
GALERE VUOTE IN SIRIA (sperando rimangano tali)
Il carcere di Saydnaya (situato nella periferia di Damasco) ha rappresentato uno dei peggiori luoghi di detenzione non solo del Medio Oriente (dove di sicuro non manca la “concorrenza”, pensiamo alla Turchia), ma forse dell’intero pianeta.
Migliaia di familiari dei detenuti, al momento della caduta del regime, si sono qui precipitati nella speranza, spesso illusoria, di ritrovare in vita qualche figlio, figlia, sorella, fratello, padre, madre… desaparesido.
Ma – quasi per voler aggiungere orrore all’orrore (o forse per vendetta, per non lasciare altre tracce…) – negli stessi giorni in cui Assad si rifugiava tra le braccia dei russi, gruppi di detenuti venivano prelevati dalle celle e condotti in una località sconosciuta. Poi, il 9 dicembre, i loro poveri resti venivano ritrovati nell’obitorio dell’ospedale Harsta (sempre a Damasco).
Immagini che purtroppo gettavano qualche ombra inquietante su quelle gioiose e comunque confortanti di un video (la cui autenticità sarebbe stata confermata da Reuters) in cui si vedevano decine di ex prigionieri correre per le strade alzando le dita di entrambe le mani per mostrare quanti anni avevano trascorso in prigione. Chiedendo informazioni ai passanti, dato che non si erano ancora resi ben conto di quanto era accaduto. In un altro video che documentava la liberazione delle donne detenute a Saydnaya si senta una voce rassicurarle (“E’ caduto! Non abbiate paura!”) dato che nella confusione le prigioniere non capivano cosa stesse realmente succedendo.
Ma chi erano le persone rinchiuse a Saydnaya?
Oppositori, dissidenti (veri o presunti) di ogni genere. Scontata la presenza sia di islamisti (in particolare Fratelli musulmani) che militanti curdi. Oltre a palestinesi appartenenti a organizzazioni “non allineate” con il regime, democratici generici e anche comunisti (soprattutto dopo il 2011). Si calcola (per difetto) che almeno 136mila siriani vi siano transitati più o meno a lungo. Almeno 100mila prima di essere eliminati o di soccombere per fame, maltrattamenti, torture, malattie. Compresa un grande percentuale di donne e ragazzi, bambini talvolta.
Tra quelli ritrovati ancora in vita (dopo che le serrature delle celle erano state fatte saltare sparando), anche qualche sopravvissuto alla ribellione del 1982 guidata dai Fratelli musulmani.
In gran numero quelli arrestati per le manifestazioni e rivolte del 2011, l’anno dell’inizio della guerra civile. Durante la quale le forze di sicurezza prelevarono centinaia di migliaia di persone poi rinchiuse in vari campi di detenzione dove – stando alle informazioni raccolte da varie Ong per i diritti umani – venne praticata sistematicamente la tortura. E senza dare informazioni alle famiglie sulla sorte dei loro cari. Talvolta comunicando che qualcuno era stato giustiziato dopo anni e anni.
In un altro video (di cui Reuters confermerebbe l’autenticità senza però aver identificato con certezza il luogo, forse la prigione della base aerea di Mezzeh) i prigionieri si ammassavano davanti alle sbarre delle celle, colpendole e gridando di gioia. Altri prigionieri apparivano confusi, incapaci di rispondere alle domande dei liberatori.
Risalivano al 2017 le informazioni su un nuovo forno crematorio costruito a Sednaya per smaltire i cadaveri di migliaia di prigionieri arrestati o catturati nel corso della guerra civile.
Provenienti dagli Stati Uniti, ma basate su migliaia di fotografie uscite clandestinamente dalla Siria grazie a un disertore qualche tempo prima.
Immagini di cadaveri con inequivocabili segni sia di torture che di denutrizione.
MENTRE SI PREPARA L’ASSALTO FINALE A KOBANE, NEGLI OSPEDALI DI MANBIJ LE GANG JIHADISTE UCCIDONO I COMBATTENTI FERITI
L’ultima, per ora, terribile notizia diffusa direttamente dal SOHR (sigla in inglese dell’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo) martedì mattina 10 dicembre.
Miliziani che partecipano all’operazione (a supervisione turca) denominata “Alba di Libertà”, hanno assassinato decine di combattenti feriti del Consiglio militare di Manbij (CMM, alleato dei curdi) ricoverati nell’ospedale militare a nord della città. Ospedale che era stato posto sotto assedio impedendo l’evacuazione dei feriti. I video del massacro, girati dagli stessi jihadisti filo-turchi, sono stati poi diffusi, sfrontatamente, sulle loro reti sociali. Si tratterebbe sia di membri del cosiddetto Esercito Libero Siriano, sia di miliziani che sulle divise ostentavano simboli dell’Isis (senza che questo ne escluda l’appartenenza all’ANS).
