
Forse è nel cimitero di Kobanê che bisognerebbe recarsi in questi giorni per non dimenticare (come sembra aver fatto da tempo l’opinione pubblica mondiale) il sacrificio di migliaia di curdi caduti combattendo contro Daesh.
Premessa. Con Tev-Dem si indica la Tevgera Civaka Demoqratik (“Movimento della società democratica”) ossia il progetto sociale sperimentato nel Rojava: il confederalismo democratico. In sintesi, Tev-Dem è la forma di organizzazione della società ancora in atto, nonostante tutto, nel Rojava.
A dieci anni dalla Resistenza di Kobanê (novembre 2014), TEV-DEM rivolge un appello al sostegno internazionale per la popolazione del Rojava sotto attacco da parte dell’esercito di Ankara e dei suoi ascari jihadisti. In quella che ormai si celebra regolarmente da dieci anni il 1 novembre (“Giornata mondiale per Kobanê), il Movimento per una società democratica si rivolge al mondo (per quanto in altre faccende affaccendato) affinché non consenta allo Stato turco, supporter dello Stato islamico che il 15 settembre 2014 aveva assaltato Kobanê, di completarne l’opera.
Migliaia di combattenti curdi erano caduti nella battaglia con gli islamisti tra settembre 2014 e gennaio 2015. Mentre i combattimenti causavano la quasi completa distruzione di Kobanê, oltre 300mila persone erano ridotte nella condizione di sfollati-profughi interni.
Come si legge nel comunicato di TEV-DEM “a Kobanê è stata condotta una resistenza senza precedenti. La città è diventata un simbolo mondiale di resistenza per i valori comuni dell’umanità”.
All’epoca, dal carcere di Imrali, era giunto un altro appello, quello di Abdullah Öcalan che chiamava i curdi alla mobilitazione generale per difendere questa cittadina frontaliera nel nord della Siria. Sempre all’epoca, centinaia di milgliaia di persone, forse milioni, erano scese in strada il 1 novembre (proclamato da allora “Giornata mondiale per Kobanê”).
Continuando nella sua dichiarazione, TEV-DEM spiega che “dieci anni dopo Kobanê è nuovamente sotto attacco da parte dello Stato turco e dei suoi proxy jihadisti”. Per questo “ci appelliamo ad un maggior sostegno alle conquiste dei popoli del nord e dell’est della Siria. Il Rojava ha resistito per l’intera umanità, l’umanità deve ora impegnarsi per il Rojava”.
Una possibile spiegazione dell’ostinato persistere di Erdogan nella sua guerra contro i curdi, è stata ipotizzata in una recente intervista (all’agenzia ANHA) da Xerîb Hiso.
Denunciando la “politica di saccheggio e occupazione” di Ankara nelle regioni del nord e dell’est della Siria, il copresidente del Partito dell’Unione democratica (PYD, Partiya Yekîtiya Demokrat) ha condannato le aggressioni di quello che costituisce il secondo esercito della Nato contro la popolazione e le istituzioni locali. Aggressioni che sarebbero una conferma della sostanziale “perdita di influenza della Turchia in Medio-oriente”.
“Lo Stato turco – ha spiegato – si è illuso per lungo tempo che attaccando i curdi si sarebbe rafforzato. Un approccio del tutto sbagliato. Forse ha potuto funzionare in passato, ma alla fine non darà alcun risultato. Da oltre un secolo, massacri, saccheggi e occupazioni non hanno portato niente di positivo alla Turchia. Mentre si ostina a procedere sulla strada del fascismo e della brutalità, in realtà va perdendo il suo ruolo nella regione mediorientale, sempre più sconfitto e frammentato. Sul piano interno la Turchia sta cadendo nel caos, una conferma che la soluzione dei suoi problemi non può rinvenirla fuori dalle proprie frontiere. Gli attacchi contro di noi non sono altro che atti vigliacchi e terroristici. I tempi in cui si poteva affamare e scacciare la popolazione sono definitivamente finiti e la volontà del popolo alla fine vincerà”.
Indispensabile poi dire due parole anche su quanto avviene più a sud e a est, a Deir ez-Zor lungo le rive dell’Eufrate. Con le recenti immagini (criticate severamente da “campisti” di varia estrazione) di esponenti delle Forze Democratiche Siriane (FDS; in araboالديمقراطي , in curdo Quwwāt Sūriyā al-Dīmuqrāṭīya; in siriaco Hêzên Sûriya Demokratîk; in inglese Syrian Democratic Forces) dialogare fraternamente con militari della Coalizione internazionale chiaramente statunitensi). Con i simboli della rivoluzione curda (v. La stella rossa) a fianco della bandiera stelle e strisce.
Il video (SDF press center) documentava la recente costituzione di una pattuglia congiunta, costituita appunto da FDS (o SDF) e forze della Coalizione Internazionale a Deir ez-Zor. In difesa della popolazione ripetutamente sottoposta agli attacchi di Daesh e di non meglio precisate “milizie affiliate ai servizi di sicurezza di Damasco” (tribali arabi forse). In risposta, si legge in un comunicato di SDF press center, alle “ripetute richieste delle tribù e dei popoli della regione, richieste emerse nel corso di precedenti riunioni con il comando generale delle SDF e della Coalizione internazionale”.
A tale scopo sarebbe stata “rafforzata la capacità di combattimento per proteggere la popolazione dalle minacce portate da fazioni ostili”.
Nelle immagini si vedono appunto i blindati USA e i furgoni curdi percorrere insieme le strade. Poi i componenti della pattuglia congiunta (con i rispettivi simboli di riconoscimento, stella rossa in campo verde e bandierina a stelle e strisce) distribuire volantini informativi alla popolazione (con frotte di bambini che ne fanno incetta).
Capisco la contraddizione e non dico che faccia piacere. Ma – chiedo umilmente – che cazzo dovrebbero fare i curdi e gli altri popoli dell’area, visto che tutti (tutti, anche i francesi ormai) li hanno abbandonati al loro destino? Lasciarsi massacrare buoni e zitti? Affidarsi a Putin e Bashar al-Assad (proprio quando sembra in ripresa l’idillio con Erdogan)?
Fatemi sapere che magari glielo spiego.
Gianni Sartori
