#EuskalHerria #PrigionieriPolitici – IZADI, UN CONTO ALLA ROVESCIA

Izadi è la figlia di Maria Lizarraga e Iñigo Gutierrez, prigionieri politici baschi, ed è nata in carcere.

Dopo una lunga battaglia contro regolamenti e burocrazia, finalmente i tre hanno ottenuto di vivere in un cosiddetto “modulo famigliare”, dove i genitori possono trascorrere la loro vita insieme alla bambina.

Ma, come per tutti i bambini nati in carcere, Izadi dovrà uscire di prigione all’età di 3 anni, lasciando  i genitori.

Il collettivo “Izadi gurasoekin etxera” si sta impegnando, al fianco delle famiglie dei due militanti baschi, per fare in modo che la loro vita possa trascorrere insieme, fuori dalle sbarre. 

Come dichiara verso la fine del video la madre di uno di loro: “hanno già pagato abbastanza, e, con questa esperienza, molto duramente”.

#IzadiGurasoekinEtxera

#Palestina #Aggiornamenti – PALESTINA INQUIETA (E INVICTA, NONOSTANTE TUTTO) – di Gianni Sartori

Normale amministrazione sabato scorso (19 giugno) in Palestina, con duri scontri tra gli abitanti palestinesi e la polizia israeliana in due villaggi, a Deir-al-Assad e Bi’ina.

Nel primo episodio si sono registrati numerosi feriti tra la popolazione e uno tra i membri della polizia (colpito da una pietra al capo).

Diversi veicoli venivano dati alle fiamme (anche due auto della polizia) e una dozzina di manifestanti sono stati arrestati. Non si hanno invece notizie precise su quanto è avvenuto a Bi’ina, ma anche qui si contano diversi feriti.

Ordinaria amministrazione si diceva.

Il sabato precedente (13 giugno) un quindicenne palestinese,

Mohammed Said Hamayel, era stato ucciso nei pressi di Nablus da un colpo di pistola durante gli scontri tra l’esercito israeliano e gli abitanti del villaggio di Beita dove si vorrebbe costruire un ennesimo insediamento coloniale (denominato Eviatar).

Beita si trova nel Nord della Cisgiordania, in un territorio palestinese, ricordiamo, occupato illegalmente da Israele ormai da oltre cinquant’anni. Nella stessa giornata rimanevano feriti da colpi di arma da fuoco altri sei palestinesi. E un altro giovane palestinese -Ahmed Shamsa – veniva ucciso il giorno 16 in circostanze analoghe. Il quarto dall’inizio della protesta a Beita contro l’insediamento.

Anche se i bombardamenti su Gaza sono – per ora – cessati (oltre 250 palestinesi uccisi – tra cui 66 bambini e 42 donne – e circa seimila feriti), non per questo si stempera la repressione israeliana contro la popolazione palestinese. Nei Territori occupati gli arresti si contano a centinaia e chi aveva preso parte agli scioperi di protesta per i bombardamenti ora rischia il licenziamento.

Intanto, dal 12 al 19 giugno, si è svolta un’altra settimana internazionale per la scarcerazione di George Abdallah. Con manifestazioni in ogni angolo del mondo: da Parigi a Vancouver, Austin, Gaza, Ginevra, Bruxelles, Tolosa, Madrid, Aix-en-Provence, Manchester, Tunisi, Montpellier.

E anche in Italia. Da Napoli a Torino, Milano, Bologna.

Figura sicuramente «scomoda», il palestinese Georges Ibrahim Abdallah sta ormai scontando il suo 37° anno di carcere. Paga il prezzo della sua dignitosa coerenza nell’opporsi al colonialismo, all’imperialismo e anche alle forze conservatrici del mondo arabo.

 

Gianni Sartori

 

 

#Asia #Bangladesh – ANCORA VITTIME TRA I LAVORATORI IN BANGLADESH (E REPRESSIONE PER GLI AMBIENTALISTI DISSIDENTI) – di Gianni Sartori

fonte EPA/ABIR ABDULLAH
Bangladesh. Ancora una vittima del capitalismo, delle delocalizzazioni, delle zone franche. Se vogliamo anche del pret-à-porter. Ossia di quel sistema neocoloniale che consente a benestanti (più o meno benestanti, ovviamente) e aspiranti tali di vestirsi e gingillarsi elegantemente, ma a modico prezzo. Precisando che se in passato tutto questo riguardava soprattutto i paesi occidentali, ormai anche la Cina non scherza.
 
