#Veneto #AntiFascismo – OMAGGIO AL COMPAGNO PARTIGIANO EUGENIO MAGRI – di Gianni Sartori

elaborazione immagine fonte @ANPI – Vicenza

NEL CORSO DELLA SUA LUNGA VITA MILITANTE, L’ANTIFASCISTA VICENTINO EUGENIO MAGRI (morto a 96 anni) HA CONTRIBUITO COME POCHI AL RECUPERO DELLA MEMORIA STORICA SIA DELLA RESISTENZA AL FASCISMO NOSTRANO, SIA DELLA LOTTA ANTIFRANCHISTA

E così anche Eugenio se n’è andato. Era nato nel 1928 e quindi un po’ me l’aspettavo. L’ultima volta che ne avevo chiesto notizie al suo amico fraterno Moret, lui aveva scosso il capo.

Eugenio, operaio autodidatta e artista, negli ultimi tempi soffriva per seri problemi alla vista che gli impedivano di proseguire nelle sue inesauste ricerche storiche. Se non proprio l’ultimo superstite del movimento partigiano vicentino, con lui perdiamo una delle voci più autentiche e significative, in grado ancora di dare testimonianza.

Nell’estremo saluto (28 maggio), tra bandiere dell’ANPI, della CGIL, dell’USB…e anche un paio di quelle palestinesi, lo hanno ricordato il vicesindaco Isabella Sala, Danilo Andriolo e Gigi Poletto dell’ANPI vicentina, Germano Raniero dell’USB, Giampaolo Zanni della CGIL e altri suoi compagni di tante battaglie: dalle 150 ore alla solidarietà internazionale, dalle lotte sindacali alla preparazione di materiale divulgativo (famose in città le sue mostre, in particolare quella storica sulla Guerra di Spagna esposta anche a Barcellona).

E appunto dalla “Rosa de Foc” è pervenuto il comunicato di alcuni storici e attivisti catalani che hanno voluto “rendergli omaggio per tutto l’aiuto, la collaborazione e l’entusiasmo che sempre ha offerto nel recupero della memoria storica del nostro lungo transito attraverso il regime di Franco, la sua continua insistenza nel non vedere il recupero della memoria storica come qualcosa di esclusivamente nostalgico, ma piuttosto per proiettare la continuità della lotta nel futuro”.

Tra loro alcuni che avevo conosciuto nelle mie incursioni giornalistico-fotografiche nei Paisos Catalans. In particolare Joan Canet (con cui – in bicicletta – avevo cercato il muro del cimitero dove era stato fucilato il Txiki)* e Antonio Sanchezche mi aveva ospitato varie volte a casa sua (dandomi anche – in tempo reale, suo fratello era a Cuba – la brutta notizia della morte del padre del CHE che entrambi avevamo conosciuto, il padre, beninteso).

Anche se alcuni episodi della sua prima educazione politica (il gelataio friulano antifascista che nel ’39 gli parlò per primo di Matteotti, la scoperta a quindici anni del concetto di “Democrazia”, fino ad allora quasi un oggetto misterioso…) restano esemplari, emblematici, non è il momento, non per me almeno, di recuperare la cronologia della vita militante di Eugenio.**

Altri che lo conobbero più profondamente lo stanno facendo (Gigi Poletto mi pare stia scrivendo un libro, Alberto Galeotto conserva una decina di interviste registrate e sicuramente l’ANPI vicentina saprà recuperare e valorizzare il suo vasto archivio).

A me, come capita sempre più spesso in queste tristi circostanze, succede di riandare con la memoria a ricordi magari “minimalisti”, episodi frammentari, immagini di situazioni…in cui le figura del compagno Eugenio, bonaria ma determinata, si staglia quasi in controluce. Credo di averlo conosciuto esattamente 50 anni fa, alla manifestazione unitaria per la strage di Brescia quando c’eravamo veramente tutti, dagli anarchici alla CISL.

L’ultima volta che abbiamo conversato un po’ più a lungo eravamo di fronte alla libreria Galla, da dove si scorge nitidamente un’opera palladiana rimasta incompiuta. Proprio il luogo teatro di un rischioso trafugamento di armi. Quindicenne spavaldo, si era poi allontanato spingendo un carretto stracarico di mitra e fucili (ma dopo averli ben mimetizzati, mi pare con dei sacchi) sotto il naso dei soldati. Una storia che conoscevo, ma che raccontata praticamente “in loco” assumeva tutt’altra valenza (sia per quanto riguarda il “passaggio di testimone” tra generazioni, sia per la continuità storico-territoriale di una città medaglia d’oro alla Resistenza).

