
SIRIA SENZA PACE (7 dicembre 2024)
Breve premessa di carattere generale su quanto sta avvenendo in Siria.
L’avanzata, apparentemente inarrestabile, di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e dell’Esercito Nazionale Siriano su Aleppo, Hama (compresa una base aerea russa con missili S-75 Dvina), Daraa (con la base militare Liwa 52) e ora Homs (e Damasco non è così lontana), si sposa con i piani di espansione territoriale della Turchia. In qualche modo speculari a quelli di Israele. Entrambi gli Stati inoltre – e non da ora – procedono con metodologie feroci, al limite del genocidio.
Un fattore determinate è costituito dall’evidente crisi economica che sta lacerando la Turchia. In particolare il sud-est curdo (Bakur) con i suoi venti milioni di abitanti. Per Erdogan è fondamentale, indispensabile chiudere definitivamente (se occorre affogandola nel sangue) l’esperienza dell’AADNES in Rojava, in quanto potrebbe – per “contagio” – alimentare le aspirazioni all’autogoverno nel Bakur (v, recentemente in alcune località curde dove sono stati estromessi, manu militari, i sindaci democraticamente eletti).
Concetto da ribadire: HTS rimane una costola di al Qaeda di cui sostanzialmente condivide l’ideologia. In esso sono presenti (come nell’Esercito Nazionale Siriano, principale proxy della Turchia) molti ex (ex?) miliziani sia di al Qaeda che di Daesh (Isis, Stato islamico).
280MILA SFOLLATI, MA IL NUMERO E’ DESTINATO A CRESCERE
Difficile quantificare con precisione, ma sicuramente tra i 280mila civili (dati onusiani del PAM) in fuga da Aleppo e Hama (sfollati o profughi interni che dir si voglia) una fetta consistente è costituita dai curdi. Soprattutto dopo si sono diffuse le notizie di esecuzioni extragiudiziali (con decapitazioni) e altri delitti (estorsioni, rapimenti di giovani donne) commessi dai miliziani filo-turchi di al-Nusra (ribattezzata Hayat Tahrir al-Sham). Sempre da fonti onusiane, si paventa la possibilità che il loro numero possa presto arrivare a 1,5 milioni.
Curdi di Aleppo e Hama deportati?
I timori della popolazione curda di Aleppo e Hama (così come, in prospettiva, per Manbij se dovesse cadere) non sono infondati.
Come hanno denunciato le Assemblee popolari di Ashrafiyah e di Cheikh Maqsoud (i quartieri curdi di Aleppo) sarebbe evidente il tentativo delle organizzazioni legate alla Turchia di evacuare forzatamente (ossia deportare) la popolazione curda. L’Assemblea – in una pubblica dichiarazione davanti alla Casa degli Ezidi – ha invece invitato i cittadini curdi a non lasciare le proprie case. Richiesta cui hanno aderito esponenti dei partiti, della società civile e di varie organizzazioni. Contestando anche l’atteggiamento del governo di Damasco che ancora si rifiuta di dialogare, confrontarsi con altre culture e posizioni politiche). E continuando a “organizzarsi per una Siria democratica con la partecipazione di tutte le componenti, senza discriminazioni”.
Accusando quei partiti locali più o meno affiliati e subalterni alla Turchia, tra cui i “traditori” di ENKS, di favorire tale evacuazione-deportazione con false dichiarazioni e rassicurazioni ipocrite (tipo quella, ripresa alla grande dai media nostrani che “non ci saranno ritorsioni o vendette”). Spostare le popolazioni senza adeguate garanzie fornite da istituzioni e organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, Amnesty International…), non sarebbe altro che un ennesimo, arbitrario e violento atto di forza.
Tra l’altro nel “mirino”, oltre ai soliti curdi, ci sarebbero anche gli armeni di Aleppo. Dove si rifugiarono a migliaia nel 1915 per sfuggire al genocidio in Turchia e divenuta nel tempo una roccaforte per la conservazione della cultura e dell’identità armena. Paradossale che qui vengano ora nuovamente sottoposti al dominio della Turchia.