A chi conserva un po’ di memoria storica viene in mente (oltre ai palestinesi tirati fuori dalle ambulanze e assassinati dai falangisti a Tell al-Zaʿtar nell’agosto 1976), l’analogo episodio che vide i combattenti curdi feriti massacrati nell’infermeria di un campo profughi (forse Atrush?) dalle milizie turcomanne filo-turche alla fine degli anni novanta. Evidentemente la Storia si ripete, da tragedia in tragedia.
Da segnalare che le insegne dell’Isis sono state documentate anche sulle divise di miliziani filo-turchi lungo la strada tra Arima e Manbij.
Inoltre il canale di propaganda Habertürk ha trasmesso programmi in cui sulle immagini di miliziani che ostentavano divise con emblemi dell’Isis, appariva in sovraimpressione la scritta “L’esercito Nazionale Siriano ha completato l’operazione Manbij”.
Sempre secondo il SOHR, i miliziani filo-turchi si sono abbandonati al saccheggio e all’incendio delle abitazioni curde (sono circa 300mila le famiglie curde a Manbij). Inoltre hanno assassinato alcuni abitanti della città in base all’origine etnica.
Insomma, una preoccupante escalation, sia di combattimenti sul terreno che di attacchi aerei a cui l’opinione pubblica internazionale (penso ai movimenti, alla sinistra o a quello che ne rimane) dovrebbe reagire con la mobilitazione. Per prevenire quella che a tutti gli effetti si preannuncia come un’altra Gaza, con i curdi e le altre popolazioni minorizzate del Nord e dell’Est della Siria destinati alla medesima sorte (genocidio, pulizia etnica…) dei palestinesi. O qualche “campista” pensa ancora che Recep Tayyip Erdoğan sia meno feroce di Benjamin – Bibi – Netanyahu?
Nel frattempo (ma qui le versioni divergono) a Manbij i combattimenti tra MMC e ANS– se pur intermittenti – sarebbero ancora in corso, strada per strada (anche se ormai forse si tratta di sacche di resistenza).
In sintesi, le gang dell’Isis che le YPG avevano espulso dalla città nel 2016, vi hanno fatto ritorno sotto la copertura dell’Esercito Nazionale Siriano agli ordini di ufficiali turchi.
Nella zona di Kobanê (Aïn al-Arab) esercito turco e mercenari, dopo aver bombardato il ponte di Qaraquzak, hanno colpito anche la città di Sheyoukh e il villaggio di Zumgar. Non ci sono al momento dati attendibili sulle inevitabili perdite umane, mentre è stato accertato che almeno dieci persone (in fuga verso l’Eufrate) hanno perso la vita nel bombardamento del villaggio di Zarfan.
E proprio sull’Eufrate sono in corso combattimenti che potrebbero risultare decisivi.
I mercenari jihadisti (ANS e altre fazioni) hanno attaccato al diga di Tishrin scontrandosi con le Forze Democratiche Siriane. Molti jihadisti hanno perso la vita e anche alcuni veicoli blindati dei filo-turchi sono stati distrutti dalle FDS.
Costruita lungo il corso dell’Eufrate negli anni novanta, la diga è alta 40 metri, con sei turbine idrauliche.
Oltre che la maggior via di rifornimento per Manbij, rappresenta uno dei principali punti di passaggio sul fiume. Praticamente un potenziale “trampolino” verso il nord-est della Siria da cui l’ANS potrebbe puntare direttamente su Kobanê.
Sulla tragedia incombente è intervenuto Il Presidente dell’Unione Patriottica Curda, Bafel Jalal Talabani. Dichiarando di “rispettare la volontà del popolo siriano e le decisioni che vorrà prendere per il futuro” , ma anche ricordando l’importanza del “rispetto e dei diritti dei curdi siriani”. Per riaffermare “l’incrollabile sostegno ai nostri fratelli e sorelle del Rojava”.
Un piccolo gesto poco più che simbolico(penso che nel Rojava ci si aspettasse di più). Sempre meglio comunque del comportamento degli esponenti del Partito Democratico Curdo (il clan Barzani) che coltivano le loro buone relazioni con Erdogan, nonostante abbia invaso parte del Bashur (il Kurdistan entro i confini iracheni governato dal PDK).
