#Kurds #Women – UN’ALTRA FEMMINISTA CURDA ASSASSINATA NEL SUD KURDISTAN – di Gianni Sartori

fonte immagine ANFNews

Nel corso del 2022 almeno cinque donne curde, militanti a vario livello del movimento di liberazione, sono state assassinate dagli squadroni della morte filo-turchi nel Kurdistan del sud (entro i confini iracheni). Molte altre sono rimaste vittime degli attacchi con i droni, dei bombardamenti aerei o sono cadute in combattimento. Spesso, par di capire, si tratta di attacchi mirati, ad personam.

Questa volta, nella mattinata del 4 ottobre, è toccato a Nagihan Akarsel, capo redattore del periodico “Jineology” ed esponente del Centro di ricerca di jineology (gineologia). La militante curda è stata assassinata nel corso di un attacco nel Kurdistan del sud (entro i confini statali dell’Iraq). Il suo cadavere ora si trova nell’Istituto di medicina legale di Sulaymaniyah.

Nata nella provincia di Konya (Turchia), da parecchi anni Nagihan Akarsel viveva e lavorava a Sulaymaniyah.

Era molto conosciuta per il suo lavoro di studio, ricerca e militanza sulle donne, sulla gineologia e per la sua attività di giornalista femminista.

Negli ultimi mesi si era particolarmente dedicata a un progetto per la creazione di una Accademia di gineologia e di una biblioteca delle donne del Kurdistan.

Possiamo tradurre il termine gineologia con “scienza delle donne” (o meglio: conoscenza prodotta dalle donne) ed è un elemento fondamentale del movimento di liberazione. Con una valenza sia intellettuale che culturale e poli­tica, come si è visto chiaramente con la rivoluzione in Rojava.

Ugualmentela gineologia viene interpretata come la creazione di un paradigma delle donne. Un nuovo paradigma che esprime e rappresenta la moderna fase della lotta di liberazione delle donne curde.

Jin  è una parola curda che significa “donna” e presumibilmente deriva da Jiyan che significa vita. Per questo in molti gruppi linguistici indoeuropei e mediorientali Jin, Zin o Zen, tutte con il significato di donna, sovente erano (talvolta sono) sinonimi di vita, vitalità.In questa visione del mondo la libertà delle donne riveste un ruolo imprescindibile per la libertà di tutto il popolo, della società intera.

Oltre che in campo sociologico, la ricerca delle donne che promuovono la gineologia si concentra sull’epistemologia, la storia, la religione. Sempre privilegiando il punto di vista femminile, storicamente emarginato, discriminato o manipolato dalle società patriarcali. In numerosi centri per lo studio, la sperimentazione, l’azione politica si promuove l’autonomia e l’autodeterminazione (l’autovalorizzazione) delle donne. Nel Nord e nell’Est della Siria la gineologia ha impregnato ogni aspetto della vita sociale, sia nelle istituzione che nelle accademie, scuole e università. E anche nelle milizie di autodifesa e nei consigli attraverso cui la società civile gestisce direttamente la vita quotidiana delle comunità.

Gianni Sartori

nota: testo consigliato:Jin, Jiyan, Azadi. La rivoluzione delle donne del Kurdistan (Tamu, pp. 448, euro 22).

Realizzato dall’Istituto Andrea Wolf. L’istituto è stato fondato nel 2019 (in memoria di una combattente internazionalista caduta in Rojava) e fa parte dell’Accademia di Jineolojî in Rojava.

Il libro è stato tradotto in italiano dal comitato italiano di Jineolojî. Si basa sulle testimonianze (diari, racconti, considerazioni…) di una ventina di donne militanti.

#Musica #Libertà – un documentario sulla repressione in Spagna contro tre giovani rappers

Tre giovani rappers sono i volti visibili dell’attuale persecuzione della libertà di espressione nella musica nello Stato spagnolo. I testi di Pablo Hasel, Valtònyc ed Elgio non solo sono stati condannati da un sistema giudiziario a volte poco neutrale, ma sono anche diventati vittime di una costruzione mediatica che ha mostrato i tre artisti come criminali radicali e nemici della democrazia.

Un documentario prodotto da BRUNA i No Callarem.

Il trailer:

#Kurds #Iran – IRAN IN RIVOLTA: AGGIORNAMENTI – di Gianni Sartori

Elaheh Mohammadi e Mona Borzooi – fonte Kurdistan au feminin

Qualche fonte interna – non sappiamo se in buona fede o meno – aveva già azzardato cifre da capogiro (oltre 250 !), ma comunque ormai il numero delle vittime della repressione in Iran (quelle accertate almeno) si sta avvicinando sicuramente al centinaio. Già alla fine di settembre Iran Human Rights (IHR), organizzazione per la difesa dei diritti umani con sede a Oslo, ne indicava 83. E tra le vittime, fatalmente, anche parecchi minorenni.

