#Breizh #Kurdistan – IN MEMORIA DI UN INTERNAZIONALISTA BRETONE – di Gianni Sartori

Come qualche mese fa a Rennes Serhildan-Bretagne e il CDKR (Consiglio democratico curdo di Rennes), in questi giorni le Forze Democratiche Siriane (FDS) hanno voluto ricordare l’internazionalista bretone Kendal Breizh

Il 10 febbraio 2024 Kendal Breizh ( Olivier Le Clainche) veniva ricordato all’Espace des deux rives a Rennes con canzoni curde, poesie in lingua bretone e interventi dei suoi amici e compagni in francese. In perfetta sintonia con lo spirito internazionalista che animava questo quarantenne bretone che con il suo sacrificio ha legato indissolubilmente e per sempre la Bretagna (Breizh) e il Kurdistan.

L’evento era stato organizzato da Serhildan-Bretagne e dal Consiglio democratico curdo di Rennes (CDKR).

Originario del Morbihan (era nato a Malestroy nel 1977), da giornalista Olivier aveva collaborato con Radio Bro Gwened e con France bleu Breizh Izel.

Integrandosi nelle YPG (Unità di protezione del popolo) aveva voluto dare il suo contributo alla lotta dei curdi contro Daesh in Rojava. Il 10 febbraio 2018 aveva perso la vita nel corso di un bombardamento turco a Jandairis, nel cantone curdo di Afrin.

Come aveva ricordato un esponente del CDKR “Kendal Breizh, militante della sinistra internazionalista, vicino al movimento indipendentista bretone, era rimasto affascinato dal modello di democrazia diretta sperimentata dalla popolazione del Rojava”.

La manifestazione coincideva con quella in memoria di altri volontari caduti combattendo a fianco dei curdi contro lo Stato islamico e seguiva di un mese l’inaugurazione a Rennes della Piazza Fidan Rojbîn Dogan, una delle tre militanti curde assassinate a Parigi il 9 febbraio 2013.

Da segnalare che i militanti della sinistra indipendentista bretone (ma anche molti autonomisti e amministrazioni comunali) da sempre si mobilitano per altri popoli in lotta per l’autodeterminazione. Per esempio, non solo a Rennes e Nantes, ma anche in tante località minori sono presenti vie dedicate a Bobby Sands e agli altri hunger-strikers irlandesi morti nel 1981, alle vittime dell’apartheid sudafricano e anche ai baschi assassinati dal franchismo.

In questi giorni di fine agosto le Forze Democratiche Siriane (FDS) hanno voluto ricordarne “la grande professionalità di giornalista che aveva dedicato il suo impegno ad amplificare le voci marginalizzate, a difendere la giustizia sociale e le cause ambientaliste (…). La sua voce risuonava sulle onde di Radio Pro Gwyned, una stazione radio bretone impegnata a sostegno della giustizia sociale e per la conservazione della cultura bretone. L’ardente desiderio di un mondo più giusto lo aveva indotto a cambiare il suo microfono con un’arma”.

Olivier era giunto nel Rojava nel momento forse più duro, drammatico della lotta contro il terrorismo dello Stato islamico e – assunto il nome di Kendal Breizh – aveva partecipato alla liberazione di Raqqa e di Deir ez-Zor, facendosi apprezzare per il suo coraggio. Nel 2018, al momento dell’invasione turca di Afrin, fu tra i primi a impegnarsi nella lotta di resistenza. Ma il 18 febbraio un bombardamento turco poneva fine alla sua vita esemplare.

Gianni Sartori

#Asia #Pakistan – TERRORISMO DI MARCA SETTARIA O STRATEGIA DELLA TENSIONE? – di Gianni Sartori

Poco dopo l’alba del 26 agosto oltre una ventina di persone (23 quelle accertate, per la maggior parte originarie del Punjab) sono state uccise nel distretto di Musakhail (sud-ovest del Pakistan, Belucistan).

Si ritiene che i responsabili dell’eccidio appartengano a un gruppo di separatisti beluci, il BLA (Baloch Liberation Army). Una trentina di costoro avevano installato un posto di blocco lungo l’autostrada costringendo a scendere i passeggeri di una ventina di autobus e di alcuni camion e furgoni (poi incendiati). Dopo averne controllato i documenti e l’identità, avevano aperto il fuoco.

In un altro attacco (sempre nella nella provincia di Monday), evidentemente coordinato con il primo, un’altra quindicina di persone provenienti dal Punjab venivano assassinate (per un totale complessivo finora accertato di 39 vittime).

In un comunicato il BLA avrebbe rivendicato il grave atto terroristico sostenendo che in realtà sarebbero stati uccisi “soldati in abiti civili” in quanto “la lotta è contro l’esercito pakistano occupante”.

Una presa di posizione poco convincente se pensiamo ad altri episodi simili.

