#Kurds #Europe – OPERAZIONI (PREVENTIVE?) ANTI- CURDE NELLA BANLIEU PARIGINA – di Gianni Sartori

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Per carità. Nessuna intenzione di stabilire analogie o affinità. Diciamo pure che sono soltanto coincidenze. Per quanto inquietanti. Mi riferisco a due episodi. L’attacco opera di fascisti turchi del 26 febbraio contro il Centro comunitario democratico curdo di Drancy (località della banlieu nord-est di Parigi) e la perquisizione avvenuta due giorni prima (24 febbraio) nel medesimo centro.

Due eventi che fatalmente riportano alla memoria (almeno per chi ancora la possiede) ricordi vergognosi.

Ossia quelli di un campo di concentramento che dall’agosto 1941 all’agosto 1944 svolse un ruolo fondamentale nella politica delle deportazioni antiebraiche. All’epoca inserito nel dipartimento della Seine (attualmente in Seine Saint-Denis) Drancy viene considerato uno dei tre principali centri di smistamento, dopo quelli di gare du Bourget e di gare de Bobigny, verso i campi di sterminio nazisti. In particolare per Auschwitz. Secondo alcuni storici ben nove deportati su dieci transitarono per Drancy avviandosi verso la “soluzione finale”.

Certo più prosaicamente, il 24 febbraio si era tornati a parlare di Drancy per un’operazione di polizia condotta contro il centro curdo locale (conosciuto anche come la Maison Culturelle Kurde). Numerosi membri delle forze dell’ordine, mascherati e pesantemente armati, ne hanno perquisito la sede e arrestato uno dei responsabili.

Invece due giorni dopo (26 febbraio), verso le ore 13, entravano in azione i fascisti turchi attaccando il medesimo centro di Drancy. Agitando bandiere turche, avevano cercato di introdursi nei locali con la forza, ma ne venivano respinti dai militanti curdi. Nel giro di pochi minuti decine, centinaia di curdi raggiungevano la sede mettendo in fuga gli aggressori.

Mentre la polizia interveniva con i gas lacrimogeni, principalmente contro i curdi.

Al momento non si conosce il numero dei feriti (tra i curdi almeno tre quelli accertati).Un appello a tutti i sostenitori della causa curda affinché si radunino presso il Centro di Drancy è stato lanciato da Necmettin Demiralp copresidente del Consiglio Democratico Curdo in Francia (CDK-F).

Altra coincidenza. L’operazione di polizia del giorno 24 era avvenuta quasi in contemporaneità con l’annuncio da parte del Mouvement des Femmes Kurdes en France (TJK-F) di molteplici manifestazioni, eventi (incontri, festivals, mostre…) e azioni di protesta imperniate (oltre che sulla data dell’8 marzo) sull’autodifesa, la resistenza e la ricerca di giustizia.

Il TJK-F annunciava inoltre di essere presente, da oltre due mesi e in maniera attiva, nella preparazione della grande marcia prevista per l’8 marzo nella capitale francese

Assieme a molte altre organizzazioni femministe, a sindacati e partiti politici. Manifestazione che dovrebbe partire dalla Gare du Nord e dedicata principalmente alle tre femministe curde (Sakine Cansız, Fidan Dogan e Leyla Saylemez) assassinate a Parigi nel gennaio 2013.

L’appello del TJK-F è rivolto a tutte le donne affinché si uniscano contro l’isolamento, contro il fascismo e per i diritti delle donne.

Denunciando come vi sia in corso “una vera guerra con cui si cerca di rendere accettabile, normale, il massacro subito dalle donne nel mondo dove prevale, domina una cultura maschilista e patriarcale”. Aggiungendo che “le guerre, l’emigrazione, la disoccupazione colpiscono soprattutto le donne”.

Proprio per questo le donne ricoprono un ruolo fondamentale (“primordiale”) nel combattere il fascismo maschile e le pratiche genocide.

Le iniziative dovrebbero prendere il via già il primo giorno di marzo e proprio dal Centro comunitario del Kurdistan di Parigi. Per il TJK-F il 2022 dovrebbe diventare “l’anno della Resistenza”.

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – L’OCCUPAZIONE TURCA DEL NORD DELLA SIRIA NON RISPARMIA DONNE E BAMBINI – di Gianni Sartori

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Non si arresta – anzi va in crescendo – l’opera di persecuzione (a base di uccisioni, torture, rapimenti, saccheggi, demolizione delle abitazioni, abbattimento di migliaia di ulivi, espulsioni forzate…) dell’esercito turco e dei suoi mercenari islamisti nei confronti dei curdi in generale e di quelli yazidi in particolare per costringerli ad abbandonare la regione di Afrin (nord ovest della Siria). Soltanto negli ultimi due mesi (dal 1 gennaio 2022) sono stati assassinati almeno una decina di civili e un altro centinaio (96 le persone accertate e identificate) sono stati sequestrati. Tra loro una dozzina di donne e almeno cinque bambini. Si calcola che dall’inizio dell’occupazione, iniziata quattro anni fa, le persone rapite siano circa 8500. Più della metà sono ormai da considerare desaparecidos. Soprattutto per le bande islamiste quella dei rapimenti è divenuta una vera e propria attività economica, un’industria da cui ottenere ampi margini di profitti. Con il risultato che un sempre maggior numero di abitanti della regione di Afrin fugge altrove. E il loro posto, le loro stesse abitazioni, vengono occupati dalle famiglie dei miliziani jihadisti. Un’operazione di sostituzione etnica da manuale. Non va meglio in altre zone del nord della Siria. Il 24 febbraio l’ennesimo attacco con i droni di fabbricazione turca ha colpito un minibus sulla strada tra Qamishlo et Amûdê. Almeno quattro donne sono rimaste ferite. Per ora si conoscono i nomi di tre di loro: Daliya Şêxmûs, Roza Hemo e Menîfe Himêdî. Dall’inizio di febbraio questo è già il terzo attacco con i droni a veicoli civili nei pressi di Amûdê. In questo modo il 9 febbraio sulla strada tra Amûdê e Dirbêsiyê, era stato ucciso un bambino di undici anni, Mihemed Eli Kelah. Nella stessa circostanza erano rimasti feriti un altro bambino e una donna. Contemporaneamente i tiri dei mortai delle milizie jihadiste filo-turche ferivano alcune donne nei pressi di Manbij. Altri mortai colpivano i villaggi di Semuqa e Cebel Neyaf nella regione di Afrin. Quanto ai droni turchi, il 12 febbraio ferivano altre persone nel quartiere di Cewheriyê (zona ovest di Amûdê) mentre il 22 febbraio era stato attaccato lo stesso Consiglio militare di Manbij.

