#MemoriaStorica #SudAfrica – UN RICORDO DI BENNY NATO, MILITANTE ANTI-APARTHEID – di Gianni Sartori

In alcuni miei articoli, anche recenti, sul Sudafrica – ma non solo – avevo citato e ricordato Benny Nato, rappresentante dell’Anc per Italia e Grecia negli anni ottanta del secolo scorso. Dando forse per scontato che in molti, anche senza averlo conosciuto di persona, ne avessero almeno sentito parlare. In realtĂ  – ho scoperto poi – per chi non aveva partecipato alle campagne anti-apartheid dell’epoca, magari solo per ragioni anagrafiche, era praticamente uno sconosciuto. Capita.

Eppure il suo ruolo era stato fondamentale. Non solo per l’Italia in generale, ma in particolare per Vicenza dove nel 1984 tenne quella che probabilmente era la sua prima uscita pubblica con dibattito. In occasione di una mostra realizzata da due-tre esponenti della locale Lega per i diritti e la liberazione dei popoli (tra cui il sottoscritto). Una mostra, va detto, molto “artigianale” costruita con il poco materiale a disposizione, ma che in qualche modo anticipava le campagne degli anni successivi. 

Riprendo qui quanto scrissi – in quanto responsabile, all’epoca, della sezione vicentina della LIDLIP –  su un giornale locale nel giugno 1999 al momento della sua prematura scomparsa.

 

UN RICORDO DI BENNY NATO, MILITANTE ANTI-APARTHEID

(Gianni Sartori)

 

In giugno, all’etĂ  di 68 anni, è morto Benny Nato de Bruyn, per circa sei anni rappresentante in Italia dell’African National Congress(il partito di Nelson Mandela), durante  il periodo forse piĂą duro dell’apartheid in Sudafrica. Sicuramente molti vicentini – e non – lo ricordano per averlo ascoltato in occasione di convegni e dibattiti dove, con affabilitĂ  ma anche con spietata chiarezza, sapeva descrivere la tragedia del suo popolo sotto la sferza del regime di Pretoria.

Come Lega per i diritti e la liberazione dei popoli abbiamo avuto l’onore di invitarlo nel marzo del 1984 per l’inaugurazione di una mostra contro il razzismo in Sudafrica e Namibia, realizzata a Villa Lattes con il contributo della Biblioteca Bertoliana. Era una delle prime volte che interveniva per un incontro-dibattito in Italia dove, solo un mese prima, aveva sostituito Tami Sindelo come rappresentante dell’Anc. L’opinione pubblica cominciava solo allora, molto lentamente e timidamente in realtĂ , a commuoversi per le decine, centinaia di morti che quasi quotidianamente si registravano durante le manifestazioni di massa. Proteste ricominciate nel settembre del 1983 – dopo un periodo di stasi – e represse duramente. 

A quel primo incontro non vennero molte persone (una ventina se non ricordo male), ma l’intervento di Benny suscitò un tale interesse che dovemmo rimanere fino a tardi per dargli il tempo di rispondere a tutte le domande e poi la discussione riprese in strada. Soltanto un anno prima, nel giugno del 1983,  i “Tre di Moroka” erano stati impiccati nella quasi totale indifferenza internazionale. Ricordo che Pertini fu uno dei pochi capi di Stato ad esprimere una solenne condanna.

Invece, quando nell’ottobre del 1985 si arrivò all’impiccagione del poeta dissidente Benjamin  Moloise, il coro delle proteste fu unanime, sia da parte dei capi di Stato che delle autoritĂ  religiose. Anche Giovanni Paolo II volle esprimere pubblicamente la sua indignazione per l’ennesimo delitto dell’apartheid.  Tra le esecuzioni del giugno 1983 e quella dell’ottobre 1985 c’erano stati due anni sicuramente fra i piĂą drammatici vissuti dal Sudafrica. Con scontri di strada, deportazioni, sparizioni di oppositori, incarceramenti e torture di massa, anche nei confronti di bambini. E altre impiccagioni naturalmente.

Tutto questo non sarebbe però bastato a proiettare la questione dell’apartheid a livello internazionale. Indispensabile fu il lavoro di denuncia e controinformazione portato avanti da tante persone anche in Europa. Dall’Irlanda (da dove erano partite le campagne per il boicottaggio dei prodotti sudafricani) alla Francia (dove i servizi segreti sudafricani assassinarono la rappresentante dell’ANC Dulcie Septembre), dall’Italia alla Germania (dove vivevano come rifugiati molti esponenti dell’Anc e del Pac).

