#Turchia #Spazio – GRAZIE A SPACEX (E AL MILIARDARIO ELON MUSK) LA BEFANA HA CONSEGNATO UN AMBITO REGALO A ERDOGAN – di Gianni Sartori

Dell’eventualità che SpaceX potesse fornire supporto tecnico e logistico alla Turchia si era già venuti a parlarne in ottobre. Quando la comunità armena statunitense aveva manifestato vivacemente in quel di Hawthorne, davanti alla sede californiana dell’azienda.
 
Ma evidentemente la protesta non ha prodotto granché visto che – nella notte tra il 7 e l’8 gennaio – la Befana a stelle e strisce ha voluto consegnare un cospicuo regalo al regime di Erdogan.
 
Infatti, nonostante le proteste armene, il satellite Turksat 5A è stato messo in orbita dalla base di Cape Canaveral con un razzo Falcon 9 di SpaceX. Al momento si trova ancora nella fase di posizionamento e dovrebbe rimanerci per circa quattro mesi. A operazione completata sarà in orbita – e operativo – a 31° Est sull’Equatore. Turksat 5A viene a rafforzare non solo la copertura televisiva turca, ma anche le comunicazioni militari di Ankara. Così come si ritiene sia avvenuto con gli altri tre satelliti già in orbita (Turksat 3A, 4A e 4B). Potrà quindi essere utilizzato anche per manovrare i droni dell’esercito turco, garantendo operatività anche in caso di nebbia e migliorandone la precisione.
 
Sempre grazie a SpaceX, entro qualche mese è previsto l’invio nello spazio di un altro satellite, il Turksat 5B.
 
In precedenza era Mosca che aveva messo a disposizione di Erdogan l’indispensabile supporto tecnico per inviare nello spazio due satelliti, il Turksat 4A e il 4B (rispettivamente nel 2014 e nel 2015).
 
Con il Turksat 5A (destinato a diventare – una volta in servizio attivo – il più potente tra i satelliti turchi) verranno rinforzate le comunicazioni turche nella banda KU (frequenza 12-18 Ghz) coprendo anche il Nord Africa, l’Africa sub-sahariana, l’Africa del Sud e spingendosi a est fino al Kazakhstan. Quanto al prossimo satellite, il Turksat 5B (il cui lancio è previsto verso la metà del 2021), dovrebbe consentire un potenziamento della copertura della banda Ka su Mar Nero, Mar Egeo, ancora Africa del Nord, Mar Rosso e Golfo Persico.
 
In entrambi i casi, appare evidente che si tratta di aree su cui Ankara sta proiettando la propria influenza (egemonia ?) politico-militare.
 
Il lancio di Turksat 5A ha costituito il risultato finale degli incontri, risalenti già al 2017, tra Erdogan e il proprietario di SpaceX e di Tesla: Elon Musk (ritenuto uno degli uomini più ricchi del pianeta).
 
In più di un’occasione SpaceX aveva spedito nello spazio svariati dispositivi statunitensi di natura militare. Al momento sarebbero a buon punto le discussioni sulla possibilità di fornire al governo di Washington fantascientifici sistemi di trasporto “in qualsiasi parte del pianeta nel giro di un’ora” (testuale). Sia di materiale bellico che – eventualmente- di truppe, grazie ai nuovi razzi Starship.
 
Per il 2021 sono già previsti tre lanci di non meglio precisati “materiali statunitensi” tramite i razzi Falcon Heavy.
 
 
 
Gianni Sartori
 
 
 

#GranBretagna #ConoscerePerCapire – Un incontro condotto da Alex Salmond

#AlexSalmondShow

SMALL PARTIES – BIG VOICES

Alex Salmond intervista due dei leader più significativi dei partiti di minoranza a Westminster. L’ex leader liberaldemocratico Vince Cable, che ha guidato il suo partito al successo nelle elezioni europee del 2019, dopo aver iniziato la vita politica come politico laburista e Lord Wigley di Caernarfon, eletto per la prima volta nel febbraio 1974, prima di condurre il Plaid Cymru a un soffio dal Labour Party, alle prime elezioni per l’Assemblea nazionale del Galles.

