#Palestina #PrigionieriPolitici – KHALIDA JARRAR ANCORA IN DETENZIONE AMMINISTRATIVA – di Gianni Sartori

Risaliva giusto a un anno fa (26 dicembre 2023) l’ennesimo arresto di Khalida Jarrar, militante del FPLP, ricercatrice all’Istituto Muwatin dell’Università di Birzeit, impegnata nella difesa dei diritti umani, femminista, ex membro del Consiglio legislativo palestinese.

Posta in detenzione amministrativa (senza accuse né processo, un’eredità del mandato britannico), tale condizione veniva rinnovata per altri sei mesi il 24 giugno 2024. Una sorte comune a quella di altri 3432 prigionieri palestinesi. Su un totale di circa 10mila, tra cui donne e bambini palestinesi detenuti (senza tener conto delle migliaia di abitanti di Gaza rinchiusi nei campi).

All’epoca i suoi avvocati denunciavano che Khalida Jarrar era stata tenuta in isolamento per sette giorni consecutivi. Sottoposta a severe restrizioni, presumibilmente anche a veri e propri abusi, nonostante il suo precario stato di salute.

Il 12 agosto 2024 gli agenti assaltavano, letteralmente, la sua cella nella prigione di Damon (dove sono state rinchiuse in pessime condizioni oltre un’ottantina di detenute palestinesi, molte in detenzione amministrativa come Layan kayed, Dania Hanatsheh, Shata Jaraba… o condannate a lunghe pene detentive come Shatela Abu Ayad e Nawal Fatiha) prelevandola con la forza e costringendola in un’altra, sporca e infestata di parassiti. Inoltre veniva privata degli indispensabili occhiali.

Tenuta per molte ore nel Bosta (il veicolo per i trasferimenti dei detenuti), senza essere interrogata, prima di essere trasferita nel carcere di Neve Tirza, solitamente destinato ai detenuti in isolamento. Senza poter incontrare il suo avvocato, in una cellula di due metri per 1,5 con l’unico spazio disponibile occupato da un materasso. Senza finestre e senza prodotti per l’igiene personale, vestiti e cibo adeguati.

In questi giorni (24 dicembre 2024) la detenzione amministrativa di Khalida Jarrar è stata ulteriormente prolungata almeno fino al 22 gennaio (ma non si esclude un ulteriore supplemento di pena).

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – AGGIORNAMENTI DAL FRONTE (26 Dicembre 2024) – di Gianni Sartori

“La ragazza di Kobanê va sulla linea del fronte.
Ci guarda solo un momento mentre cammina da sola.
La libertà è una medaglia che si conquista sul campo.
Non è più solamente una parola”.

Dieci anni fa in molti, non solo David Riondino, resero omaggio alla resistenza curda in particolare alle donne curde) contro Daesh, i “mercanti di schiavi” fascio-islamici.

Oggi che la storia si ripete (e ancora come tragedia, non certo farsa) sembra prevalere una colpevole disattenzione.

Oppure un rassegnato pessimismo.

Qualche giorno fa (19 dicembre su Lemonde.fr) Alain Frachon, commentando gli eventi in Siria, sosteneva che “una parte del futuro siriano si gioca nelle relazioni che saranno in grado di stabilire il gruppo armato HTS, proveniente da Al-Qaida e i curdi del PYD”.

In ogni caso appariva evidente che “la caccia ai curdi è aperta”. Su quel lembo di territorio, le milizie al servizio della Turchia agiscono con la dichiarata intenzione di estirpare la millenaria presenza della popolazione curda.

Con migliaia e migliaia di sfollati in fuga dai bombardamenti turchi e dalla brutalità jihadista.

In sostanza: pulizia etnica.

La repentina caduta di Assad sembra inoltre aver risvegliato gli appetiti sia di Israele che della Turchia (entrambe a diverso titolo compartecipi e corresponsabili della fine del regime).

Se per Ankara si tratta di cancellare l’esperienza del Confederalismo democratico ai suoi confini, per Israele distruggere quanto rimane delle infrastrutture militari siriane (oltre ad annettersi altri territori).

A farne le spese, probabilmente, saranno principalmente le minoranze etniche e religiose (curdi, drusi, cristiani, alauiti…).

RESISTENZA ARABO-CURDA

Il 26 dicembre l’Ufficio Stampa delle Forze Democratiche Siriane (SDF dalla sigla in inglese) diffondeva gli aggiornamenti sul conflitto in atto intorno all’Eufrate (in particolare nell’area a nord-est di Manbij) tra esercito turco (e milizie mercenarie, SNA) e Consiglio Militare di Manbij (MMC).

Nella mattinata almeno cinque miliziani dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) erano rimasti uccisi, mentre tre blindati del SNA venivano distrutti.

