#Americhe #Popoli – IN NOME DELLA PROPRIETA’ PRIVATA, LA MINISTRA DELLA SICUREZZA DI MILEI ESPELLE UNA COMUNITA’ MAPUCHE – di Gianni Sartori

Coincidenza, ricopriva la stessa carica all’epoca della “sparizione” di Maldonado.

Giovedì 9 gennaio, al mattino, è iniziata l’espulsione (la prima da diciotto anni) della comunità mapuche Paillako, guidata da Cruz Cárdenas, in un’area del Parco Nazionale Los Alerces (provincia di Chubut).

Operazione condotta dalla polizia sotto la diretta supervisione della ministra Patricia Bullrich, del governatore Ignacio Torres e del presidente dei Parchi Nazionali, Cristian Larsen. Era stata autorizzata dal giudice federale d’Esquel, Guido Otranto, dopo che il governo aveva deciso di non protrarre la legge N.° 26.160 sull’urgenza territoriale indigena (con cui viene sospesa l’esecuzione delle espulsioni dai territori rivendicati dagli indigeni).

Queste terre erano occupate dalla comunità Paillako da circa quattro anni e l’espulsione è stata giustificata “in difesa della proprietà privata e dell’ordine giuridico sull’intero territorio nazionale”.

Con un passato da accesa peronista e – anche se oggi lo nega – presumibilmente anche nei montoneros (nella Columna Norte sotto il comando di Rodolfo Galimbert, all’epoca compagno di sua sorella Julieta Bullrich), Patricia Bullrich Luro era ministro della Sicurezza (nominata nel 2015 da Macri) anche nel 2017. Quando venne assassinato il manifestante mapuche Santiago Maldonado.

Un breve ripasso per gli smemorati.

Come ricordava Amnesty International “La mattina del 1° agosto 2017, circa 100 agenti della Gendarmeria nazionale argentina (Gna) – forze di sicurezza militari – sono entrati in modo irregolare e violento nel territorio della comunità mapuche Pu Lof a Resistencia, nel dipartimento di Cushamen, provincia di Chubut, nella Patagonia Argentina.

Secondo quanto riferito dalla comunità, le forze di sicurezza nazionali hanno sparato proiettili di piombo e di gomma e hanno incendiato oggetti appartenenti alle famiglie.

Santiago Maldonado, un sostenitore della causa Mapuche ospite della comunità, è scomparso lo stesso giorno (presumibilmente dopo essere stato arrestato nda). Il suo corpo è stato ritrovato a ottobre nel fiume Chubut. Santiago è stato probabile vittima di sparizione forzata dal 1° agosto”.

In quanto presidente del PRO (Propuesta Republicana, conservatore e liberista), nel ballottaggio tra Sergio Massa e Javier Milei, la Bullrich aveva dato il suo sostegno a quest’ultimo. Venendone ricambiata con la conferma a Ministro della Sicurezza nel dicembre 2023.

A operazione di sgombero conclusa, questo è stato il suo compiaciuto commento (indicativo della politica dell’ultraliberista Milei): “Per 18 anni, in Argentina l’usurpazione era stata praticamente legalizzata. La proprietà privata aveva perso il suo valore. Abbiamo lottato per molti anni per porre fine alla Legge 26.160 e questo governo ci è riuscito. Questo è il primo sgombero di una serie che segnerà la fine di un’epoca in cui in Argentina ha regnato la mancanza di rispetto per la proprietà privata”.

 Gianni Sartori

#IncontriSulWeb – “FALAMOS GALEGO!” – con Daniel Fontán – venerdì 17 gennaio 2025 – ore 18

Un incontro con Daniel Fontán, creatore di contenuti digitali e docente privato, per analizzare la situazione attuale della Lingua e della Cultura della #Galiza e per far conoscere il suo impegno di divulgazione linguistica portato avanti con la pagina Galician with Dani.

In contemporanea sui nostri social e sul nostro Blog.

#Kurds #Opinioni – SULL’UTILIZZO DELLA SCRITTA “DONNA, VITA, LIBERTA’” PER CECILIA SALA: FEMINIST WASHING O APPROPRIAZIONE INDEBITA? – di Gianni Sartori

Vuoi per l’intrinseca bontà d’animo che mi contraddistingue, vuoi perché in fondo potrebbe essere non solo mia figlia, ma quasi mia nipote, avevo sinceramente sperato in una rapida soluzione del caso Cecilia Sala (nonostante Il Foglio sia tutto fuorché il mio quotidiano di riferimento).

Tuttavia, vedendo in sovraimpressione all’ennesima trasmissione-dibattito sull’avvenuta liberazione, la scritta “Donna, Vita, Libertà” francamente mi son girati i cosiddetti.

Direi che a tutto c’è un limite. Anche se lo slogan originariamente curdo era già stato “deturnato” e addomesticato in generica richiesta di “emancipazione femminile”. E pure utilizzato come sfondo per gli interventi di una parlamentare europea che non mi pare si sia mai sprecata più di tanto per la questione curda.

Come sottolineava Dastan Jasim “gli Stati dell’Unione Europea e della NATO si vanno appropriando di alcuni aspetti della lotta delle donne curde adottando una forma di “feminist washing”, utilizzando i principi di “Jin, Jiyan, Azadi” per i loro interessi geostrategici e per la loro egemonia. Ma si guardano bene dall’opporsi alla Turchia”.