Senza dimenticare le molteplici occasioni in cui esponeva le sue mostre – accuratissime – sulla Guerra di Spagna, sulla storia del sindacato, sulla Resistenza…

Sia alle feste dell’Unità che a una di DP (negli anni ottanta al Parco Querini, visitata dal comandante TAR, Ferruccio Manea)***.

O un’altra, patrocinata dal Comune, nella prestigiosa Loggia del Capitaniato.

Fu lui a farmi conoscere Visentini Ferrer, volontario nella Brigate Internazionali che in seguito avrei anche intervistato.****

Di Eugenio, altrettanto fermo nelle sue idee che disposto al dialogo con chiunque, va sottolineata la grande capacità di ascoltare.

Per esempio nel 1995 lo invitai a una iniziativa sui Paesi Baschi organizzata dalla Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli in Saletta Lampertico. Tra i relatori, il giornalista di Radio popolare e di Radio Tandem Giovanni Giacopuzzi, Luciano Ardesi, lo storico basco Inaki Egana e l’esponente delle Gestoras Pro Amnistia (ed ex prigioniero politico ) Gari Arriaga.

Erano i giorni del ritrovamento in una fossa riempita di calce dei resti mortali, torturati e straziati, di due etarra, Laza e Zabala, sequestrati ancora nel 1983 dallo squadrone della morte paramilitare (o anche parastatale) denominato GAL.

Ma appunto eravamo negli anni novanta. E ormai la sinistra, quella stessa sinistra che all’epoca del processo di Burgos (1970) aveva parole di elogio per la lotta antifranchista del popolo basco, preferiva girare la testa dall’altra parte di fronte alle violazioni dei diritti umani (sparizioni, torture, repressione…) in Euskal Herria. Soprattutto da quando governavano i socialisti di Gonzalez.

Eugenio Magri ovviamente espresse la sua critica in merito alla lotta armata di ETA (ritenendola non solo moralmente sbagliata, ma anche controproducente dopo la morte di Franco), ma non si tirò indietro nel condannare i metodi usati da Madrid. La discussione, sostanzialmente amichevole, tra compagni, si protrasse talmente a lungo che alla fine gli ultimi sei o sette rimasti (oltre ai relatori e al sottoscritto, Magri e Moret) vennero letteralmente “cacciati” dal responsabile della saletta. E comunque continuammo discutere anche in strada, sotto i portici. A distanza di qualche anno Inaki e Gari mi chiedevano notizie del “compagno comunista vicentino”. Ne erano rimasti colpiti molto positivamente quando era intervenuto sulla Guerra Civile Spagnola (ben sapendo come i baschi versarono – sia durante che dopo – sangue, dolore e lacrime come pochi). Ecco direi che in questa capacità di Eugenio di empatizzare anche con chi si trovava su posizioni diverse politicamente, stava una sua caratteristica peculiare.

Lo sperimentai anche quando uscì il film di Ken Loach “Terra e Libertà”. Per lui, vecchio militate comunista, poteva apparire forse eccessiva la critica al PSUC per i fatti di Barcellona, ma anche qui non si tirava indietro. “L’importante – mi aveva detto – è che se ne parli, capire, confrontarsi”. Se necessario rimettere in discussione quanto fino allora veniva dato per scontato in gran parte della sinistra sia istituzionale che extraparlamentare. Come ho già ricordato, il mantra “con voi faremo come in Spagna” (in riferimento al maggio ’37) me lo sentivo ripetere tanto da quelli del PCI che da quelli di Potere Operaio (e anche da parecchi di Lotta Continua se è per questo, anche se adesso raccontano di essere stati “luxemburghiani”).

Diciamo che invece quello di Eugenio Magri era proprio “un altro stile” (e sto citando Camillo Berneri).