Smentendo quanto affermato dal Ministero della difesa turco sulla presunta caduta nelle mani delle milizie jihadiste della diga di Tishrin (punto strategico sull’Eufrate). In realtà rimane tuttora sotto il controllo della resistenza (MMC, SDF, YPG e YPJ). Come veniva mostrato in un video diffuso in tempo reale (poco prima delle ore 16 del 26 dicembre). Confermando quanto aveva annunciato circa tre ore prima Dilovan Asmîn, presente sul luogo. La giornalista aveva definito “pura propaganda di guerra speciale” le dichiarazioni dello Stato turco. Con cui si vorrebbe “scoraggiare la popolazione del nord e dell’est della Siria”.

Inoltre i combattenti arabo-curdi si starebbero dirigendo nuovamente verso la città.

A QUESTO PUNTO IL PREZZO QUAL’E’…

Purtroppo il prezzo da pagare per contrastare gli invasori è stato alto.

Il 26 dicembre a Qamishlo è stato reso l’estremo saluto ad alcuni combattenti arabi e curdi caduti per difendere il Rojava dalle orde turco-jihadiste: Baran Qamişlo, Besam Ehmed, Yaşar Îbrahîm, Şêrzad Qamişlo, Agirî Qamişlo e Çiyarûs.

Dopo un minuto di silenzio, a nome del Consiglio delle famiglie dei martiri di Qamishlo, Cewahir Osman ha spiegato che “oggi stiamo per dare sepoltura ai nostri martiri nel nostro cuore e nella nostra anima”.

Un combattente, Nûrî Mehmûd ha voluto sottolineare che “il nord e l’est della Siria sono terra di eroismo, di resistenza e di lotta”. E anche se lo Stato turco “vuole distruggere con ogni mezzo il nostro popolo (…), l’amministrazione autonoma rappresenta il futuro per tutti i siriani”.

Da segnalare poi quando riportato da un organo di stampa londinese (The Telegraph, conservatore). Ossia che gli Stati Uniti con la Gran Bretagna avrebbero finanziato e addestrato un’unità di “ribelli” siriani (in pratica dei Contractors) per combattere contro Assad.

D’accordo, è un po’ come scoprire l’acqua calda. Ma vanno comunque prese in considerazione le affermazioni di un certo Bashar al-Mashadani, presentato come il leader di un soidisant “Esercito Rivoluzionario del Commando” (RCA): “Gli americani ci hanno riuniti nella loro base di al-Tanf, al confine con l’Irak dicendoci di stare pronti (…) Non ci hanno detto come sarebbe accaduto. Ci hanno solo detto: “Tutto sta per cambiare. Questo è il vostro momento. O Assad cadrà, o cadrete voi”.

Gli ufficiali statunitensi avrebbero fatto aumentare considerevolmente gli effettivi della brigata Abu Kathab (da circa 800 a 3mila) portandola sotto il comando congiunto della RCA. Spingendoli poi a collaborare con le forze di Hayat Tahrir al-Sham (HTS, il gruppo di al-Jolani). Forse allo scopo di tenere sotto controllo gli ex esponenti di Al-Qaida.

E naturalmente, precisava Bashar al-Mashadani “la comunicazione tra le due forze era coordinata dagli americani ad Al-Tanf”.

Armati dagli Stati Uniti, i membri della RCA ricevono uno stipendio di 400 dollari al mese. Per la cronaca, superiore di ben 12 volte rispetto a quello corrisposto ai soldati dell’esercito di Assad.

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – ROJAVA RESISTE! – di Gianni Sartori

Come ricordava nel suo comunicato del 24 Dicembre (Sauvons Kobané, Sauvons le Rojava !) la Coordination Nationale Solidarité Kurdistan (CNSK, un coordinamento di organizzazioni curde e della sinistra francese)* dieci anni fa, nel 2014, sembrava che “niente e nessuno potesse arrestare l’avanzata delle bande jihadiste dello Stato islamico che aveva conquistato metà dell’Iraq, massacrato gli ezidi di Shengal e proclamato il califfato sull’Iraq e sul nord della Siria. Mentre dalla sua autoproclamata “capitale”, Raqqa, partivano le direttive per compiere attentati in Europa e soprattutto a Parigi”.

Resisteva soltanto una piccola città in prossimità della frontiera turca, Kobane. Mentre Daesh mobilitava tutte le sue forze contro questo estremo caposaldo di libertà, la Turchia bloccava le frontiere impedendo l’arrivo di rinforzi ai curdi di Kobane e reprimeva le espressioni di solidarietà arrestando i manifestanti e condannandoli a decenni di carcere. Le combattenti e i combattenti curdi caddero a migliaia, ma (come quella di Stalingrado contro i nazifascisti) la resistenza di Kobane rappresentò l’inizio della disfatta per Daesh. Fino alla caduta di Raqqa e al definitivo smantellamento del Califfato.

