#Kurds #Kobane – TRA ATTACCHI CON I DRONI E MINACCE DI NUOVE INVASIONI, KOBANE RESISTE -di Gianni Sartori

fonte immagine Mazloum Abdî/Twitter

Sarà stata anche una coincidenza, ma l’attacco turco del 25 dicembre contro un’abitazione nel distretto di Şehîd Peyman (a est di Kobane) che è costato la vita a cinque persone, (due al momento dell’attacco, altre tre il giorno dopo per le ferite riportate) ha tutta l’aria di una ritorsione per un attentato già pianificato dallo Stato islamico, ma sventato dalle FDS. 
Questi i nomi delle cinque vittime, forniti dall’Amministrazione autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES): Nûjiyan Ocalan, Viyan Kobanê, Rojîn Ehmed Îsa, Mirhef Xelîl Îbrahîme un giovane chiamato Walid (di cui non si conosce ancora il nome completo).  Tutti loro militavano nel Movimento delle giovani donne o nel Movimento dei giovani rivoluzionari. Almeno quattro degli altri feriti sono ancora all’ospedale.
Mentre gli abitanti di Kobane scendevano in strada per protestarecontro queste azioni terroristiche (e anche per l’indifferenza mostrata in più occasioni dalla comunità internazionale) le Forze democratiche siriane (FDS) con un comunicato mettevano in evidenza come “non è una coincidenza se l’attacco contro Kobanê è avvenuto nello stesso giorno di un’operazione riuscita contro lo Stato islamico”.
Stando sempre al comunicato delle FDS, si sarebbe trattato di un attacco pianificato contro una prigione di Hassakê. I membri delle bande jihadiste pronti a entrare in azione sono stati arrestati e imprigionati. Tra di loro un personaggio già conosciuto, l’emiro Mihemed Ebd Elewad, responsabile di numerosi massacri nella regione. Non è certo fuori luogo pensare che la Turchia si sia risentita per questo colpo inferto dalle FDS a una banda di mercenari sul libro paga di Ankara. 

Il continuo stillicidio di operazioni del genere (bombardamenti e attacchi con droni, a spese soprattutto dei civili) potrebbe anche esprimere la frustrazione di Erdogan per le difficoltà incontrate nel procedere a un’ulteriore invasione nel nord e nell’est della Siria. Infatti, diversamente da quanto accadde nel 2019 quando Trump sostanzialmente dette il suo benestare all’attacco turco contro una parte del Rojava, oggi come oggi la comunità internazionale sembrerebbe (il condizionale resta d’obbligo) meno disposta a chiudere entrambi gli occhi.
O almeno questa sembra essere l’opinione (o forse la speranza) di un comandante delle FDS recentemente intervistato da Al-Monitor. Mazlum Kobane (conosciuto anche come Mazlum Abdi) ritiene di potersi fidare dell’impegno preso da Biden di non abbandonare la regione, anche se quanto è avvenuto recentemente in Afghanistan, lo ammette, non è incoraggiante (dal punto di vista dei curdi ovviamente). In ogni caso considera assolutamente necessario un accordo tra i curdi e Damasco, un accordo di cui solamente la Russia può rendersi garante. Ovviamente il comandante intervistato non ha scordato quanto avvenne solo qualche anno fa, quando la Russia consentì alla Turchia di invadere Afrin.
Nel dubbio, sia per timore di una nuova aggressione turca che per la pessima situazione economica (tra siccità e Covid-19) molti curdi se ne vanno passando illegalmente la frontiera.

Gianni Sartori

#Kurds #Syria – CURDI SOTTO IL TALLONE DI FERRO DI ANKARA ANCHE NEL NORD DELLA SIRIA – di Gianni Sartori

fonte http://afrinpost.net – Kurdistan au Femenin

Dal Rojava, anche nel giorno di Natale, giungono altre brutte notizie. Se ormai è ordinaria amministrazione sentire degli attacchi ai civili con i droni (l’ultimo, quello del 25 dicembre, ha causato due morti e sette feriti, di cui un paio in gravi condizioni), suscita raccapriccio la notizia del ritrovamento del cadavere di una curda bruciata viva, Zeinab Abdo. Anche perché questa morte brutale è giunta dopo una serie infinita di tribolazioni subite dalla donna sessantenne.
Da mesi viveva in una casa diroccata nei pressi del villaggio di Rota (distretto di Mabata) dopo che le milizie filoturche avevano confiscato la sua casa arrestando praticamente tutti i membri della famiglia (il marito, i figli, le nuore…). Una delle due nuore – Zelikhe Walid Omar – era stata rimessa in libertà nell’agosto 2021 (dopo oltre un anno di detenzione) avendo perso la ragione a causa delle torture e degli stupri subiti.

Violenze subite anche da Zeinab Abdo durante il periodo in cui era nelle mani dei miliziani jihadisti che l’avevano liberata solo da qualche mese.
Per cui non si può escludere che si sia tolta volontariamente la vita per disperazione.
Zeinab era stata arrestata nel giugno 2020, così come gli altri componenti della famiglia di cui ancora non si conosce la sorte: il marito Osman Majid Naasan (65 anni), i suoi figli Jankin (32 anni), Sheyar (30 anni) e Mohammed (28 anni).

A finire nelle mani jihadiste anche le due nuore, Zelikhe Walid Omar (30 anni, l’unica, oltre a Zeinab, ad essere stata finora liberata, ma solo perché impazzita per le violenze subite) e Jaylan Hamalo. Nessuna notizia anche di due bambini, tra cui la figlia (di nemmeno 2 anni) di Jankin e Zelikhe.
In novembre era stato diffuso un video in cui si vedeva una senzatetto, Zelikhe Walid Omar, rovistare tra i rifiuti con lo sguardo perso nel vuoto. Da fonti locali si veniva a saper che la donna vagava da circa tre mesi per le strade di Afrin in cerca di cibo. Avviene anche questo nel Rojava invaso e occupato dalla Turchia e dalle sue bande di mercenari.



Gianni Sartori