ANKARA VUOLE PROPRIO FARLA FINITA CON I CURDI…
Perché indignarsi? In fondo si tratta solo dell’ennesimo delitto contro la popolazione civile per mano di Ankara. Nella mattinata del 10 dicembre, un veicolo da combattimento senza pilota (UCAV) ha colpito la città di Sefiya (Ain Issa) uccidendo otto persone della stessa famiglia: Xelîl Silêman, Wedah Silêman, Mihemed El Abo, Ebdulkerîm El Abo, Delal Silêman, Nadiya Silêman e due bambini, Casim Silêman e Husam Silêman.
Qualche giorno fa, l’8 dicembre, erano state dodici (soprattutto bambine, bambini e donne) le vittime di un attacco similare nel villaggio di Mestareha (sempre Ain Issa). Il giorno successivo, 9 dicembre, morivano per bombardamento altri due bambini nel villaggio di Kuneftar (Kobanê). Contemporaneamente venivano colpiti Mihermela y Hermel( località di Zirgan). Lasciando a terra almeno un morto e diversi feriti. Altri tre feriti (sempre per l’attacco di un UCAV) lungo la strada Zirgan-Dirbêsiyê. E si potrebbe continuare.
Vecchia storia. Anche senza risalire troppo nel tempo basti ricordare l’invasione turca del 2018 che trasformò oltre duecentomila curdi (ma anche arabi, minoranze varie…) in sfollati – profughi interni – da un giorno all’altro. Molti, decine di migliaia cercarono di rimanere quantomeno nei pressi dei loro villaggi bombardati, in rovina. Accampati in campi di fortuna (indifesi, esposti agli attacchi turchi) nella regione di Shehba (Tel Rifaat). Con la speranza di poter ritornare prima o poi. Ora vengono scacciati anche da lì dalla violenza delle milizie arabo-sunnite e turcomanne al servizio di Ankara. Paradossalmente, i giannizzeri di Ankara hanno giustificato l’attacco alle aree curde come lotta al regime di Assad (?!?).
Inoltre per molti riuscire a spostarsi nelle zone controllate dall’AADNES (dove vige un sistema di autogoverno comunitario, autonomia delle donne, rappresentanza per le minoranze…) risulta difficoltoso, se non impossibile. Vuoi per ragioni oggettive (come nel caso delle persone anziane, con problemi di salute…) o perché viene loro semplicemente impedito dai miliziani che talvolta li sequestrano (e il loro destino al momento resta incerto, sconosciuto) o li sottopongono a maltrattamenti, torture. Non mancano i video, spesso messi in rete dagli stessi jihadisti, con miliziani pro-Turchia che maltrattano, picchiano, calpestano donne e uomini curdi catturati. Per cui molti sono rimasti indietro, quando non sono morti lungo la strada.
Dalla Turchia in fondo non ci si poteva aspettare altro. Conferma la sua aspirazione di poter allargare i propri confini a spese della Siria – e magari anche dell’Iraq – allontanando il più possibile i curdi (in particolare quelli di ideologia apoista) dalle proprie frontiere. Relegandoli di fatto nei deserti siriani o contringendoli a espatriare.
Ma nemmeno sull’apparentemente pragmatico Hayat Tahrir al-Sham (alias al-Nusra) c’è da fare molto affidamento.
Nonostante lo sbandierato “islamismo tecnocratico”, quando governavano a IdlibI avrebbero sguinzagliato le ronde della moralità arrestando sia donne e ragazze vestite non in ossequio ai codici religiosi, sia uomini che ascoltavano musica o si erano tagliati la barba. E si parla anche di pubbliche esecuzioni per eresia o stregoneria.
A sentirsi in pericolo sono attualmente anche i circa 100mila curdi di Aleppo e le altre “minoranze” (cristiani, ezidi, armeni…) ancora asseragliati in un paio di quartieri assediati dalle milizie di HTS. Già si era parlato di qualche esecuzione extragiudiziale proprio ai danni di esponenti delle minoranze e – pare – che alle donne venga imposto il velo.
Stesso discorso (o peggio) per le milizie del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (finanziato, addestrato e diretto da Ankara). Da tempo accusate di crimini di guerra dalle Nazioni Unite e da Amnesty International.
Ossia: stupri, torture (spesso con l’elettrocuzione), massacri di massa (in particolare contro la popolazione curda), utilizzo di scudi umani… per non parlare dell’ elettrocuzione o dei prigionieri esposti e portati per le strade rinchiusi nelle gabbie.
E questi sgherri di Erdogan ora si stanno scatenando contro i curdi e le minoranze, nella prospettiva di un’ampia opera di sostituzione etnica nei territori attualmente amministrati dall’AADNES.
Gianni Sartori