Da allora, riprendendo il comunicato della CNSK “i curdi alleati delle tribù arabe siriane, hanno costruito una federazione autonoma dei popoli del nord e dell’est della Siria. L’AADNES, fondata su un contratto sociale rivoluzionario: totale uguaglianza tra le religioni, i gruppi etnici, parità uomo/donna in tutte gli organi direttivi della federazione autonoma, uguaglianza in materia di divorzio, eredità etc.”. A cui si dovrebbe aggiungere l’abolizione della pena di morte, il protagonismo delle donne nel campo dell’autodifesa armata, il rinnovato rispetto ambientale…

Ma la repentina caduta di Bachar Al Assad ha consentito la presa del potere in Damasco di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), organizzazione in tempi recenti ancora affiliata a Al Qaeda. Ragion per cui è lecito mantenere dei dubbi sulle dichiarazioni di adesione ai principi democratici del leader Ahmad Al Chareh. Il decreto sul disarmo di tutte le milizie, nelle intenzioni di HTS avrebbe dovuto coinvolgere anche le Forze Democratiche Siriane (SDF) che difendono l’AADNES. Ma le SDF per ora hanno declinato l’invito.

Sembra invece non dover riguardare l’Esercito Nazionale Siriano (SNA), notoriamente costituito da jihadisti armati e finanziati da Ankara in chiave anti-curda. Dopo Manbij e Tall Rifaat ora gli ascari di Ankara puntano su Kobane, città-simbolo.

“Lasceremo ancora una volta – concludeva il comunicato di CNSK– che siano i curdi a sacrificarsi per fermare le orde jihadiste?”

Va riconosciuto a Erdogan (finanziatore e manovratore ben poco occulto del SNA) di non fare mistero su quali siano le sue reali intenzioni. Risale alla settimana scorsa un suo intervento (alla cerimonia per i premi TÜBİTAK et TÜBA) in cui sfacciatamente dichiarava che la Turchia “è più grande della Turchia e non può accontentarsi dei suoi 782 000 km²”. Una rivendicazione della “missione che la Storia ci ha affidato” (o dello “spazio vitale”?) che implica altri progetti di invasione sia in Rojava che in Bashur (Kurdistan entro i confini iracheni).

Quanto alla situazione (fluida, instabile…) sul campo di battaglia, al momento pare che le Forze Democratiche Siriane (SDF) stiano respingendo, infliggendo gravi perdite, l’Esercito Nazionale Siriano (SNA). Sia impedendo l’attraversamento dell’Eufrate verso est, sia passando alla controffensiva. Nonostante il 24 dicembre i militari turchi siano intervenuti direttamente sul terreno per aiutare gli alleati in difficoltà, alcune delle località perse nel corso delle ultime due settimane sono tornate sotto il controllo curdo con nuove teste di ponte sulla riva ovest del fiume.

Mentre ovviamente proseguono i sistematici bombardamenti (artiglieria, aerei, droni…) che colpiscono soprattutto obiettivi civili.

Il 23 dicembre è iniziata l’operazione delle SDF denominata Eziz Ereb (in memoria del comandante della Brigata Mártir Şervan, caduto il 10 dicembre nella battaglia del ponte Qereqozak).

Nella mattinata del 24 dicembre “è stato respinto un attacco dei mercenari dell’occupazione turca nel villaggio di Qabr Emo a est di Manbij dove ora si stanno svolgendo feroci combattimenti tra le nostre forze e i mercenari”. Ricordo che secondo l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani (SOHR) le SDF al momento si troverebbero a una decina di chilometri dalla città di Manbij.

Inoltre le forze arabo-curde avrebbero distrutto alcuni veicoli militari degli avversari (come documentato da video e foto).

Continuano pure a combattere presso la diga di Tishrin anche le forze del Consiglio Militare di Manbij. Arrestando l’avanzata del SNA contro i villaggi di Mahshiyat al-Tawahin e Khirbet Tuwaini (distretto di Abu Qalqil). Catturando blindati, pezzi di artiglieria con le relative munizioni e distruggendo un veicolo BMB e altri due veicoli militari che trasportavano mitragliatrici pesanti DshK. Nella serata del 24 dicembre i combattimenti erano ancora in corso.

Sempre nel pomeriggio del 24 dicembre (come ha comunicato Ronahi TV), una forte esplosione si è avvertita nella città di Manbij senza che al momento siano disponibili informazioni più precise.

Coincidenza. A diversi chilometri di distanza, in territorio turco, nella mattinata del 24 dicembre un’altra esplosione devastava (almeno una dozzina le vittime) la fabbrica di munizioni ZSR nel quartiere di Kavakli (distretto di Karesi, ovest della Turchia). “Curiosamente – ironizzava una fonte curda – stavolta le autorità turche non accusano la guerriglia curda”.