Gianni Sartori

*nota1:https://www.veliber.org/archivio/Arivistaanarchica/A165/A165_ARTICOLO_PAG165_05-HTML.PDF

**nota 2: https://www.noipartigiani.it/eugenio-magri/

***nota 3”: https://www.anpi-vicenza.it/ferruccio-manea-nome-di-battaglia-tar/

****nota 4: https://www.anpi-vicenza.it/ferrer-visentini-in-spagna-per-la-liberta/

#Palestina #Proteste – DAL CANADA ALL’AUSTRALIA: VITA ALQUANTO DURA PER I MANIFESTANTI PRO-PALESTINA

Un ripasso (per quanto parziale e “a ritroso”) delle manifestazioni pro-Palestina impedite, “evacuate” o direttamente represse nel mese di maggio.

Per rendere l’idea di quanto gli eventi di Gaza (genocidio o “semplice massacro” che dir si voglia) stiano incidendo (oltre che nei corpi feriti e violati delle innumerevoli vittime) sulle coscienze dell’opinione pubblica a livello planetario. Anche nel soidisant “Occidente”.

Il 23 maggio, in Belgio, la polizia poneva termine forzatamente, su richiesta del rettorato, all’occupazione dell’Università di Gand (UGent). Oltre trecento studenti occupavano dal 6 maggio l’edificio UFO e i dintorni del rettorato chiedendo la sospensione (“un boicottaggio generale”) dei rapporti accademici con Israele.

Allontanati forzatamente dopo che si erano rifiutati di farlo spontaneamente, almeno una decina risultavano fermati nel corso dello sgombero.

Stando ai comunicati degli occupanti, l’UGent manterrebbe una ventina di collaborazioni con università e istituti di ricerca israeliani. In precedenza, “sollecitata” dai militanti pro-Palestina, l’Università di Gand aveva (avrebbe?) posto fine a tre collaborazioni con istituzioni israeliane coinvolte nel conflitto in corso.

In Canada, il 20 maggio, la polizia di Montreal reprimeva con fermezza (manganellate, gas lacrimogeni…ricordiamo che in Canada, in passato almeno, si faceva uso abbondante dei CS) un corteo di studenti provenienti dalla tendopoli pro-Palestina dell’università UQAM (da notare tra le tende gli striscioni soprattutto in francese, siamo nel Québec).

I manifestanti avevano tentato di bloccare, se pur per breve tempo, un incrocio lungo viale Kennedy e un’altra strada nei pressi del quartier generale della polizia di Montreal.

La richiesta di smantellare gli accampamenti, oltre che all’UQAM anche all’Università McGill, proveniva direttamente dal Ministero dell’Istruzione.

Il 17 maggio la polizia di Filadelfia fermava 19 manifestanti (tra cui sette studenti) filo-palestinesi nel corso di una manifestazione serale all’Università di Pennsylvania.

Numerosi militanti erano penetrati nella Fisher-Bennett Hall per occuparla barricandosi all’interno.

Mentre alcuni (una dozzina) venivano solo denunciati e poi rilasciati per essersi rifiutati di obbedire all’ordine di disperdersi, altri sette a distanza di alcuni giorni restavano ancora in stato di fermo (almeno uno per “aggressione contro la polizia”).

Nel corso dell’operazione la polizia avrebbe recuperato utensili per lo scassinamento delle serrature e scudi metallici ricavati da bidoni.

Alcune porte (in particolare quelle dei dipartimenti di inglese, di musica e di cinematografia) erano state bloccate con barricate improvvisate. La settimana precedente l’Università aveva fatto evacuare un altro accampamento al College Green.

Il 18 maggio a New-York una dozzina di manifestanti erano stati arrestati nel corso di scontri con la polizia a Brooklyn.

Stando alla ricostruzione dei partecipanti, in seguito la polizia sarebbe stata respinta dalla folla nell’area di Bay Ridge. Alla fine gli arresti effettuati risultavano una quarantina.

Contemporaneamente in Australia, a Melbourne, sei persone (tutti manifestanti pro-Palestina) venivano fermate a seguito del dissidio tra i partecipanti a una iniziativa del gruppo cristiano Christian Embassy Jerusalem (definito dagli avversari “sionista”, ma ufficialmente in piazza “contro l’antisemitismo”) e i solidali con il popolo palestinese.

Negli Stati Uniti, il 16 maggio centinaia di membri della polizia attaccavano l’accampamento filo-palestinese all’UCLA (University of California, Los Angeles). Le tende sorgevano tra l’auditorium della Royce Hall e la biblioteca.