L’impegno di Benny Nato fu continuo e capillare; per sei anni si prodigò intessendo solidi rapporti di amicizia e solidarietĂ . Nel tempo non mancarono le occasioni per ritrovarci: alla FacoltĂ  di Scienze politiche di Padova, all’Arena di Verona con i “Costruttori di Pace” insieme al comune amico Alessandro Zanotelli, per le varie riunioni delle associazioni impegnate a contrastare “l’orco di Pretoria” e “strappare le radici dell’ingiustizia”. Anche nei momenti piĂą drammatici seppe conservare la sua profonda umanitĂ  e la sua ironia. In seguito, quando ormai la questione dell’apartheid era diventata anche agli occhi di tanti vicentini un crimine contro l’umanitĂ , Benny Nato tornò a Vicenza nel 1988 per un altro incontro-dibattito al cinema Araceli. Fu una serata memorabile con centinaia di persone venute ad ascoltarlo. Insieme a lui c’era il giornalista di Radio popolare Edgardo Pellegrini, anch’egli prematuramente scomparso nel 1998. 

Con la fine dell’apartheid Benny Nato era ritornato alla sua terra nel 1991, dopo 25 anni di esilio. In seguito fu ambasciatore del suo Paese in Giordania dove è rimasto fino al 1998, quando dovette tornare in Sudafrica per l’insorgere del male che lo ha ucciso.

Il rimpianto per la sua scomparsa è in parte attenuato dalla consapevolezza che averlo conosciuto è stato comunque un onore.

 

 

Gianni Sartori

 

#Kurds #Racism – PARTICOLARI INQUIETANTI SUL MASSACRO DI UNA FAMIGLIA CURDA A BAHCESEHIR – di Gianni Sartori

Si va colorando di particolari inquietanti la notizia del massacro, della strage razzista del 30 luglio in cui ben sette curdi (tre donne) hanno perso la vita nel villaggio di Bahçeşehir (distretto di Meran, Konya).
 
Infatti si torna a parlare di Engin Dinc, nominato da Erdogan capo della polizia della provincia in cui il misfatto è avvenuto poco prima della strage. Membro dei Servizi, in passato Dinc venne portato in giudizio in quanto implicato nell’assassinio di un giornalista armeno, Hrant Dink.
 
Ma poi il reato era andato in prescrizione, Engin Dinc aveva goduto di una promozione e il sospetto autore materiale del delitto, Erhan Tuncel, sarebbe stato “arruolato” come informatore.
 
Prima ancora Engin Dinc aveva diretto i Servizi nella provincia di Trabzon, all’epoca in cui alcuni familiari dei prigionieri politici di sinistra erano stati – letteralmente – linciati. Risaliva allo stesso periodo un misterioso attentato (presumibilmente per mano dello stesso gruppo implicato nell’uccisione di Hrant Dink) e l’assassinio del sacerdote Andrea Santoro (2006).
 
Non solo. Ai primi di ottobre 2015, quando erano ancora sottoposti alla sua direzione, i Servizi erano entrati in possesso dei piani dello Stato islamico per colpire un raduno pacifista ad Ankara. Per la precisione, qualche giorno prima del devastante attentato(in cui morirono un centinaio di persone (sia curdi che militanti della sinistra turca), ma l’informazione veniva inoltrata alla direzione provinciale antiterrorismo solo il 10 ottobre,
 
Oltre ad aver assassinato sette appartenenti alla famiglia Dedeoglu, i “nazionalisti turchi” (come si erano definiti nel corso di una precedente aggressione risalente al 12 luglio) ne hanno ferito diversi altri e incendiato le abitazioni dei curdi. I cinque turchi fermati dopo la prima aggressione erano stati presto rilasciati per “mancanza di prove” e comunque appare evidente come gli autori di tali azioni criminali godano di una sostanziale impunità.
 
Manifestazioni di protesta si sono svolte in varie località e in particolare davanti alla sede di HDP a Tarde (provincia di Mersin) dove la deputata Fatma Kurtalane il copresidente provinciale del partito Bekir Anackaya hanno sfilato con uno striscione in cui si leggeva “Noi conosciamo i nomi degli assassini”. Sia a Tarde che a Diyarbakir (Amed) come nella provincia di Adiyamanla folla qui radunata scandiva slogan contro il fascismo.
 
Alcuni esponenti turchi dell’opposizione hanno chiesto che tali aggressioni siano oggetto di indagini approfondite.
 
A tale scopo una delegazione di CHP, guidata daAbdullatif Sener, si è recata a Meran per conoscere direttamente la situazione.
 
Nel frattempo è giunta la notizia di nuovi episodi – qualificabili come veri e propri pogrom –  contro famiglie di lavoratori agricoli curdi ad Antalya. Assaliti da centinaia di turchi – qualificabili come “fascisti di fatto” – hanno dovuto lasciare le loro abitazioni.
 
 
Gianni Sartori