#INDIA #REPRESSIONE – CONTADINI IN RIVOLTA CONTRO LA DEREGULATION – di Gianni Sartori

Il 3 gennaio 2021 un gran numero di contadini ribelli del villaggio di Masani si accingevano a forzare i blocchi stradali sulla frontiera Rajasthan-Haryana (lungo l’autostrada Delhi-Jaipur nei pressi di Dharuhera) dove si erano radunati – restando bloccati – dal 13 dicembre 2020. Ma la polizia non l’aveva presa bene e rispondeva attaccando i manifestanti con cannoni ad acqua e un fitto lancio di lacrimogeni (anche CS si ritiene).  Almeno una ventina di trattori e centinaia di persone riuscivano comunque a forzare il blocco anche se poi dovevano sospendere l’azione in quanto rimasti separati dalla massa degli altri manifestanti. Una mezza dozzina di contadini risultavano feriti negli scontri.

Attualmente sono migliaia e migliaia gli agricoltori del Maharashtra, del Rajasta, del Haryana e del Gujarat forzatamente bloccati dalle barricate erette dalla polizia lungo le strade che portano a Delhi dove intendono recarsi per esporre le loro rimostranze nei confronti delle leggi sulla deregulation dei mercati agricoli.

Detto per inciso, a chi scrive tali eventi ricordano, almeno esteriormente (per la “scenografia”) le manifestazioni degli agricoltori nostrani del 1997 (vedi gli scontri di Grumolo nel vicentino).

Ormai in India – da settimane – tali “incidenti” sono pane quotidiano. Ai primi di dicembre un altro corteo di agricoltori a bordo di trattori aveva violato il posto di blocco della polizia a Shahiahanpur (sempre alla frontiera tra  Rajasthan e Haryana). E anche in questa circostanza la polizia aveva reagito duramente.

Sempre in dicembre una grande manifestazione si era svolta a Patana, capitale del Bihar. Oltre alle organizzazioni degli agricoltori,vi avevano partecipato vari gruppi di sinistra, anticapitalisti.

I primi scontri si erano svolti già al momento del raduno in Gandhi Maidan. Qui le autorità avevano piazzato barricate e posti di blocco per isolare gli accampati di una tendopoli che protestavano già da diversi giorni. Mentre i manifestanti si dirigevano verso la sede del governo dello stato di Bihar venivano ancora respinti dalle cariche della polizia in una località denominata Dak Bungalow.

Alla fine si contavano numerosi feriti (quelli portati all’ospedale, altri hanno preferiti curarsi in casa per non venire arrestati)

Già alla fine di novembre 2020, nonostante la presenza di centinaia di gendarmi, altre barricate erette lungo le autostrade  erano state attaccate con fitti lanci di pietre e divelte dai manifestanti intenzionati a raggiungere New Delhi. Va ricordato che anche ai nostri giorni due indiani su tre vivono in aree rurali. Solo nell’ultimo anno si contano migliaia di suicidi tra i contadini rovinati dalla siccità e dai debiti.

Non è da oggi naturalmente. Chi ha partecipato alle manifestazioni anti-globalizzazione della fine del secolo scorso e degli inizi di questo ricorderà la folta presenza di contadini indiani che protestavano in prima fila (addirittura a fianco del “blocco nero”) e il caso di quel piccolo allevatore che si suicidò pubblicamente per protesta durante una manifestazione.

A questa già difficile, per certi versi insostenibile, situazione sono venute a sovrapporsi (nel settembre dell’anno scorso) le riforme legislative per la deregulation della vendita e dell’acquisto di prodotti agricoli.

Con la sostituzione dei “mandis” (ossia le regolamentazioni statali fino ad allora in vigore ) hanno rappresentato la classica goccia che fa traboccare l’acqua del vaso (e fatalmente vien da pensare che spesso, quando non si impiccano, i contadini indiani si suicidano annegandosi).

 

Gianni Sartori