Mese: agosto 2024
#7NotePerUnaNuovaEuropa #Scotland
#Kanaky #StopColonialism – NUOVA CALEDONIA: ANCORA SCONTRI E VITTIME – di Gianni Sartori

Smentendo le ottimistiche previsioni, in Nuova Caledonia i focolai di ribellione non sono ancora del tutto spenti.
Il 15 agosto si è registrata l’11° vittima (di quelle ufficiali almeno, due sono poliziotti), colpita alla testa dal tiro di un gendarme nel corso dell’ennesimo scontro tra manifestanti (una ventina) e forze di polizia durante un’operazione di sgombero stradale per spostare una barricata. Un altro manifestante risulta gravemente ferito al collo. Stando alla versione ufficiale, tutto sarebbe cominciato con un lancio di pietre da parte degli indipendentisti (si parla anche di qualche molotov e forse di colpi di arma da fuoco) che avevano ferito al volto un agente. La persona rimasta uccisa sarebbe un abitante di Thio di 43 anni.
Già due giorni prima un centinaio di manifestanti indipendentisti (chiamati a raccolta dalle CCAT) avevano commemorato l’inizio della rivolta contro la riforma del corpo elettorale definita “colonialista” (momentaneamente sospesa, ma evidente questo non li ha rassicurati più di tanto). E numerosi scontri si erano sviluppati in varie parti dell’isola principale.
Mentre a Noumea la situazione attualmente appare sotto controllo ormai da un mese, la parte meridionale della principale isola dell’arcipelago rimane di fatto inaccessibile a causa delle barricate.
Païta, Dumbéa e Mont Dore (Genung Emâs in lingua kanak) rimarrebbero – almeno durante la notte e nonostante il copri-fuoco dalle 22 alle 05 – completamente in mano ai rivoltosi. In particolare a esponenti della tribù di Saint-Louis, considerata particolarmente legata all’indipendentismo (e tra cui si anniderebbero la maggior parte dei “francs-tireurs” – cecchini – che rendono alquanto rischioso percorrere alcune arterie).
Altre zone di fatto non raggiungibili si trovano nella costa est, intorno ai comuni di Ponérihouen e di Poindimié.
In sostanza un vero e proprio conflitto, per quanto ancora a bassa intensità.
Dopo tre mesi di proteste, secondo il governo di Parigi provocate e dirette dalle CCAT (Cellule de coordination des actions de terrain), la situazione resta preoccupante. Anche – soprattutto – a livello economico con circa 2,2 miliardi di danni a causa degli incendi e dei saccheggi (cifre fornite dal governo locale) e almeno 700 imprese (oltre la metà a Nouméa) rimaste coinvolte e danneggiate. Così come una trentina di scuole (almeno un paio di licei completamente distrutti) e decine di edifici pubblici. E almeno un lavoratore su cinque è rimasto disoccupato.
Tra le proposte più o meno improbabili per uscire dalla situazione di crisi, spicca quella di Sonia Backés (ex segretario di Stato) favorevole a una “autonomisation des provinces”. In quanto “le monde kanak et le monde occidental ont (…) des antagonismes encore indépassables”.
Proposta rispedita al mittente non solo dagli indipendentisti, ma anche dai “lealisti” (filofrancesi) moderati.
Da parte governativa pare si voglia puntare su una ripresa del confronto, del dialogo ai primi di settembre. Sempre che per allora il FLNKS (Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista) sia in grado di tenere il previsto congresso e formulare le proprie rivendicazioni.
Possibilmente prima della scadenza del 24 settembre (data della presa di possesso dell’arcipelago da parte della Francia nel 1853). Per gli indigeni “giorno del dolore per il popolo kanak” e possibile occasione per nuove insorgenze.
Gianni Sartori
#7NotePerUnaNuovaEuropa #Andalucia #FedericoGarciaLorca
#Kurds #Syria – PRESENZE INQUIETANTI NEL GOVERNATORATO DI DEIR EZ-ZOR SOTTOPOSTO AGLI ATTACCHI DEL REGIME DI DAMASCO E DELLE MILIZIE DI DIFA AL-WATANI – di Gianni Sartori

Stando a quanto denunciato da fonti curde, Cheikh Ibrahim al-Hafel, sospettato di coordinare le operazioni militari a Deir ez-Zor contro le FDS (ma anche contro la popolazione civile), in passato avrebbe collaborato con lo Stato Islamico. Attualmente sarebbe una pedina al servizio contemporaneamente sia di Ankara (attraverso il MIT) che di Damasco.
