrate. Fermata dalla coraggiosa resistenza delle FDS (con il mantenimento di numerose teste di ponte anche sulla riva occidentale).

Tanto che – forse intimoriti dal gran numero di perdite – molti mercenari dell’ANS stanno disertando per raggiungere le milizie filogovernative a Damasco.

Su tutto aleggia e si aggira la la proposta di “Pace democratica” di Abdullah Öcalan alla Turchia. Imperniata sulla fine della lotta armata e sulla dissoluzione del PKK (ma non, per ora almeno, delle FDS, l’altra “bestia nera” di Ankara).

Come è noto il 27 febbraio una delegazione del Partito dell’uguaglianza dei popoli e della democrazia (DEM) aveva incontrato Öcalan nella prigione di Imrali. In una successiva conferenza stampa tenuta a Istanbul (sempre il 27 febbraio) veniva letta la dichiarazione dell’anziano leader imprigionato da 26 anni con cui richiedeva al PKK di deporre le armi e l’auto-scioglimento.

Interpretata in vario modo e da diversi punti di vista (si va dalla “apertura necessaria per superare l’impasse” a quella di “un passo verso la capitolazione”).

Inevitabile un confronto con analoghe soluzioni politiche del conflitto (Sudafrica, Irlanda, Perù, Colombia, Paesi Baschi…) non sempre, non tutte almeno, concluse positivamente.

Forse anche per queste considerazioni i combattenti curdi si sono limitati a dichiarare un “cessate-il-fuoco”, garantendosi comunque il diritto all’autodifesa se attaccati. E rinviando alla definitiva liberazione di Öcalan ulteriori decisioni.

Nel frattempo La Turchia continua a bombardare il Rojava sia con con l’artiglieria che con l’aviazione e i droni.

Gianni Sartori