Si contano invece a migliaia le persone arrestate.

La rivolta contro la teocrazia islamica, innescata dall’assassinio di Jina Masha Amini, era iniziata proprio dalla sua città natale, Saqqez, nel Kurdistan orientale (Rojhilat).

Probabilmente nelle accuse rivolte dal regime ai rivoltosi (di essere strumentalizzati da “forze straniere”) esiste anche un fondo di verità. E’ apparso chiaro da subito che la destra nostalgica dello scià stava cercando di cavalcare le proteste.

Nonostante queste – femministe, ecologiste, in difesa delle minoranze etniche – siano del tutto antitetiche alla visione del mondo di coloro che possiamo definire, oltre che reazionari e seguaci del peggior patriarcato, semplicemente dei “fascisti”.

Invece il regime sembra preoccuparsi piuttosto del ruolo delle organizzazioni curde e dei gruppi della sinistra che, sostiene, dalle loro basi nel Nord Iraq (il Kurdistan del Sud) avrebbero organizzato il primo sciopero generale in Rojhilat e ora anche il secondo. Per questo ormai da dieci giorni i Guardiani della Rivoluzione (la loro, beninteso) martellano con droni e missili sia le basi delle organizzazioni curde dell’Iran esiliate in Iraq, sia alcuni villaggi.

Già il 28 settembre una settantina di missili iraniani avevano colpito le province di Erbil (Hewlêr) e di Sulaymaniyah. Con particolare ferocia nei confronti di un campo profughi del distretto di Koyê dove è stata centrata anche una scuola elementare. Una quindicina le vittime accertate (tra loro esponenti del PDK-I e del PAK) e una sessantina i feriti. Questi in larga maggioranza civili, bambini compresi.

Un nuovo sciopero generale (il secondo dall’inizio delle proteste per la morte di Jina Mahsa Amini) ha interessato il Rojhilat nella giornata di sabato 1 ottobre. Così come a quello del 22 settembre (nonostante le minacce del regime verso i commercianti che avesse chiuso le loro botteghe) vi hanno aderito tantissimi cittadini e quasi tutti i sindacati.

Gran parte della popolazione è scesa in strada nelle città curde dell’Iran: Urmia, Oshnaviyeh, Naghadeh, Bukan, Mahabad, Piranshahr, Rabat, Sardasht, Saqqez, Diwandarreh, Marivan, Sanandaj, Kamiyaran, Ravansar, Shahu, Ilam, Paveh, Dehgolan e Dezaj Margawar.

Le forze di sicurezza hanno sparato contro la folla sia a Dehgolan che a Saqqez.

Significativa la partecipazione degli studenti curdi, già in lotta da giorni, dall’Università del Kurdistan a Sanandaj all’Università Razi di Kermanshah…

Tra le ragioni della protesta del 1 ottobre, la condanna per gli attacchi iraniani con droni e missili contro gli oppositori rifugiati nel nord dell’Iraq. Il 29 settembre il Centro di cooperazione dei partiti del Kurdistan iraniano aveva rivolto un appello al popolo curdo per ripetere appunto lo sciopero generale, stavolta  condannando anche le operazioni del CGRI (il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) contro i campi profughi. Operazioni militari che sono costate la vita di otto esponenti del Partito democratico del Kurdistan d’Iran (PDKI) e di altri otto del Partito del Kurdistan Libero (PAK). Ma soprattutto provocando numerose vittime civili, tra cui qualche bambino. Mentre i feriti si contavano a decine.

In molti però ritengono che per avere efficacia effettiva lo sciopero generale dovrebbe interessare l’intero Iran, soprattutto le zone maggiormente industrializzate. Invece attualmente a scioperare nel resto del Paese sono soprattutto studenti e insegnanti. 

Tra gli intellettuali arrestati in questi giorni, la giornalista Elaheh Mohammadi (firma del quotidiano Hammihan) e la poetessa Mona Borzooi, entrambe accusate di aver sostenuto la protesta. Con l’aggravante, per Borzooi, di aver scritto una poesia in memoria di Jina Mahsa Amini. 

Invece Mohammad era stata incarcerata dopo aver partecipato ai funerali della giovane curda uccisa in una caserma della polizia.

Gianni Sartori