Gianni Sartori

“La Corsica e i Bonaparte: da indipendentisti a biechi nazionalisti francesi” – di Ettore Beggiato

La storia della Corsica nel Veneto e in Italia non è affatto conosciuta; mi piace ricordare come il grande, grandissimo sociologo padovano Sabino Acquaviva pubblicò, ancora nel 1982 un volume intitolato “La Corsica. Storia di un genocidio” nel quale denunciò come “la Corsica è una Nazione oppressa” e “La presenza francese in Corsica è una presenza coloniale”; il volume è stato recentemente ristampato grazie a una benemerita iniziativa del Centro Studi Dialogo.
La cialtroneria di Napoleone emerge per la prima volta proprio in relazione al movimento indipendentista corso.  
Nel 1755 i vari gruppi indipendentisti attivi nell’isola fin dai primi del ‘700 nominarono a capo della rivolta contro la Repubblica di Genova che da diversi secoli dominava l’isola, il giovane Pasquale Paoli.  Nato nel 1725, esiliato a Napoli nel 1738 con il padre Giacinto capo dei rivoltosi corsi contro Genova, studiò all’Università di Napoli seguendo in particolare le lezioni del filosofo Antonio Genovesi; dell’epoca teorizzò:  «Siamo Còrsi per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni… E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio… Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né “ribelli” e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani… O non saremo nulla… O vinceremo con l’onore o moriremo con le armi in mano… La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l’Italia il sole della libertà.»  Rientrato in Corsica, nell’aprile del 1755 fu proclamato “I° Generale della Nazione Corsa” e nel novembre dello stesso anno proclamò l’indipendenza della Corsica: venne adottata una Costituzione che suscitò interesse ed entusiasmo in tutto il mondo, in particolare nell’America che stava insorgendo contro l’Inghilterra;  nel 1768 viene definito dal  “New York Journal” “the greatest man on earth”.  Pasquale Paoli chiese anche il contributo di J.J. Rousseau che scrisse nel 1764 il suo “Progetto di costituzione per la Corsica”. Il sogno di una Corsica libera e indipendente tramontò il 9 maggio 1769 quando l’esercito francese sconfisse i soldati corsi il 9 maggio 1769 a Ponte Nuovo; il padre di Napoleone, Carlo Maria Bonaparte, partecipa a questa battaglia, è uno dei protagonisti del movimento indipendentista corso, svolgendo le mansioni di segretario personale di Pasquale Paoli, ed è famoso per aver fatto giurare migliaia di giovani patrioti corsi al grido di “Vincere o morire”.  Dopo la battaglia di Ponte Nuovo è a capo della delegazione corsa che tratta con il Conte di Vaux; più tardi tenta di riorganizzare la resistenza corsa nella zona di Vico nel nord-ovest dell’isola, ma la risposta dei corsi è debole, il popolo corso è deluso dall’andamento della guerra e si lascia sottomettere dallo strapotere dell’esercito francese.  Il 13 giugno 1769 Pasquale Paoli, il padre della Patria Corsa, va in esilio e in quel giorno finisce la storia di Carlo Maria Bonaparte indipendentista corso; si laurea all’Università di Pisa ed entra a far parte dell’Ordine corso della nobiltà creato dai colonialisti francesi per premiare i collaborazionisti corsi; in seguito ottenne diversi incarichi politici e nel 1778 su nominato rappresentante della Corsica presso la corte di Luigi XVI  Nel frattempo, il 15 agosto 1769, era nato ad Ajaccio Napoleone (15 agosto) e, qualche anno più tardi, la famiglia Buonaparte (si chiamava ancora così) decise di trasferirsi in Francia anche per l’ostilità di tanti corsi che non avevano accettato l’incredibile voltafaccia di Carlo Maria.  Nonostante tutto la Corsica era rimasta nel cuore del giovane Napoleone che nel 1787, diciottenne, si sfoga così: « Francesi, non paghi di averci portato via tutto ciò che ci era caro, avete anche corrotto i nostri costumi. La situazione attuale della mia patria, e l’impossibilità di mutarla, sono dunque un nuovo motivo per fuggire una terra in cui sono obbligato per dovere, a lodare uomini che per virtù dovrei invece odiare. Quando arriverò nella mia terra, che atteggiamento adottare, che linguaggio tenere? Quando la patria non è più, un buon patriota deve morire. »  Sappiamo bene quanto poco ci mise a cambiare idea, diventando il simbolo di una Francia colonialista, antidemocratica, che violentò le nazioni europee in una maniera indecente. 

Ettore Beggiato