Ricordando come la ministra tedesca degli Affari Esteri Annalena Baerbock abbia “adottato Jin, Jiyan, Azadi per le donne dell’Afghanistan, ma la Germania non riconosce che questa filosofia proviene dai Curdi e dalla resistenza dei Curdi”.

Da parte su Elif Kaya (Centro di Jineologia di Bruxelles) precisava che lo slogan “Jin, Jiyan, Azadi era nato in una lingua proibita, il curdo”. Il suo autentico significato è quello di “sostenere che una società in cui le donne non sono libere, non può essere considerata una società libera”. (v. https://www.osservatoriorepressione.info/feminist-washing-appropriazione-indebita-della-lotta-delle-donne-curde/ ).

Ovviamente non riguarda soltanto l’Iran, ma anche la Turchia. Donne curde come Hevin Khalaf (v. https://centrostudidialogo.com/?s=due+anni+dal+barbaro+assassinio ) e Nagihan Akarsel sono state assassinate da mercenari filo-turchi in base agli stessi orrendi principi che hanno portato all’uccisione di Jina Amini in Iran.

Lo slogan “Jin, Jiyan, Azadi” riguarda ognuna di loro così come tutte le prigioniere politiche torturate, violentate, assassinate nelle carceri sia di Ankara che di Teheran. Non è roba da borghesia radical-chic: è un messaggio rivoluzionario scandito dalle combattenti curde e scritto sui muri delle celle.

La facciata del carcere di Evin (con quel colore giallino rancido, quell’aspetto da supermercato…) riproposta in televisione ogni qualvolta si parlava di Cecilia Sala era stato un continuo déjà-vu.

Immagine ormai familiare in quanto utilizzata varie volte per miei articoli (v. https://centrostudidialogo.com/2024/07/31/ ) sulle prigioniere politiche curde qui rinchiuse, comprese le condannate a morte.

Chissà se la rivedremo ancora in TV.

Infatti, mentre Cecilia Sala è tornata felicemente a casa (buon per lei naturalmente), altre donne militanti per i diritti umani e per il diritto dei popoli (anche giornaliste) rimangono recluse in condizioni indegne. A Evin come in tante galere sia iraniane che turche (per saperne di più sulle violazioni dei diritti umani in novanta prigioni turche consultare il documento diffuso in gennaio dalla Federazione delle Associazioni di Assistenza Giuridica e di Solidarietà con le Famiglie dei Prigionieri, MED TUHAD-FED e dall’Associazione degli Avvocati per la Libertà, ÖHD).

In questi giorni sarebbe poi stata confermata la condanna a morte (per “ribellione”) della femminista curda Pakhshan Azizi detenuta proprio a Evin (e rischia lo stesso destino un’altra attivista curda, Verisheh Moradi). Del resto sono state almeno 31 (quelle accertate, dati per difetto) le donne impiccate in Iran nel 2024 secondo l’Ong Iran Human Rights (per un totale di 241 negli ultimi 14 anni).

Così come – in base ai dati forniti dalla piattaforma femminista Kadın Cinayetlerini Durduracağız Platformu (KCDP) – almeno 394 donne (numero per difetto, si tratta solo di quelle accertate) sono state uccise in Turchia nel corso del 2024. E su decine e decine di altri casi aleggiano forti sospetti. Almeno 19 quelle assassinate in dicembre (e ben 33 casi “sospetti”).

E sempre in Turchia, nel corso del 2024 (dati forniti dall’Associazione delle Donne Giornaliste di Mesopotamia-MGK) 30 giornaliste sono state aggredite, dieci assalite in casa loro, otto convocate per essere interrogate dalla polizia, almeno quattro (per altre fonti sette) incarcerate, ben 45 sottoposte a torture, 17 assassinate. E’ andata meglio ad altre 45 a cui si è soltanto impedito di svolgere il proprio lavoro.

Tra gli ultimi episodi, l’arresto avvenuto il 7 gennaio della giornalista curda Derya Ren mentre era al lavoro nel quartiere Belqis di Dîlok.

Per non parlare del fatto che Ankara sta impedendo ai familiari della giornalista curda (ma cittadina turca) Cihan Bilgin, assassinata in Rojava da un drone turco, di riportarne il corpo in Turchia (nel Kurdistan del Nord, Bakur). Così come avviene per il giornalista curdo Nazım Daştan ucciso nelle stesse circostanze.

Sarebbe cosa buona e giusta se ora Cecilia Sala, consapevole di essere comunque una privilegiata (il padre, già senior advisor della banca JP Morgan, è attualmente amministratore indipendente a Mps) e spendendo a fin di bene la notorietà acquisita, decidesse di farsene carico, scrivere, denunciare. Mi pare il minimo.

Gianni Sartori

#DialogoEuroregionalista – anno 8 numero 4 – gli autori

Da sabato 11 gennaio sarà disponibile su questo Blog il nuovo numero di Dialogo Euroregionalista in versione digitale e in download gratuito.

Hanno collaborato al numero: Lancelot (per la copertina), Gianluca Marchi, David Cordoba Bou, Bojan Brezigar, Frédéric Bertocchini (per la graphic novel su Pasquale Paoli), Manuel Rivas, Héctor Bujari Santorum, Elena Barbieri, Gianni Sartori e Patrizia Gattaceca.