In attesa di ulteriori conferme o smentite, va segnalato che per le milizie (considerate dai curdi niente altro che mercenari) al servizio del regime siriano non tutto procede come da loro previsto. Già note per la loro brutalità, il 9 agosto nelle campagne di Deir ez-Zor (in particolare nella città di al-Dahlah e nel villaggio di Jadeed Bakkarah si rendevano responsabili della strage di una quindicina di civili, tra cui alcuni bambini). Ma stando a quanto dichiarato dalle FDS, il 12 agosto avrebbero subito, nella stessa zona, pesanti perdite. Almeno 18 miliziani, definiti nel comunicato “filo-iraniani” (e comunque collaborazionisti di Damasco), hanno perso la vita in una zona a ovest dell’Eufrate (sempre nel governatorato di Deir ez-Zor, est della Siria).
Qui il Consiglio militare di Deir ez-Zor (organico alle FDS) aveva lanciato una consistente offensiva (intesa come rappresaglia per il massacro di civili del 9 agosto) contro le posizioni dei soldati filogovernativi e delle milizie loro alleate. L’operazione (conclusasi senza perdite per le FDS) era indirizzata sui villaggi di al-Kishmah, al-Boleel e Tob “utilizzati come base di partenza per gli attacchi contro il nostro territorio”, hanno spiegato le FDS.
Sempre stando al loro comunicato, nel corso dell’operazione venivano recuperate molte armi.
Negli stessi giorni il cantone di Deir ez-Zor è stato visitato da una delegazione dell’AANES (Amministrazione autonoma democratica del Nord e dell’Est della Siria) per “dare sostegno agli abitanti della regione sottoposti a una serie di brutali attacchi condotti dalle forze del regime di Damasco e dalle milizie di Difa al-Watani (Forze di difesa nazionale nda) che in questi giorni hanno causato una quindicina di morti e decine di feriti.”
Gianni Sartori
#7NotePerUnaNuovaEuropa #Galiza
#Asia #Beluchistan – QUALCHE INFORMAZIONE SUPPLEMENTARE PER I TURISTI D’ALTA QUOTA CHE BAZZICANO (A FIN DI BENE STANDO A QUANTO DICONO) LE MONTAGNE DEL PAKISTAN – di Gianni Sartori

In Pakistan la repressione nei confronti dei beluci e di altre minoranze (azara, cristiani..) si coniuga con lo sfruttamento intensivo delle risorse (minerarie in primis). Nella quasi generale indifferenza dell’opinione pubblica internazionale (a quando una campagna di boicottaggio almeno del turismo ?)
Dopo aver seguito, se pur da lontano e distrattamente (ci son cose più rilevanti e urgenti di cui occuparsi) l’ennesima messa-in-scena a base di montagne e alpinismo, ossia la retorica, invasiva celebrazione per l’anniversario della “conquista” italica del K2 (luglio 1954), mi sia consentito di fornire qualche ulteriore notizia sulla situazione del Pakistan. Soprattutto in materia di violazione sistematica dei diritti umani. E in particolare sui Beluci, popolo minorizzato (NON minoranza).
Tornando fatalmente ad affrontare la dibattuta questione dell’alpinismo (sempre più turistico, consumista…) come prosecuzione del colonialismo. Argomento di cui mi ero già, fin troppo forse, occupato (vedi qui, nota 1, per approfondire).*
Com’era prevedibile anche nelle recenti celebrazioni non si trova quasi nessun accenno (e comunque nessuna messa in discussione) sul ruolo di Impregilo (v. la diga di Tarbela sull’Indo in cambio dei permessi) che da allora si è aggiudicata in Pakistan (e non solo ovviamente) contratti miliardari. E nemmeno sui metodi usati con gli alpinisti pakistani, percepiti come di rango inferiore, semplici portatori. Anche se in realtà su quel terreno (casa loro) erano molto più abili, esperti e resistenti degli occidentali (Amir Mahdi era l’uomo che sul Nanga Parbat aveva riportato a valle Hermann Buhl).