Il giorno prima i corsi erano stati annullati a seguito di una assalto alla tendopoli da parte di un gruppo (presumibilmente filo-israeliano) armato di mazze da baseball, spray al peperoncino e petardi. Dopo gli scontri, durati oltre tre ore, poliziotti in tenuta anti-sommossa erano penetrati nel campo.

Circa 500 persone si erano trincerate nell’accampamento, mentre oltre duemila si riunivano all’esterno allestendo barricate. I membri della California Highway Patrol, attrezzati con scudi e manganelli, avevano atteso per ore ai margini del campo prima di entrare e arrestare coloro che si rifiutavano di evacuare.

Quasi contemporaneamente, nei giorni della commemorazione della Nakba del 1948, in Scozia veniva bloccata la fabbrica di armamenti Thales à Govan (non lontano da Glasgow). I manifestanti chiedevano la sospensione dell’esportazione di armi verso Israele.

L’azienda produce il drone Watchkeeper, in collaborazione con la società di armamenti israeliana Elbit Systems.

Dopo cinque-sei ore di blocco, veniva reso noto che un piccolo numero di dipendenti dell’azienda (quelli del turno di notte) erano rimasti chiusi nell’edificio. Dai manifestanti veniva consentita la loro evacuazione, ma non la sostituzione con altri lavoratori che avrebbero dovuto rimpiazzarli.

Da qui l’intervento della polizia che aveva spezzato il blocco portando via di peso alcuni dissidenti. Nei tafferugli scoppiati per impedire il fermo di un militante risultavano contusi sei poliziotti mentre quattro manifestanti venivano arrestati.

Il 6 maggio toccava al presidio pro-Palestina dell’Università di Amsterdam (UvA, Paesi Bassi) venire sloggiato (non avendo adempiuto alla richiesta in tal senso del rettorato). Per demolire le barricate erette dagli studenti la polizia aveva impiegato anche alcuni macchinari da costruzione.

Il 5 maggio un comunicato di associazioni filo-palestinesi statunitensi quantificava in oltre duemila il numero delle persone fino ad allora arrestate per le manifestazioni e occupazioni nelle università degli USA.

Almeno 25 durante lo sgombero all’Università di Virginia (UVA) alla vigilia della cerimonia di consegna dei diplomi.

Nonostante fino ad allora le iniziative pro-Palestina a Charlottesville fossero state sostanzialmente pacifiche, Il 4 maggio la polizia antisommossa aveva assaltato l’accampamento ammanettando diversi partecipanti e facendo ampio uso di spray chimici.

Nello stesso giorno venivano arrestate dozzine di persone per “intrusione criminale” all’Istituto d’Arte di Chicago.

Sempre il 4 maggio in quel di Ann Arbor, venivano disturbate dai filo palestinesi le cerimonie di consegna dei diplomi all’Università del Michigan.

Due giorni prima all’Università del Mississippi (Ole Miss) si era sfiorato lo scontro diretto  tra filopalestinesi e non meglio individuati gruppi “nazionalisti e razzisti”.

Se oltre oceano le cose procedono in maniera convulsa, non va certo meglio sul vecchio continente. In Francia per esempio.

Ai primi di maggio il membro dell’Università di Glasgow, Dr Ghassan Abu Sittah, dopo aver trascorso 43 giorni a Gaza, curando i feriti nell’ospedale al-Chifa, avrebbe dovuto partecipare ad un incontro in Senato, organizzato dalla senatrice Raymonde Poncet Monge (ecologista) per raccontare la sua esperienza. Ma ha dovuto immediatamente ripartire dall’aeroporto di Roissy e tornare a Londra senza aver potuto entrare in Francia per un “foglio di divieto dello spazio Schengen” emesso dalla Germania. In aprile gli era stato ugualmente impedito di entrare in Germania, così come era capitato all’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Entrambi avrebbero dovuto prendere parte a un “Congresso palestinese” organizzato a Berlino. Ufficialmente allontanati per “impedire ogni genere di propaganda antisemita e anti-israeliana”.

Sempre il 2 maggio e sempre nell’Esagono, la direzione di Science Po Paris (dove studiano circa seimila studenti) aveva annunciato la chiusura della maggior parte delle aule invitando studenti e dipendenti dell’università al teleworrking (pardon, télétravail: i francesi ci tengono, diciamo telelavoro allora).