La mattina del 14 giugno gli operai delle aziende tessili Lini Fashion e Lini Apparels avevano scelto di protestare (sostanzialmente per i salari arretrati non corrisposti) occupando l’autostrada Nabinagar-Chandra. A loro si univano, solidali, i lavoratori di altre fabbriche (soprattutto tessili) come quelli di Avant Guard, Shine Fashion, Goltex Garments, One BD Limited…
 
Rudimentali barricate venivano innalzate nei pressi della zona franca di esportazione (EPZ) di Ashulia.Quando il traffico cominciava a rallentare seriamente, con alcuni imbottigliamenti di veicoli, la polizia interveniva sparando granate antilacrimogene e facendo ampio uso di cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti. L’operaia di 30 anni Jasmine Begum è deceduta per una ferita alla testa, presumibilmente prodotta dall’impatto con una granata sparata ad altezza d’uomo (e non a parabola).
 
Soltanto qualche mese fa, in aprile, almeno cinque operai erano rimasti uccisi in circostanze analoghe a Banshkhali.
 
Protestavano (sia per i salari non corrisposti, sia contro il brutale orario di lavoro) davanti alla centrale a carbone in costruzione SS Power One. Costruita con finanziamenti cinesi, la centrale prevederebbe – almeno in teoria – anche la realizzazione di un ospedale. Come parziale compensazione per i danni ambientali (un po’ come le scatole di medicinali donate agli indigeni dai turisti danarosi d’alta quota).
 
Stando alle dichiarazioni ufficiali, la polizia avrebbe aperto il fuoco quando i lavoratori (circa duemila) avevano iniziato a tirar sassi e mattoni.
 
I quattro cadaveri trasportati all’ospedale di Banshkhali presentavano evidenti segni di colpi da arma da fuoco, così come una dozzina di feriti. Un altro operaio ucciso era stato portato all’ospedale di Chittagong insieme ad altri venti feriti.
 
La centrale a carbone per la produzione di energia elettrica SS Power One (1200 megawatt previsti, investimenti per oltre 2,5 miliardi di dollari, lavori completati al 40%) appartiene per il 30% alla società cinese SEPCO3 (Shandong Electric Power Construction Corporation III, il maggior produttore cinese di acciaio), mentre il restante 70% spetta al gruppo industriale bengalese S. Alam.
 
Manifestazioni di protesta contro il progetto, realizzato senza consultare l’opinione pubblica, si erano già tenute in passato. Anche allora con vittime tra i civili.
 
Nel 2016, durante un raduno di contadini ostili alla centrale, la polizia aveva ucciso quattro manifestanti.
 
Un altro era stato ucciso nel 2017. Per Shahnewaz Chowdhury, recentemente arrestato anche per questa sua dichiarazione, complessivamente i morti sarebbero almeno una dozzina.
 
Secondo alcune organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani, la centrale non rispetterebbe i parametri minimi, le norme di impatto ambientale.
 
La firma del contratto risaliva al 2016 (visita di Xi Jimping) e prevedeva che la centrale venisse realizzata da imprese cinesi impiegando anche manodopera locale.Da sfruttare adeguatamente a quanto pare.
 
Quanto al già citato Shahnewaz Chowdhury, si tratta di un ingegnere ambientalista bengalese che rischia ben 10 anni di prigione per aver espresso su facebook quella che sostanzialmente rimane una legittima opinione personale. Ossia la convinzione che la centrale in questione costituisca un elemento di “distruzione per l’ambiente”. Protestava inoltre per quella dozzina di vittime durante le proteste e invitava i giovani a “resistere all’ingiustizia”.
 
A favore della scarcerazione di questo prigioniero d’opinione è intervenuta all’inizio di giugno anche Amnesty International.
 
 
 
 
Gianni Sartori