Come in aprile quando, nei pressi della città di Naushki, una decina di lavoratori provenienti dal Punjab (e impiegati nell’estrazione delle risorse minerarie), dopo essere stati fatti scendere, venivano ammazzati brutalmente.

Nelle ore immediatamente precedenti il gruppo separatista aveva assaltato una caserma nei pressi di Kalat uccidendo sei agenti e quattro civili. Inoltre erano stati distrutti con l’esplosivo alcuni tratti della rete ferroviaria.

Da un comunicato del ministro dell’Interno Mohsin Naqvi si è poi appreso che le forze dell’ordine avrebbero ucciso una dozzina di miliziani, mentre l’esercito pachistano parlava di una ventina.

Gianni Sartori

#Kurds #News – PARE PROPRIO CHE ERDOGAN E ASSAD ABBIANO QUALCOSA IN COMUNE: LIBERARSI DELLA FASTIDIOSA PRESENZA DEI CURDI – di Gianni Sartori

Nonostante la proposta di una soluzione politica al contenzioso tra curdi e Damasco, Assad si mostra molto più conciliante con Ankara che con l’AANES. Forse in vista di un attacco congiunto al Rojava?

Il 25 agosto Bachar al-Assad, presidente della Siria, intervistato dall’Agenzia France-Presse ha confermato quanto si sospettava. Ossia che il ritiro preventivo dell’esercito turco (e delle milizie mercenarie, si presume) dai territori occupati della Siria non costituisce un elemento vincolante per il riavvicinamento tra Damasco e Ankara.

Sconfessando così le recenti dichiarazioni di alcune esponenti politici turchi che lo escludevano e confermando indirettamente che colloqui tra i due regimi sono in atto da tempo. Almeno da qualche settimana, secondo l’intelligence curda. Convinta che si stia discutendo di un possibile attacco congiunto alle regioni sotto il controllo dell’amministrazione autonoma per eliminare militarmente le FDS (Forze democratiche siriane a direzione curda).

“Perdonando” quindi l’operato di Erdogan che inizialmente aveva sostenuto e armato i gruppi ribelli anti-Assad sorti con la guerra civile del 2011.

Attualmente Ankara e i suoi ascari controllano ampi di lembi di territorio siriano, conquistati con una serie di offensive transfrontaliere.

Ma evidentemente Assad non lo considera così importante. Meglio preoccuparsi dei Curdi la cui proposta politica (il Confederalismo democratico) potrebbe mettere in discussione il regime autoritario di Damasco.

Eppure soltanto qualche giorno prima, durante un incontro organizzato dal PYD (Partito dell’Unione Democratica) a Qamişlo, Ilham Ehmed* (co-presidente del dipartimento degli Affari esteri del Nord e dell’Est della Siria) aveva ribadito l’urgenza del riconoscimento da parte di Damasco dell’Amministrazione autonoma.

Nel suo intervento (“Definire l’identità curda e il popolo siriano nel quadro della nazione democratica”) sostenevaun concetto ben preciso: “il popolo deve proteggere le proprie forze”. Un fatto incontestabile che il regime di Damasco avrebbe “dovuto accettare per non doversi confrontare con una nuova resistenza”.

Ricordando quante e quali profonde trasformazioni (e a prezzo di quali sacrifici) siano avvenute dalla rivoluzione del 19 luglio, una data fondamentale per i curdi e la lotta per i loro diritti in Siria. In particolare, il riconoscimento dell’identità curda e l’insegnamento della lingua. Per cui “è semplicemente impossibile ritornare alla situazione precedente al 2011” (come invece sembrerebbero auspicare Assad & C.).

Senza dimenticare l’importanza delle forze militari curde che hanno conquistato sul campo (v. la guerra all’Isis costata la vita a migliaia di combattenti curdi) “un ruolo chiave, una legittimità e un riconoscimento a livello internazionale per la causa curda”.

Auspicando infine (peccando forse di eccessivo ottimismo) che il regime di Damasco possa “evolvere verso un sistema di governo decentralizzato che riconosca i diritti fondamentali dei Curdi, compresi l’insegnamento della lingua curda e l’autonomia”.

Ma se “negras tormentas agitan los aires” in Rojava e dintorni, anche in Bashur (Kurdistan del Sud, in territorio iracheno) “nubes oscuras” si vanno addensando.

Singolare coincidenza, mentre si registravano le concilianti (con Ankara ovviamente ) dichiarazioni di Assad (25 agosto) un convoglio di milizie paramilitari sciite (Unità di mobilitazione popolare, PMU) penetrava nella regione di Garmiyan (provincia di Suleymaniyê) occupandone il campo petrolifero.

In un primo momento i portavoce delle milizie hanno dichiarato alle agenzie di stampa che le PMU si sarebbero “insediate nella regione di Garmiyan, nei pressi della città di Kifri (Gulajo/Gulejo), per un breve periodo (si parlava di tre o quattro giorni nda) per un’operazione anti-Daesh”.