Solo l’ormai trita e ritrita faccenda del contenzioso tra Bonatti (che si considerava abbandonato di notte a 8100 metri senza tenda con 40 sotto zero) e i due “conquistatori”, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Direi che ormai basta, non se ne può più. Anche perché chi ci ha rimesso veramente (reso invalido dalle numerose amputazioni per congelamento) era stato sicuramente l’hunza Amir Mahdi. E qui qualche responsabilità – pare l’avesse spinto a continuare anche quando l’hunza avrebbe voluto ridiscendere – forse ce l’aveva anche il peraltro ottimo (se confrontato ad altri alpinisti del secolo scorso) Walter.
Quanto ai disgraziati (non per colpa loro) Beluci va evidenziato che oltre il 60%, divisi tra Sulaymani e Makrani, si trova in Pakistan. Un altro 25% vive in Iran e una piccola minoranza in Afghanistan (oltre a quelli della diaspora). Popolo originariamente di montagna (per cui ha potuto conservare una – per quanto precaria – propria identità) in maggioranza di religione sunnita, ma con una consistente minoranza sciita (qualcosa del genere accade ai curdi in Iran).
Parlano una lingua iranica. Talvolta – forse erroneamente – vengono considerati come affini ai beluci anche le tribù Brahui (soprattutto in Pakistan) che però parlano una lingua dravidica.
EVIDENTEMENTE I DESAPARECISOS DEL PAKISTAN NON HANNO LO STESSO RISALTO MEDIATICO DELLE IMPRESE ALPINISTICHE
Risale al novembre dell’anno scorso l’uccisione di Balaach Mola Bakhsh, in quel momento nelle mani del Counter Terrorism Department (CTD, Dipartimento Contro il Terrorismo) del Pakistan.
In precedenza era semplicemente scomparso (forzatamente desaparecido) così come è capitato a un gran numero di Baloch, oppositori veri o presunti. Sia, come nel suo caso, a Kech che in altre località del Belucistan . Ma almeno stavolta, dopo che era stato assassinato, si è assistito a una indignata sollevazione. Su iniziativa di Mahrang Baloch (che si definisce “femminista e nazionalista”) si costituiva il Baloch Yakjehti Committee (BYC, Comitato per l’unità del Belucistan) formato in gran parte da parenti dei desaparecidos. Mettendosi in marcia attraverso il Paese fino a Islamabad.
Dove fatalmente si erano scontrati con la polizia. Dopo una nutrita serie di arresti, i manifestanti venivano di fatto confinati per circa un mese al PEN Club (Club Nazionale della Stampa). Nonostante i tentativi del governo – e della stampa allineata – di screditare, delegittimare tale mobilitazione, a conti fatti si può dire che ha avuto grande risonanza e partecipazione.
Nel frattempo, il 2 agosto, si è conclusa (per decisione del BYC) la protesta a Gwadar, città portuale sotto controllo cinese. Protesta che in luglio era costata la vita ad almeno un soldato durante gli scontri tra esercito e manifestanti.
Le evidenti complicità dello Stato pakistano con il capitalismo internazionale implicano lo sfruttamento intensivo, sistematico del Belucistan. In particolare delle sue risorse minerarie, senza che questo comporti benefici per la popolazione autoctona. Emblematici in tal senso i megaprogetti del corridoio economico Cina-Pakistan che hanno comportato sia l’ulteriore militarizzazione del territorio che l’allontanamento forzato (deportazione ?) per gli abitanti.
Storicamente uno dei periodi peggiori per la popolazione del Belucistan ha coinciso con la dittatura di Pervez Musharraf (1999-2008). Con una serie infinita di uccisioni, sequestri e con la legittimazione di fatto della tortura (si potrebbe parlare di “guerra sporca” in stile sudamericano). Tra le vittime – che si contavano a migliaia – soprattutto scrittori, insegnanti, medici, studenti e ovviamente attivisti e militanti dell’opposizione.
Se pur con metodi meno brutali (ma solo relativamente, si son visti anche recentemente casi di desaparecidos e di vittime della tortura) i governi successivi mantennero il loro tallone di ferro ben calcato sui beluci. Reprimendone e soffocando le legittime aspirazioni all’autodeterminazione.
