#Veneto #Territorio – FRANA (ANNUNCIATA) DALLA PARETE SOPRA “LA MAROGNA” IN VAL D’ASTICO (evidentemente il Vajont non ha insegnato niente) – di Gianni Sartori

Parlare di un “nuovo Vajont” è – per ora e forse – ancora prematuro. Però non si sa mai.

Certo le analogie non mancano. L’arroganza antropocentrica che della cosiddetta “Natura” (ambiente, Montagna…) intende farne scempio in nome del profitto; timide obiezioni da parte della popolazione (una parte almeno, quella non del tutto anestetizzata) e di qualche Cassandra di turno. Anche se per ora nessuno è stato ancora denunciato per ”diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” (Do you remeber Tina Merlin ?).

Un passo indietro. Fino alla metà degli anni ottanta chi percorreva la strada provinciale che scorre(va) in Alta Val d’Astico ad un certo punto, dalle parti di Casotto, si inoltrava in un paesaggio quasi primordiale, selvaggio. Circondato da enormi macigni su entrambi i lati della strada.

Testimonianza solida e imponente di un moto tellurico di inusuale potenza risalente al 1117. Una sorta di “bolgia infernale” (non un semplice conoide di deiezione) molto suggestiva su era cresciuta una fiorente e selvaggia vegetazione e dove, nella miriade di anfratti, varchi, pertugi e cavità, trovavano rifugio volpi, martore, tassi e quant’altro..

Poi (verso il 1987 mi pare) arrivarono le ruspe…

Per tornare ai nostri giorni, il recente crollo che ha portato alla chiusura della strada provinciale della Val d’Astico (dove ogni tanto si rilancia la folle idea di una prosecuzione della A 31, magari in galleria con tutti i rischi annessi e connessi di ulteriori crolli) proviene da “la Marogna”. Una frana potenzialmente attiva nell’ordine di 5-6 milioni di metri cubi.

Con ogni probabilità è la conseguenza della predazione estrattiva, dello sfruttamento insensato in corso da decenni sulla destra orografica (sotto al Monte Spitz di Tonezza).

Del resto prima o poi, a furia di scavare, doveva succedere.

Come il geologo Dario Zampieri (del dipartimento di geoscienze dell’ateneo patavino), dopo aver condotto studi approfonditi sulla instabile situazione della “Gioia” (la parete soprastante), da anni andava mettendo in guardia.

Documentando fotograficamente le centinaia di crepe, sgretolamenti e fessure che insidiavano il precario equilibrio di una massa di roccia di milioni di metri cubi.

Inizialmente (1987 circa) la cava aveva prelevato il materiale depositatosi sulla sinistra orografica, dal lato opposto della “Gioia”. Massi enormi, “danteschi”, calati rovinosamente a valle tanti secoli fa (dal versante dello Spitz), presumibilmente in coincidenza con il terremoto del 1117. Precipitando avevano invaso non solo lo stretto fondovalle – dove ora scorre la strada – ma in parte erano anche risaliti per inerzia sul versante opposto (la sinistra orografica, grosso modo sotto Luserna per capirci).

Poi, esaurito il materiale qui disponibile, i cavatori si erano trasferiti a prelevare sulla destra orografica.

Ricordo che proprio nel 1987 mi ero recato a fotografare i primi lavori di sbancamento scrivendo anche un trafiletto per “Nuova Vicenza” (contro l’apertura della cava ovviamente). Ma venne giudicato “eccessivamente polemico, allarmistico” (anche “destabilizzante” mi pare) e mai pubblicato. Perfino qualche esponente del WWF vicentino mi criticò in quanto “bisognava dialogare, meglio che venga prelevato del materiale già caduto etc.).

Ora, vedendo quanto è capitato, vien da chiedersi: Ma chi stava “destabilizzando” in realtà?