Stando al loro comunicato, le milizie avrebbero informato preventivamente l’UPK (Unione Patriottica del Kurdistan, Yeketî Niştîmanî Kurdistan) che però ha negato di esserne venuta a conoscenza. In ogni caso si erano immediatamente impadroniti del campo petrolifero installando check point e mobilitando pattuglie di controllo.

Per i curdi si trattava di una vera e propria “invasione”. Né più, né meno.

E infatti – cdd – in un secondo comunicato le PMU avevano ammesso di aver un accordo con la società che sfrutta il campo petrolifero e che intendevano stabilirsi in maniera permanente.

A rendere la situazione ancora più complessa (e pericolosa) sul posto starebbero per arrivare gruppi di Peshmerga (combattenti curdi, non è dato di sapere se dell’UPK o del PDK).

Gianni Sartori

*Nota1: https://rivistaetnie.com/incontro-russo-curdo-a-mosca-133342/

#Palestine #Polio – A GAZA MANCAVA SOLO LA POLIOMIELITE… – di Gianni Sartori

elaborazione su immagine @ Omar Ashtawy APA images

Mentre il numero delle vittime degli attacchi israeliani a Gaza supera la cifra di 40mila, si registra il primo caso confermato di poliomielite.

Notizie di oggi, ma potrebbe trattarsi di un giorno qualsiasi di quotidiana sofferenza a Gaza. Magari poca cosa se confrontate con quanto accadeva solo un paio di settimane fa quando un attacco israeliano in prossimità della scuola al-Tabaìeen di vittime ne aveva provocate più di un centinaio

Oggi, 24 agosto, un’altra quarantina di palestinesi sono rimasti uccisi a causa dei bombardamenti israeliani a Khan Younis e nell’area del campo di Nuseirat (dati forniti dall’agenzia di stampa Efe che a sua volta cita fonti mediche palestinesi). Un altro attacco si è verificato nel quartiere Al-Amal, nella parte est di Khan Younis, provocando la morte di undici persone (tra cui quattro bambini e almeno una donna).

Ma forse la notizia che aggiunge altro orrore all’orrore è la conferma di un caso accertato di poliomielite. Un bambino di 10 mesi è semi-paralizzato (anche se le agenzie minimizzano dicendo che ora sarebbe in “condizioni stabili”).

Si tratta del primo caso accertato in 25 anni (fonte delle Nazioni Unite). Una brutale conferma di quanto era già stato rilevato in giugno: la presenza del poliovirus di tipo 2 nelle acque reflue della Striscia. Intanto, mentre il direttore generale Oms (“gravemente preoccupato”) torna a chiedere una vasta campagna di vaccinazioni, i bombardamenti proseguono.

E’ già trascorsa un’altra settimana da quando il Ministero della Salute del governo di Hamas annunciava che il numero di 40mila vittime (cifra ancora impensabile fino a qualche mese fa) era stato raggiunto e superato. Più del doppio quello dei feriti accertati.

Ma appunto, oltre ai morti ammazzati, ai feriti e alle migliaia di invalidi che la guerra lascerà sul campo, forse sarebbe anche il caso di interrogarsi sugli “effetti collaterali”: epidemie, carestie, aggravamento della crisi climatica a causa delle operazioni militari.

Come sintetizzato nello slogan di alcuni ambientalisti: “No Climate Justice on Occupied Land”.

Scoperta dell’acqua calda per chi da decenni subisce un’occupazione militare come appunto i palestinesi (altrove i curdi; in passato emblematico il caso del Vietnam). E conosce da tempo, avendoli sperimentati sulla propria pelle, quali guasti irreparabili comportino per l’ambiente i bombardamenti aerei e i lanci di missili. Con conseguenze drammatiche per la vita delle persone.

Pensiamo alle emissioni di gas serra. Quelle prodotte annualmente dagli eserciti mondiali corrispondono al 5,5%. Più di quelle emesse complessivamente dalle industrie dell’aviazione e della navigazione.

Stando ai calcoli di studiosi della Queen Mary University, quelle prodotte nei primi 120 giorni di guerra condotta da Israele sulla Striscia sarebbero superiori alle emissioni annuali di 26 singoli paesi. E ancora di più (superiori a quelle annuali di 135 paesi) le emissioni della prevista ricostruzione di Gaza.

Per cui, mentre ancora si discute se quello in atto a Gaza sia o meno un genocidio, si dovrebbe prendere coscienza che di sicuro siamo di fronte a un ennesimo ecocidio.

Perché stupirsi allora se poi, in un ambiente disastrato, inquinato, avvelenato…proliferano germi, virus e malattie già debellati in passato (non solo quello della polio)? Del resto tra i cavalieri dell’Apocalisse, il quarto  (quello delle pestilenze, delle epidemie…) è sempre stato considerato il più temibile.

Gianni Sartori