A tutto questo i beluci risposero organizzandosi in vario modo. Dagli estremisti del Baloch Liberation Army (BLA, Esercito di Liberazione Baloch) al BSO (Organizzazione degli studenti beluci). Oltre ovviamente al già citato BYC. Organizzazioni che in genere si collocano a sinistra, slegate dalla tradizionale leadership dei possidenti e proprietari terrieri (spesso collaborazionisti) e maggiormente radicate tra i lavoratori e le donne.
Criticando nel contempo con forza la sinistra (vera, presunta…?) pakistana per il suo sostanziale sostegno ai governi del paese e per la mancanza di solidarietà nei confronti dei beluci. Con uno sguardo di interesse e simpatia per quanto i curdi hanno saputo realizzare in Rojava.
Gianni Sartori
*nota 1:
vedi https://rivistaetnie.com/alpinismo-troppi-incivili-116678/;
v. https://rivistaetnie.com/alpinismo-pakistan-136126/;
v. https://centrostudidialogo.com/2021/06/14/asia-opinioni-ancora-su-alpinismo-colonialismo-e-altre-piccole-infamie-di-gianni-sartori/; v. https://rivistaetnie.com/montagna-rifiuti-116659/v.https://www.osservatoriorepressione.info/ancora-vittima-della-prosecuzione-del-colonialismo-altri-mezzi/;
v. https://rivistaetnie.com/scalatori-stato-canaglia-pakistan-118361/…);
v.https://rivistaetnie.com/pakistan-eliminazione-fisica-dei-beluci-127008/;
v.https://rivistaetnie.com/gatti-in-tangenziale-e-cristiani-in-pakistan-137788/;
v.https://rivistaetnie.com/pakistan-spariscono-minoranze-etniche-132877/;
#Occitania #Ambiente – POSSIBILE “TENTATO OMICIDIO” E UN INCENDIO DOLOSO PER SCORAGGIARE GLI ATTIVISTI AMBIENTALI IN LOTTA CONTRO L’AUTOROUTE A69 – di Gianni Sartori

Francia: la ZAD (Zone à défendre) contro la costruzione dell’autostrada A69 vittima di una misteriosa aggressione che lascia intravedere torbidi retroscena: strategia della tensione a bassa intensità?
Nella notte tra il 12 e il 13 agosto gli oppositori all’A69 hanno subito una pesante aggressione. Erano accampati (legalmente) a Bacamp, nei pressi del cantiere della futura autostrada che dovrebbe collegare Castres (Tarn) a Toulouse (Haute-Garonne).
Stando alla denuncia inoltrata, verso le 3 del mattino alcuni zadisti sarebbero stati aggrediti da almeno tre individui che – dopo averne bloccato uno puntandogli un coltello alla gola – spargevano da un bidone liquido infiammabile sulle tende, su un’auto e anche su un militante ambientalista. Avevano appena innescato l’incendio delle tende, dell’auto e di alcuni sacchi a pelo quando l’arrivo di altri zadisti li avrebbe messi in fuga.
Fortunatamente nessun danno alle persone, ma sono state distrutti un’auto, qualche tenda, diversi oggetti personali e documenti cartacei (dossier, volantini …). E comunque per spegnere l’incendio son dovuti intervenire i pompieri.
Anche se dalle indagini per ora non sono emerse responsabilità precise, resta il fatto che questo atto di violenza (definito “abbietto” dagli ambientalisti) lascia intravedere possibili dinamiche da strategia delle tensione a bassa intensità. Con provocazioni e aggressioni. E probabilmente rientravano in questa logica anche alcuni misteriosi sabotaggi (tra aprile e giugno) alle attrezzature del cantiere della ditta concessionaria Atosca. Danneggiamenti e incendi che nessun collettivo ambientalista ha mai rivendicato (tranne uno da una sigla sconosciuta e forse inventata per l’occasione: “Gang d’Insolent.e.s éclatant le Capital”) e di cui soprattutto nessun zadista si è felicitato. Ben sapendo che tali azioni sconsiderate non fanno altro che portare all’inasprimento della repressione, contribuire alla criminalizzazione del movimento. Fatte le debite proporzione, un po’ come accadeva nel secolo scorso in Val di Susa con la messa-in-scena dei soidisant “Lupi Grigi” (una provocazione costata la vita a Edoardo Massari e a Soledad Rosas).