E non in senso metaforico. Visto (e sentito) lo smottamento della notte tra 10 e 11 settembre il cui boato ha ridestato negli abitanti della valle ancestrali timori e – forse – rinnovato l’ostilità per il progetto di prosecuzione della A 31 (denominata non a caso “Autostrada Val d’Astico”).

Tra l’altro, prelevando i massi rimasti in bilico, ma comunque ormai assestati e trasformando il versante della montagna in uno scivolo sgombro da ostacoli, si son create le condizioni ideali perché il materiale potesse precipitare agevolmente fino al fondovalle.

La cava “Marogna”, gestita dalla società Sipeg Srl, era già “sorvegliata speciale” in quanto anche recentemente non erano mancati segnali premonitori.

Proprio nelle ore precedenti il crollo, il monitoraggio aveva rivelato spostamenti e instabilità significativi. Tanto che la strada provinciale 350 era già stata chiusa al traffico tra il km 36 e il km 35.

Si calcola che dalla “Gioia”, la parete soprastante, stavolta sia precipitato materiale per almeno 20.000 metri cubi. E non si può certo escludere che presto altri distacchi seguiranno. Anche perché il ritorno del tempo inclemente, delle piogge torrenziali, potrebbe innescare altre frane.

Ma allora “la montagna si ribella?” come ha scritto qualcuno. Ne avrebbe ben donde, ma in realtà mi sa che stiamo facendo tutto da soli.

Gianni Sartori



#Americhe #Perù – IN MORTE DI FUJIMORI – di Gianni Sartori

elaborazione su immagine @ Fabrizio Oviedo/La República

L’11 settembre è deceduto l’ex presidente-dittatore (per autogolpe, dal 1990 al 2000) del Perù Alberto Fujimori. Oltre che per il massacro dell’Ambasciata del dicembre 1996, verrà ricordato per essere stato condannato per crimini contro l’umanità. Tra le altre colpe, la sterilizzazione forzata di oltre 300mila indigene, le migliaia di esecuzioni extragiudiziali opera di squadroni della morte e dei militari (v.il Grupo Colina, V. Barrios Altos nel 1991…) e di sequestri di persone, i desaparecidos, le torture… Data la circostanza ho ripescato questa antica intervista (risale al 1997) ai coniugi Velazco, militanti del MRTA e vittime della repressione. 

“E TU ORA COSA PENSI?…” – un incontro con Isaac e Norma Velazco- (intervista a cura di Gianni Sartori 1997)

Un anno fa, il 17 dicembre 1996, un gruppo di guerriglieri del MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru) occupava l’ambasciata giapponese a Lima, come estrema forma di protesta contro il sistema carcerario peruviano, per la liberazione dei prigionieri politici uccisi lentamente, giorno per giorno, nelle prigioni di Fujimori. L’occupazione finì quattro mesi dopo con l’intervento delle teste di cuoio peruviane, addestrate da istruttori americani. I guerriglieri vennero giustiziati e fatti letteralmente a pezzi (alcuni decapitati). Nei comunicati del MRTA si sostiene che “come gran parte del Sud del mondo, il Perù si trova sotto il tallone del neoliberismo e il suo sviluppo economico avviene a scapito delle masse popolari, in particolare delle popolazioni indigene”. Da questo punto di vista l’azione per quanto estrema del MRTA è stata vista anche come “una risposta alla violenza del sistema politico ed economico, un tentativo di riaffermare la dignità umana”.
Ne abbiamo parlato con Isaac Velazco, intervenuto con la moglie Norma in quanto rappresentati del MRTA, ad un incontro-dibattito tenutosi a Vicenza, presso Villa Lattes, il 15 dicembre. Isaac porta i segni indelebili delle torture cui è stato sottoposto, torture che comunque non hanno potuto scalfire il profondo senso di dignità che traspare dai suoi gesti e dalle sue parole, testimonianza vivente dei milioni di Indios massacrati e perseguitati dai colonizzatori europei.