Riassumendo, questo a grandi linee il quadro generale nella serata del 24 dicembre:

Dalle zone occupate dalla Turchia di Serêkaniyê (Ras al-Aïn) e di Girê Spî (Tall Abyad), proseguono gli attacchi delle truppe jiahadiste mercenarie di SNA contro la regione autonoma. Attacchi mirati soprattutto verso la regione di Tall Tamir (a maggioranza cristiana) e la città di Aïn Issa lungo la strategica autostrada M4.

Nel villaggio di Alya (Al-Aalye ash-Sharqiya, a ovest di Tall Tamir, hanno tentato di penetrare nella zona autogestita, ma almeno tre assalitori soni caduti per mano delle SDF. Diversi altri sono rimasti feriti e alcuni pick-up sono andati distrutti.

Ripetutamente colpiti dai bombardamenti turchi la zona di Zirgan (Abu Rasen, a est delle aree occupate di Serêkaniyê) e i dintorni di Tall Tamir. Particolarmente danneggiati i villaggi di Tawila e di Tel Tawil, oltre alla parte centrale di Zirgan.

Altri due miliziani jihadisti sono rimasti uccisi nel villaggio di Umm al-Baramil (nei pressi di Ain Issa) mentre cercavano di infiltrarsi oltre le linee difensive delle SDF. A seguito dei bombardamenti turchi, migliaia di persone di Aïn Issa sono rimaste senza elettricità. Più a est, i villaggi di Fatisa e di Mişêrfa, sono stati ugualmente duramente colpiti, mentre a Qizelî, nella mattinata del 24 dicembre, veniva distrutto un deposito di grano.

Non mancano segnali di speranza.

Nel Cantone di al-Jazira, l’amministrazione di al-Hasakah ha indetto una marcia di sostegno ai combattenti delle SDF che si stanno sacrificando per arrestare l’occupazione turca del nord-est della Siria.

Partita dal quartiere di Tal Hajar, ha visto la partecipazione di migliaia di rappresentanti curdi, arabi, assiri, armeni… Oltre a molti esponenti politici e della società civile.

Inalberando le bandiere delle SDF, dell’AADNES e della rivoluzione siriana, hanno lanciato slogan quali “L’unità delle diverse componenti garantisce la stabilità”, “No all’occupazione turca”, “Le SDF sono la nostra forza”, “Viva la fratellanza tra i popoli”, “Viva l’unità del popolo curdo”, “Viva la resistenza del Rojava”.

Stessi concetti espressi in molti striscioni e cartelli.

Dopo aver osservato un minuto di silenzio per i caduti, era intervenuto Aldar Khalil (membro della Co-Presidenza del PYD) appellandosi alla “democrazia in Siria e al rispetto di tutte le componenti della società”.

Chiedendo a tutti di “lavorare uniti per costruire una Siria democratica” e ricordando che le SDF “non sono soltanto una forza militare, ma una forza di protezione che rappresenta la volontà dei popoli del nord e dell’est della Siria” . Senza dimenticare che se la regione è diventata un “simbolo, un modello di ordine democratico e di fratellanza tra i popoli” gran parte del merito spetta al ruolo di pioniere delle donne.

A inasprire ulteriormente i rapporti tra gli invasori filo-turchi e le tribù arabe (su cui forse Erdogan contava per dividere l’amministrazione autonoma), un ulteriore evento esecrabile.

Un miliziano della divisione al-Hamza (Al-Amshat, battaglione del SNA sotto comando turco) ha rapito e violentato una bambina di sette anni a Manbij scatenando la furiosa, legittima reazione della tribù Al-Bubna (si parla di scontri con vittime tra milizie tribali e SNA). Si tratta dell’ennesimo crimine di guerra e contro l’umanità opera dei mercenari jihadisti che colpiscono di preferenza la popolazione civile.

Intanto a Damasco, oltre ai negoziati (scontati) tra la Turchia e gli islamisti, vengono segnalate le trattative tra alcune potenze occidentali e Hayat Tahrir al-Sham, i nuovi detentori del potere in Siria.

Gianni Sartori

*nota 1 – CNSK: Amis du Peuple Kurde en Alsace – Amitiés Kurdes de Bretagne – Amitiés Kurdes de Lyon Rhône Alpes – Amitiés Kurdes de Vendée – Association Iséroise des Amis des Kurdes – Association France Kurdistan – CADTM : Comité pour l’abolition des dettes illégitimes -Conseil Démocratique Kurde en France – Ensemble – Mouvement Jeunes Communistes de France – Mouvement de la Paix – Mouvement des Femmes Kurdes en France – Mouvement contre le Racisme et pour l’Amitié́ entre les Peuples – Nouveau Parti Anticapitaliste – Parti Communiste Français – Union Communiste Libertaire – Union Syndicale Solidaires – Solidarité et Liberté Provence