Questo dopo un dibattito interno sul Medio Oriente svoltosi nella mattinata e giudicato “deludente e inconcludente” (in quanto gli studenti riuniti nel Comité Palestine avevano colto l’occasione per chiedere la sospensione delle collaborazioni con altri università ritenute coinvolte nell’industria degli armamenti). 

Per protesta gli studenti avevano organizzato un sit-in e in sei avevano iniziato lo sciopero della fame. Il 3 maggio, al mattino, la polizia irrompeva nella sede di rue Saint-Guillaume mentre un centinaio di studenti si radunava in strada per solidarizzare con quelli all’interno (una novantina) in breve tempo costretti a lasciare i locali.

Ovviamente non poteva mancare il richiamo agli eventi di Gaza nella giornata del Primo Maggio. Restando in Francia, manifestazioni molto dure (anche con scontri e arresti) si erano volte, oltre che a Parigi e a Lione, soprattutto in Bretagna. A Rennes e a Nantes si son potute vedere molte bandiere palestinesi sfilare accanto a quelle bretoni (la “gwenn ha du”).

In precedenza (il 29 aprile) centinaia di studenti della Sorbona avevano piantato le loro tende all’interno dell’edificio universitario (in sintonia con quelli operativi da oltre una settimana di Science Po Paris). Alquanto celere l’intervento della polizia intervenuta per allontanarli.

Stando al comunicato dell’Università Paris 1-Panthéon Sorbonne, la prestigiosa istituzione sarebbe rimasta completamente chiusa (inaccessibile) fino a nuova decisione del Rettorato.

Gianni Sartori

#Catalunya #Barcelona – “IL VOSTRO LUSSO E’ LA NOSTRA MISERIA” – di Gianni Sartori

I cittadini di Barcellona insorgono contro la privatizzazione di Parc Güell

Direi proprio che l’idea di presentare all’interno di Parc Güell la collezione Crociera 2025 di Louis Vuitton non ha raccolto il plauso della popolazione di Barcellona.

L’idea risalirebbe a qualche tempo fa quando Bernard Arnault (presidente e CEO di LVMH Moët Hennessy – Louis Vuitton) ebbe l’idea di sponsorizzare l’America’s Cup di vela del 2024. Progetto accolto con entusiasmo da Nicolas Ghesquiére (direttore creativo del noto brand, tra i massimi rappresentanti internazionali nel settore del lusso).

E quindi, a seguito di una trattativa – definita “serrata” -con il sindaco Jaume Collboni, si aggiudicava la privatizzazione del famoso progetto modernista di Antoni Gaudi che per alcuni giorni è rimasto completamente chiuso al pubblico. La sfilata sul far della sera del 23 maggio, tra le 86 colonne della sala Ipostila, doveva evocare, cito testuale “le sinuosità di Gaudì e il brutalismo di Ricardo Bofili, la cupezza di Goya e la sontuosità di Cristobal Balenciaga…” (?!?). In un turbinio di scialli, frange, mise, balze e parafernalia vari. Tra gli ospiti “eccellenti”: Ana de Armas, Naomi Osaka, Pharrel Williams, un componente del gruppo k-pop sudcoreano Stray Kids…tutta gente che Durruti non avrebbe degnato di uno sguardo, nemmeno di disprezzo.

Ma non tutti, si diceva, avevano apprezzato l’evento.

Alcune centinaia di di persone, convocate da varie associazioni di quartiere e della società civile, hanno manifestato vigorosamente contro la sfilata bloccando per oltre un’ora la Travessera de Dalt, l’arteria principale del quartiere. Impedendo o comunque rallentando la circolazione dei veicoli diretti all’evento. Nei momenti di maggior tensione i Mossos d’Esquadra (la polizia regionale “autonoma”, l’equivalente catalano dell’Ertzaintza basca) non hanno lesinato nell’uso dei manganelli. Almeno una persona sarebbe stata arrestata.

Tra le scritte sugli striscioni e gli slogan scanditi dai manifestanti:

“I quartieri non sono un podio per le vostre sfilate”, “Barcellona non è in vendita”, “Il vostro lusso è la nostra miseria”.

E anche, in aggiunta “Luis Vuitton tortura gli animali”.

Magari la prossima volta ci ripensano.

Gianni Sartori