QUALI PROSPETTIVE A BREVE TERMINE?
Mentre gli equilibri interni della Siria sembrano sgretolarsi uno ad uno (Teheran sarebbe in procinto di evacuare, oltre al personale militare e diplomatico, perfino la Forza Quds dei Pasdaran) diventa difficile fare previsioni, soprattutto se di lunga durata.
All’ombra dell’ossessione preponderante di Erdogan (impedire con ogni mezzo il protagonismo curdo) si va riaffacciando pure l’incognita Daesh. Le cui “cellule dormienti” nel deserto sembrano sul punto di rifiorire. “Irrorate” dalla marcia vittoriosa dei cugini di Hayat Tahrir al-Sham.
Non senza considerare le rinnovate aspirazioni di qualche potenza regionale (non solo della Turchia) di approfittare della crisi siriana per espandersi, appropriarsi di qualche fetta di territorio.
A Manbij per esempio, dove la percezione delle intenzioni espansionistiche turche è netta. Qui Ankara e le bande jihadiste affiliate procedono tra intimidazioni, bombardamenti e tentativi di infiltrazione, incontrando per ora la resistenza del Consiglio militare di Manbij.
Si tratta evidentemente non solo di un punto strategico, ma anche di un simbolo. In quanto esempio di convivenza possibile anche in situazioni drammatiche. Per Ankara l’eventuale conquista di Manbij, grazie ai suoi ascari dell’Esercito Nazionale Siriano (pare che HTS da questo lato ci senta meno, forse tra le sue milizie circola ancora il bruciante ricordo della “battaglia di Raqqa” nel 2017) rappresenterebbe un terno al lotto. Cioè la garanzia di poter esercitare uno stretto controllo sulla parte settentrionale della Siria, uno stravolgimento a suo favore degli equilibri geopolitici.
Ma appunto i piani di Erdogan % C. vengono tuttora intralciati dalla strenua resistenza dei soliti irriducibili delle FDS (Forze Democratiche Siriane) e dell’Amministrazione autonoma.
MENTRE NUVOLE OSCURE SI ADDENSANO SULLA SIRIA, I CURDI PROPONGONO DI APPLICARE IL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO ALL’INTERO PAESE
Questo lo stato dell’arte (tarda serata 7 dicembre 2024). Ovviamente la situazione rimane in movimento (dire “evoluzione” mi sembra fuori luogo).
Ormai in Siria l’attuale regime va sprofondando e già si avvertono nelle periferie di Damasco le prime avvisaglie della definitiva caduta. Mentre Hayat Tahrir al-Sham (alias al-Nusra) procede spedita verso Homs, il conflitto si estende anche a sud, nei governatorati di Dar’a e di al-Suwaydā’ (si parla di “insorti drusi”, ma anche di elementi dell’Isis). Lecito chiedersi: se nel nord-ovest lo sponsor principale è la Turchia, chi mai potrebbe (condizionale d’obbligo) aver assunto lo stesso ruolo nel sud-ovest, dalle parti del Golan? Facile, no?
Ma intanto non smette di attaccare le postazioni delle Forze Democratiche Siriana (Manbij, Maskanah…) quel soi-disant Esercito Nazionale Siriano che in realtà è costituito principalmente da mercenari filo-turchi. Coadiuvato da interventi diretti non solo dell’artiglieria, ma anche dei soldati turchi (stando a quanto denunciano le FDS).
Comunque le FDS mantengono il controllo delle posizioni recentemente acquisite sulla riva ovest dell’Eufrate (Deir ez-Zor e il passaggio frontaliero di Al.Qaim). Qui sono riapparse milizie jihadiste (Isis si presume) occupando i villaggi di due enclave. Riconsegnate (senza colpo ferire) alle FDS tutte le postazioni finora occupate dall’esercito di Damasco nel Rojava (due quartieri di Hassaka, uno a Qamishli e l’aeroporto).
Abou Mohammed Al-Joulani, chi sarà mai costui?
