
Un incontro con Giovanni Fara , operatore culturale e fondatore di Catartica Edizioni e di molte altre iniziative.
In contemporanea sui nostri social e sul nostro Blog.

Un incontro con Giovanni Fara , operatore culturale e fondatore di Catartica Edizioni e di molte altre iniziative.
In contemporanea sui nostri social e sul nostro Blog.

47 anni fa Abdullah Öcalan fondava il PKK: una speranza sia per il popolo curdo che – forse – per l’Umanità.
Vogliamo crederci ancora. Anche in questi tempi bui e – quasi – senza speranza. Credere nella possibilità di una vita degna – o almeno decente – per tutte e per tutti. Qui e ora, su questo pianeta alla deriva, nella crisi ambientale e nel caos politico.
E anche (come si legge in un comunicato in vista del 47° anniversario, 27 novembre, del PKK) pensare che se “il Medio Oriente è il cuore del mondo e il Kurdistan il cuore del Medio Oriente, il PKK è la vena giugulare di questo cuore che diffonde la libertà e la democrazia in tutto il Medio Oriente”.
Il congresso fondativo del PKK risale al 27 novembre 1978 nel villaggio di Fis (distretto di Lice, provincia di Diyarbakır-Amed), ormai quasi mezzo secolo fa.
Quando, come veniva ricordato in un precedente comunicato “Rêber Apo e il PKK hanno saputo guidare un popolo a sollevarsi dal suo letto di morte. In base al principio che la forza più grande è il potere che sta in noi stessi”.
Se pur tra errori e inevitabili contraddizioni (v. in Rojava il rapporto con gli statunitensi), ha saputo fornire indicazioni per il superamento della “modernità capitalista”. Scrollandosi, sganciandosi anche da una tradizione m-l (peraltro rispettabile) forse non più del tutto adeguata ai tempi. In grado di comprenderne (e possibilmente modificarne) tutta la dura e brutale complessità. Come dicevano i baschi “Loro imparano, noi anche”.
Se l’immagine di una nuova “Arca di Noé” (o anche “Torcia di Prometeo”) può apparire leggermente enfatica, rimane il fatto (a mio parere incontestabile) che il progetto elaborato da Öcalan e compagni ha offerto una possibile (per quanto ardua) via d’uscita, una speranza. Non solo per il popolo curdo, ma per tutti i popoli oppressi, i diseredati, subalterni, oppressi e calpestati. E per le donne in particolare.
Non tanto, non solo in quanto “rivoluzione politica e militare”, ma piuttosto come vera, autentica “rivoluzione mentale”.
Per la costruzione di una società fondata su principi etici e morali che attingono a profonde radici ecologiste, libertarie, democratiche.
Per cui la vera battaglia, la più difficile rimane quella della “lotta mentale”. Al fine di potersi “purificare dalla mentalità colonialista, del potere”.
Nucleo essenziale, la liberazione delle donne. Oppresse dal sistema patriarcale e statalista che da oltre cinquemila anni ne ha modellato, plasmato il ruolo subalterno e una visione del mondo al servizio della dominazione maschile (interiorizzandone i codici, come avviene nella colonizzazione). Questo almeno secondo il comunicato curdo, ma sarebbero ormai ben più di diecimila anni per altri “opinionisti” (v. Zerzan).
A voler essere chiari, una forma di schiavismo (magari spacciando per “liberazione” una emancipazione tutta interna al liberismo e al consumismo) funzionale, propedeutica all’analoga opera di sfruttamento, colonizzazione e oppressione della natura (vedi l’allevamento, più ancora dell’agricoltura) e della società in generale (schiavismo, lavoro salariato, corpi separati…).
Demistificare le falsità raccontate da ideologi e storici asserviti è stato uno dei meriti indiscutibili del partito fondato da Abdullah Öcalan.
Prima della nascita del PKK la società curda era alquanto frammentata, feudale e gerarchica. Divisa internamente tra clan, tribù, sette e frontiere interne. Per non parlare del ruolo delle donne, asservite alle secolari tradizioni religiose e all’onnipresente, rigido e invasivo sistema patriarcale.
Mentre oggi come oggi rappresentano l’avanguardia nella lotta di liberazione. Ben consapevoli purtroppo che il prezzo pagato è stato altissimo. Tra sanguinose repressioni (non solo in Turchia, ricordiamoci dei bombardamenti chimici operati da Saddam Hussein), deportazioni della popolazione, uccisioni extragiudiziarie (“guerra sporca”) anche all’estero. E non solo in Francia (v. in rue Lafayette il 9 gennaio 2013 e al Centro culturale curdo Ahmet-Kaya di rue d’Enghien del 23 dicembre 2022), ma anche in Austria (assassinio di Rahman Ghassemlou, esponente del PDK iraniano) e a Cipro (uccisione di Theophilos Georgiades, membro del Comitato di Solidarietà con il Kurdistan, in via Thoukidiou in Aglantzia, distretto di Nicosia il 20 marzo 1994).
Gianni Sartori