
Esattamente 40 anni fa (15 agosto 1984) iniziava per il PKK la lotta armata.
Trentasei guerriglieri guidato dal comandante Egîd (Mahsum Korkmaz) attaccarono un commissariato della polizia militare a Eruh (Bakur, Kurdistan del Nord, entro i confini della Turchia). Nello scontro a fuoco persero la vita una guardia e un ufficiale turchi. Nessuna perdita tra i guerriglieri.
Subito dopo, da una moschea di Eruh, venne proclamata la dichiarazione delle Hêzên Rizgarîya Kurdistanê (HRK, Forze di Liberazione del Kurdistan; un esplicito riferimento alle originarie Unità per la Liberazione del Vietnam): “Le HRK hanno come obiettivo quello di lottare per l’indipendenza nazionale del nostro popolo, per una società democratica, la libertà e l’unità, dirette dal PKK armato contro l’imperialismo e il fascismo coloniale turco”.
Alla prima azione ne seguì immediatamente un’altra sotto il comando di Abdullah Ekinci (Ali) a Şemdinli. Dove venne attaccata, con lanciagranate, una caserma.
Con duri scontri tra guerriglieri e soldati turchi.
Inoltre, se pur per breve tempo, entrambe le città rimasero sotto il controllo della guerriglia.
Si trattava dei primi segnali di opposizione al regime dopo il golpe del 12 settembre 1980. Da allora il 15 agosto per molti curdi è considerato “giorno festivo”.
Nei suoi diari, resi noti solo successivamente, il comandante Egîd confessava di aver sofferto molto per i dolori alle gambe (probabilmente per una malattia congenita) che gli impedivano quasi di camminare durante la lunga marcia di avvicinamento. Problema che non rivelò ai suoi compagni preferendo stoicamente soffrire in silenzio. Inevitabile l’analogia con la situazione patita da Ernesto CHE Guevara sia a Cuba che in Bolivia a causa dell’asma.
Nel caso l’attacco non avesse avuto buon esito, il “piano B” prevedeva che i guerriglieri si ritrovassero ai piedi della montagna di Çirav.
Arrivati a Eruh verso le ore 21 del 15 agosto (dopo aver studiato a lungo da lontano l’obiettivo con i binocoli), i guerriglieri si divisero in tre unità. I primi spari colpirono il posto di guardia, poi con i lanciagranate venne abbattuto il piano superiore della gendarmeria. Mentre parte dell’edificio cadeva in mano ai combattenti curdi, (seminando il panico tra i soldati turchi) un’altra colonna invadeva la mensa ufficiali.
Mentre per diverse ore la città restava sostanzialmente sotto il controllo curdo, vennero distrutti l’ufficio postale, una banca, i veicoli dei militari…Inoltre molto materiale amministrativo (documenti) venne confiscato . Un camion intero non bastava a contenerlo per cui una parte venne trasportata con i muli.
Per il giorno 18 agosto l’unità guerrigliera era ritornata sana e salva alla base tra le montagne.
Una svolta storica, si diceva. Paragonabile a quella intrapresa da ANC e PAC dopo Sharpeville (1960) in Sudafrica. Non tanto per aver imbracciato le armi dopo decenni di resistenza passiva (il che non impediva al regime turco di condannare all’impiccagione i dissidenti) , ma soprattutto per aver “cominciato a riorganizzarsi, a riappropriarsi della propria identità, a rivendicare il diritto all’autodeterminazione” (come ha ricordato Besê Hozat, co-presidente del Consiglio esecutivo del KCK).
Diventando – il 15 agosto – un simbolo imprescindibile non solo per I curdi, ma per gran parte dei popoli del mondo (maggioritari o minorizzati, più o meno oppressi, sfruttati e marginalizzati). Ma che è costata immensi sacrifici: almeno 50mila i curdi caduti in questa lotta di liberazione. Una lotta che ha saputo evolversi, aggiornarsi, confrontarsi con questioni che forse 40 anni fa non erano così presenti alla consapevolezza del movimento (ecologia, femminismo…). Un punto di riferimento per chiunque, in qualsiasi parte del monda, sta lottando per la libertà.
Gianni Sartori