Che cosa intende sottolineare dell’attuale situazione in America Latina e in particolare nel Perù?
Vorrei ricordare cosa rappresenta l’attuale modello neoliberista per i popoli dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa… i cosiddetti popoli sottosviluppati. Sono questi popoli che hanno reso possibile, subendo uno sfruttamento durato ormai 500 anni, lo sviluppo industriale e le attuali condizioni materiali di vita di coloro che ancora ci opprimono, i paesi sviluppati.

Come si è concretizzato tutto questo nei territori che costituiscono l’attuale Perù?
I diritti del nostro popolo non sono mai stati rispettati. Ci è stato impedito di parlare la nostra lingua e ci è stata imposta quella dei conquistatori; la nostra cultura è stata proibita. Abbiamo dovuto subire un modello economico portato dall’Europa e le nostre terre comuni sono diventate terre dei conquistatori. Con violenza ci hanno tolto la libertà e ci hanno trasformato in servi e schiavi, obbligandoci a lavorare quelle terre che erano state nostre, a scendere nelle profondità della terra per estrarre l’oro, insieme al denaro unico vero Dio dei conquistatori. Quell’oro estratto dai nostri avi servì per l’accumulazione originaria del capitale che permise lo sviluppo industriale in Europa. Ricordo che anche ai nostri giorni circa diecimila tonnellate di oro estratto in Perù prendono ogni anno la via dell’Europa e degli Stati Uniti. Per cinquecento anni tutto il continente denominato America Latina ha sopportato il saccheggio delle risorse naturali. Più di 13 milioni di indigeni in Perù, e 64 milioni in tutta l’America Latina, furono assassinati nel più grande genocidio mai registrato dalla storia dell’umanità e di cui quasi nessuno ha il coraggio di parlare.

Come vivevano gli indigeni prima dell’arrivo dei conquistatori?
Nel continente sudamericano si erano sviluppate culture autoctone che avevano fornito soluzioni molto positive alle necessità delle popolazioni. L’economia non si basava sulla proprietà privata ma sul lavoro comunitario e, grazie ad un complesso sistema di opere idrauliche, l’agricoltura era ben sviluppata. Gli indigeni non conoscevano la fame e vivevano in un buon rapporto con la natura. La colonizzazione bloccò lo sviluppo di queste culture e il nostro popolo subì la violenza di un nuovo modo di concepire l’organizzazione sociale -quello dei conquistatori- basato sull’oro, il denaro, la proprietà privata e il possesso di servi e schiavi. Era la visione del mondo dell’Europa feudale, monarchica, dove già esisteva la proprietà privata delle terre e per imporla anche nel nostro continente si ricorse al genocidio.

Cosa sta accadendo ai nostri giorni in Perù, e in genere nel “Cono Sud”, con il Nuovo Ordine Mondiale?
Il colonialismo ha ceduto il passo al neocolonialismo e questo al neoliberismo che costituisce il vero e proprio imperialismo della nostra epoca, in grado di soddisfare la bramosia e l’avarizia dei pochi maggiori proprietari di capitali del mondo. Il capitalismo selvaggio attualmente applicato in Perù ha comportato la privatizzazione delle imprese statali, il fallimento di molte industrie e, come conseguenza, il licenziamento e la disoccupazione di migliaia e migliaia di lavoratori. Attualmente in Perù il 75% della popolazione attiva è senza lavoro o sottoccupata e questo si riflette anche a livello delle organizzazioni dei lavoratori. Nel 1990 gli operai iscritti al sindacato erano due milioni; oggi soltanto 600.000. Ovviamente il modello neoliberista favorisce condizioni che garantiscono un maggior sfruttamento dei lavoratori. Il diritto alla sindacalizzazione viene conculcato, oltre che con la repressione, attraverso contratti di lavoro precario, senza stabilità lavorativa, soprattutto per i giovani. In questo contesto si assiste ad un aumento della povertà; attualmente almeno 12 milioni di peruviani sono in condizioni di autentica miseria. Secondo i dati della Banca Mondiale, il Perù si trova al 10° posto come indice di povertà. Il 40% della popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno.