Gianni Sartori
#7NotePerUnaNuovaEuropa #Cyprus
#MemoriaStorica #Kurds – 15 AGOSTO 1984: NASCE LA LOTTA ARMATA DEI CURDI (una svolta storica per l’autodeterminazione del loro popolo e forse dell’intero Medio-oriente)

Esattamente 40 anni fa (15 agosto 1984) iniziava per il PKK la lotta armata.
Trentasei guerriglieri guidato dal comandante Egîd (Mahsum Korkmaz) attaccarono un commissariato della polizia militare a Eruh (Bakur, Kurdistan del Nord, entro i confini della Turchia). Nello scontro a fuoco persero la vita una guardia e un ufficiale turchi. Nessuna perdita tra i guerriglieri.
Subito dopo, da una moschea di Eruh, venne proclamata la dichiarazione delle Hêzên Rizgarîya Kurdistanê (HRK, Forze di Liberazione del Kurdistan; un esplicito riferimento alle originarie Unità per la Liberazione del Vietnam): “Le HRK hanno come obiettivo quello di lottare per l’indipendenza nazionale del nostro popolo, per una società democratica, la libertà e l’unità, dirette dal PKK armato contro l’imperialismo e il fascismo coloniale turco”.
Alla prima azione ne seguì immediatamente un’altra sotto il comando di Abdullah Ekinci (Ali) a Şemdinli. Dove venne attaccata, con lanciagranate, una caserma.
Con duri scontri tra guerriglieri e soldati turchi.
Inoltre, se pur per breve tempo, entrambe le città rimasero sotto il controllo della guerriglia.
Si trattava dei primi segnali di opposizione al regime dopo il golpe del 12 settembre 1980. Da allora il 15 agosto per molti curdi è considerato “giorno festivo”.
Nei suoi diari, resi noti solo successivamente, il comandante Egîd confessava di aver sofferto molto per i dolori alle gambe (probabilmente per una malattia congenita) che gli impedivano quasi di camminare durante la lunga marcia di avvicinamento. Problema che non rivelò ai suoi compagni preferendo stoicamente soffrire in silenzio. Inevitabile l’analogia con la situazione patita da Ernesto CHE Guevara sia a Cuba che in Bolivia a causa dell’asma.
Nel caso l’attacco non avesse avuto buon esito, il “piano B” prevedeva che i guerriglieri si ritrovassero ai piedi della montagna di Çirav.
Arrivati a Eruh verso le ore 21 del 15 agosto (dopo aver studiato a lungo da lontano l’obiettivo con i binocoli), i guerriglieri si divisero in tre unità. I primi spari colpirono il posto di guardia, poi con i lanciagranate venne abbattuto il piano superiore della gendarmeria. Mentre parte dell’edificio cadeva in mano ai combattenti curdi, (seminando il panico tra i soldati turchi) un’altra colonna invadeva la mensa ufficiali.
Mentre per diverse ore la città restava sostanzialmente sotto il controllo curdo, vennero distrutti l’ufficio postale, una banca, i veicoli dei militari…Inoltre molto materiale amministrativo (documenti) venne confiscato . Un camion intero non bastava a contenerlo per cui una parte venne trasportata con i muli.
Per il giorno 18 agosto l’unità guerrigliera era ritornata sana e salva alla base tra le montagne.
Una svolta storica, si diceva. Paragonabile a quella intrapresa da ANC e PAC dopo Sharpeville (1960) in Sudafrica. Non tanto per aver imbracciato le armi dopo decenni di resistenza passiva (il che non impediva al regime turco di condannare all’impiccagione i dissidenti) , ma soprattutto per aver “cominciato a riorganizzarsi, a riappropriarsi della propria identità, a rivendicare il diritto all’autodeterminazione” (come ha ricordato Besê Hozat, co-presidente del Consiglio esecutivo del KCK).
Diventando – il 15 agosto – un simbolo imprescindibile non solo per I curdi, ma per gran parte dei popoli del mondo (maggioritari o minorizzati, più o meno oppressi, sfruttati e marginalizzati). Ma che è costata immensi sacrifici: almeno 50mila i curdi caduti in questa lotta di liberazione. Una lotta che ha saputo evolversi, aggiornarsi, confrontarsi con questioni che forse 40 anni fa non erano così presenti alla consapevolezza del movimento (ecologia, femminismo…). Un punto di riferimento per chiunque, in qualsiasi parte del monda, sta lottando per la libertà.
Gianni Sartori