Dopo la presa di Aleppo, il capo di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) aveva dichiarato di voler garantire i diritti di ogni comunità etnica o religiosa in una Siria pluralista e “inclusiva” (concetto ribadito nelle recenti interviste). Un espediente per rendersi accettabile (“presentabile”) agli occhi e alle orecchie dell’opinione pubblica internazionale (e di quella occidentale in particolare).
Ma in realtà, chi era (è?) Abou Mohammed Al-Joulani? In Iraq avrebbe aderito a un’organizzazione conosciuta come Jama’at al-Tawhid wal-Jihad fino al 2004, quando divenne il ramo iracheno di al-Qaeda (AQI, quella guidata dal giordano Abu Musa al-Zarqawi) rendendosi responsabili di efferate violenze contro la comunità sciita.
Arrestato dagli USA nel 2006, al-Julani resterà in carcere (pare anche in quella di Abu Ghraib) per cinque anni. Non si può escludere che da questo momento sia diventato una potenziale “risorsa” per i servizi segreti statunitensi (o altri?) in chiave anti-iraniana.
Riappare nella guerra civile siriana schierato con Jabhat al-Nusra. Di fatto il ramo siriano di al-Qaeda, poco più di 4mila combattenti, ma ben addestrati e ben equipaggiati (grazie anche al sostegno di alcuni paesi occidentali, tra cui la Francia). Nel 2015, dopo che si erano compromessi i buoni rapporti tra al-Qaeda e Isis (e tra Al-Joulani e il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi), al-Nusra deve ripiegare dai territori occupati. Mentre l’eterogeneo fronte anti-Assad inizia a sgretolarsi.
Jabhat al-Nusra si ricicla, prima come “Jabhat al-Fateh al-Sham”, in seguito (con l’adesione di altre sigle islamiste minori, nell’odierna Hayat Tahrir al-Sham. Ossia l’organizzazione che per anni ha spadroneggiato a Idlib, reprimendo ogni protesta e imponendo una versione della shari’a derivata dalla contaminazione tra diverse correnti radicali (sciafeismo e wahhabismo).
Fermo restando che da uno così non comprerei una bici usata, quali garanzie (e a nome di chi?) può dare di voler effettivamente “una Siria pluralista in cui tutte le componenti avranno gli stessi diritti”?
Dubitarne è lecito. Perlomeno di fronte alle recenti immagini di esecuzioni, di impiccagioni nei territori occupati dalle milizie jihadiste filoturche.
Altra storia quella dei curdi del Rojava e dei loro alleati arabi, armeni, cristiani, ezidi…
I quali, oltre ad aver combattuto come pochi contro Daesh, hanno saputo realizzare, per quanto umanamente possibile, un sistema pluralista (femminista, libertario, ispirato alla “ecologia sociale”…). Al momento se non l’unico, uno dei pochi progetti politici in grado – se applicato su scala nazionale – di garantire pace, giustizia e libertà alla martoriata terra siriana.
“Noi abbiamo la soluzione- hanno dichiarato esponenti dell’AADNES rivolgendosi alla comunità internazionale – ma abbiamo bisogno di sostegno”.
Originaria di Afrin, Sinam Sherkany Mohamad attualmente rappresenta l’AADNES a Washington. In questi giorni è intervenuta più volta per dire la sua sulla situazione siriana.
“La Siria – ha dichiarato – è immersa nel caos. E’ ora che la comunità internazionale prenda seriamente in considerazione le nostre proposte di governabilità multietnica”. E prosegue spiegando le caratteristiche del modello sociale applicato in Rojava, un sistema in cui convivono, si autogoverno “arabi, cristiani, curdi alauiti…”.
Auspicando una “soluzione politica” che ponga termine allo spargimento di sangue degli ultimi quindici anni.
Quasi a voler dare il “buon esempio”, le milizie arabo-curde hanno dichiarato una amnistia generale nella provincia di Deir ez-Zor recentemente abbandonata dall’esercito di Damasco (e che rischiava di cadere nelle mani dell’Isis risorto). Rivolgendo un appello “al popolo e alle tribù per prevenire il caos e proteggere la regione cooperando insieme per garantire la sicurezza e la pace”.
Gianni Sartori