Qual è, in questo tragico scenario che ha delineato, la situazione dell’infanzia?
Ovviamente le principali vittime di questa situazione sono i soggetti più deboli, come appunto i bambini. Molti bambini cercano di alimentarsi rovistando tra le immondizie e chiedendo l’elemosina. Molti sono costretti a lavorare, sottopagati, in età giovanissima, altri si trasformano in mercanzia sessuale. È normale incontrare bambini tra i 9 e i 14 anni che si prostituiscono nelle zone residenziali. I giovani che non trovano lavoro sono spinti a rubare per sopravvivere. Attualmente le carceri sono piene di questi giovani cui il modello neoliberale non offre un futuro. Eppure il Perù è molto esteso e relativamente poco popolato con i suoi 23 milioni di abitanti. Inoltre è ricco di risorse naturali che potrebbero garantire una vita dignitosa a tutti i suoi abitanti…

Il vostro movimento riconosce un ruolo particolare alle culture indigene?
Attualmente il Perù costituisce una società pluriculturale, sia dal punto di vista etnico che linguistico. Come MRTA riconosciamo questa realtà e la incorporiamo nel nostro processo di trasformazione e liberazione sociale. Noi lottiamo affinché le popolazioni indigene, assieme a tutto il popolo peruviano, vengano rivalutate in quanto esseri umani. In particolare riconosciamo nella cultura tradizionale indigena un elemento molto importante per la costruzione di una società basata sulla dignità umana: la comunità andina, una forma di produzione e di organizzazione sociale che ha come base il lavoro solidale e la proprietà comunitaria. La comunità andina implica la partecipazione di tutti i membri della comunità in quanto comuneros all’organizzazione sociale; le autorità vengono scelte da tutti, in modo democratico, diretto e partecipativo. Quando i rappresentanti non corrispondono alle esigenze della comunità vengono immediatamente revocati. Il prodotto del lavoro solidale viene distribuito tra tutti i membri della comunità. A questa tradizione india noi facciamo riferimento per il nostro modello di società.

Un’ultima domanda. Come giustifica l’azione compiuta a Lima dal vostro gruppo nella residenza dell’ambasciatore giapponese e conclusasi tragicamente?
Non ho niente da giustificare. Il nostro popolo è stato vittima di ogni violenza per più di 500 anni. Anche adesso la violenza è un elemento strutturale della società peruviana e lo Stato la applica sistematicamente contro la popolazione. È una vera e propria azione di sterminio contro chi si ribella ad un sistema economico che lo condanna a morire di fame. Penso che un popolo ha il diritto di difendersi. Come può la Comunità internazionale considerare democratico un governo che tra il ‘92 e il ‘95 ha incarcerato 10.000 prigionieri politici, che ha torturato quasi 100mila persone (soprattutto con scariche elettriche sulla lingua, sui genitali…) per ottenere informazioni, per far loro confessare azioni che non avevano commesso? Sono centinaia le donne violentate e le comunità indigene sterminate dall’esercito. I nostri compagni sono entrati nella residenza per denunciare la guerra non dichiarata del neoliberismo contro l’umanità, per mostrare a tutti come in questo paese solo pochi privilegiati possono vivere al livello del primo mondo, a prezzo della vita di milioni di diseredati. Eppure, anche se molti dei presenti nell’ambasciata erano complici della barbarie delle multinazionali e del governo, sono sempre stati trattati come esseri umani dal MRTA (i guerriglieri liberarono anche la madre di Fujimori ndr). La maggior parte dei media ha definito l’azione del MRTA un atto terrorista. E tu ora cosa ne pensi? E cosa credi penseranno quelli che leggeranno le mie dichiarazioni?

Gianni Sartori (1997)